Carlo Bertini per “La Stampa”
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«Enrico e tutti noi dobbiamo trasmettere l'idea che la partita è riaperta e che si può formare una maggioranza per governare alternativa a quella di centrodestra». Nei continui scambi di questi giorni tra i big del Pd e il segretario, il capo della sinistra interna Andrea Orlando va ripetendo che sarebbe il caso di indicare una prospettiva chiara agli elettori: che, malgrado tutto, «un campo largo, dal terzo polo ai 5stelle, si può realizzare in una maggioranza di governo dopo il voto».
Un segnale che andrebbe trasmesso ora, per dare ai cittadini un'alternativa concreta rispetto a quella di un governo Salvini-Meloni.
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Certo, nessuno sottovaluta le enormi distanze tra i vari antagonisti di centrosinistra, sancite in questa campagna elettorale: i colpi bassi tra Calenda e Conte, quelli di Conte verso Letta (e viceversa).
Il "voto utile" non decolla Ma il flop del messaggio del voto utile (quello al Pd) confermato dai gradimenti in crescita per il terzo polo e i 5stelle, è il segnale che gli elettori sono propensi a scegliere la forza in cui più si riconoscono. Un atteggiamento svincolato da altre considerazioni, «con uno spirito proporzionale e non maggioritario», come va dicendo Letta quando prova a convincere i suoi del pericolo di questo trend. Purtroppo per i dem, non passa il messaggio che per vincere quei 221 collegi uninominali bisogna votare solo per il Pd e non per altri partiti, altrimenti vincono i candidati di destra.
GIANCARLO GIORGETTI MARIO DRAGHI ANDREA ORLANDO
Il ministro del Lavoro, nelle conversazioni con i suoi colleghi, ma anche in recenti interviste sul web, ha fissato due paletti: «Qualsiasi campo alternativo alla destra passa per la sconfitta della destra e per una vittoria netta del Pd». Con un rilancio delle parole d'ordine di questa campagna: «Il Pd vuole battersi per il salario minimo, per migliorare le condizioni salariali, per la transizione ecologica. E il voto al Pd è lo strumento per realizzare un'agenda progressista».
Non dare l'idea di aver perso Per Orlando, meglio andarci piano con le previsioni, «perché nell'ultima settimana cambieranno i numeri e il voto al Pd può essere una scelta fatta all'ultimo momento.
Ma non bisogna dare l'idea che la partita è persa, se no ognuno vota chi gli sta più simpatico». Messaggio simmetrico a quello lanciato da Letta a più riprese.
Ma nel caso si realizzasse la sconfitta annunciata dai sondaggi andati in onda fino al 9 settembre, Orlando - come anche Dario Franceschini - garantisce che non chiederà una defenestrazione di Letta. In realtà pensa più in grande: «Ma se ci troviamo con quelli al governo, ci mettiamo a fare le primarie per il segretario?», ha detto il ministro in una recente intervista.
andrea orlando al ristorante
E se un congresso sarà d'obbligo, «ci sarà da discutere su come farlo. A quel punto andrebbe organizzato un evento rifondativo del campo progressista. Non un congresso del Pd per scegliere un nuovo segretario, magari tra tesi contrapposte: tra chi vuole allearsi con Calenda e chi con i 5Stelle. Quella sarebbe una manifestazione di subalternità e sarebbe il modo per far estinguere il Pd. Bisognerebbe invece interrogarsi più a fondo su cosa fa e dove va la sinistra in Europa o nel mondo».
Il "like" di Zingaretti a Conte Non è solo Orlando a paventare una fine del Pd. Sono in molti a temere uno scontro esiziale se si celebrasse un congresso tra due fazioni contrapposte, tra la sinistra dem con Provenzano candidato e i riformisti con Bonaccini.
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Al Nazareno nessuno dà per scontato che Letta si dimetterà in caso di sconfitta e tantomeno un congresso anticipato. Ma tra i parlamentari dem, circola la preoccupazione che la sinistra del partito possa meditare di staccarsi dalla casa madre. Verso lidi più di sinistra, magari in combutta con Conte per una «cosa rossa» nel segno di Mélenchon, patrocinata magari da personalità come Goffredo Bettini e da Speranza, Bersani e compagni. Non è passato inosservato un «like» di Nicola Zingaretti ad un video di Conte su Instagram, seppur accompagnato subito dalla smentita del suo staff che «è stato un errore». Molti ricordano le parole del governatore, che ha ammesso giorni fa di «non aver gioito per la rottura con i 5stelle», pur definendo «inevitabile lo strappo con il Pd...». Segnali di fumo che fanno tremare chi è ostile alla ricucitura con i 5stelle... -
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