Paolo Tomaselli per corriere.it - Estratti
Gian Paolo Ormezzano Sara Simeoni
Circondato da libri, giornali e da due grandi riproduzioni di Botero — in entrambe c’è una corrida dove a trionfare è il Toro, con la T maiuscola come la squadra del cuore — Gian Paolo Ormezzano, una vita da inviato e direttore fra Tuttosport, La Stampa, Famiglia Cristiana, tantissima tv e ora il Corriere di Torino, svela il segreto della longevità.
Qual è?
«Vivo da solo e lavoro ancora tanto, magari scrivendomi addosso. Ho tre figli e otto nipoti che mi scortano caldamente verso i 90».
Senza tanta tecnologia e foto celebrative.
Gian Paolo Ormezzano
«Per le immagini, la penso come gli animisti: ho paura che mi rubino l’essenza. Per la tecnologia, ho un telefono vecchissimo, l’ho preso quando avevo appena terminato 90° minuto e mi riconoscevano un po’ tutti. La commessa del negozio mi ha chiesto il numero per la garanzia, gliel’ho detto forte, sei sole cifre, e lei di rimando: “Ma perché ce l’ha così piccolo?”. Nemmeno in una scena di Vanzina».
Da maestro di leggerezza, cosa ricorda della guerra?
«D’inverno Giorgio Bocca mi insegnava a sciare. Eravamo sfollati a Limone Piemonte, dove davamo rifugio alla famiglia di Pitigrilli, lo scrittore porno-soft che faceva impazzire l’Italia. Non sapevamo ancora che era una spia dell’Ovra, a noi portava sempre i polli, poi smise all’improvviso: “Sono vegetariano, non mangio più cadaveri”. Ricordo ancora la faccia stranita di mia nonna».
GIANNI MINA - ROBERT DE NIRO - MUHAMMAD ALI - SERGIO LEONE - GARCIA MARQUEZ
Il 4 maggio sono stati i 75 anni dalla tragedia di Superga. Quando la racconta ai nipoti cosa dice?
«Per me è l’assoluto. È l’unica cosa in cui il mio amico fraterno Boniperti, che ha chiamato il suo primogenito Gian Paolo come me, non osava contraddirmi. Lui, come Gianni Agnelli, amava pazzamente quella squadra».
Lei è un tifoso caldo?
«Quando salvarono la Sindone dalle fiamme, il mio amico Veltroni, all’epoca ministro della Cultura, venne a Torino, dove fra l’altro andò a vedere la sua amata Juve, ko 3-0 con l’Udinese. Il giorno dopo ci ritrovammo a Roma per una riunione del Cio in vista di Torino 2006.
Nella sessione, coi microfoni già aperti, dissi a Veltroni di tornare a Torino quando voleva, che la Sindone l’avremmo lasciata anche bruciare purché la Juve perdesse ancora. “Sei il tifoso più bieco che conosca” sibilò lui. “Detto da te è un complimento” replicai. Il presidente del Cio Samaranch ci guardava come fossimo due pazzi».
Gian Paolo Ormezzano
La morte di Coppi del 2 gennaio 1960 fu il vero inizio della sua carriera?
«I capoccia del giornale erano reduci dal veglione e la malattia non sembrava grave, così spedirono a Tortona il giovanotto di redazione. Fu un servizio a colpi di edizioni straordinarie. Il direttore di Tuttosport, Antonio Ghirelli, si complimentò, rimproverandomi però l’uso della parola “nazista” superuomo. Poco dopo mi mandò a Squaw Valley per la prima delle mie 25 Olimpiadi, poi al Tour vinto da Nencini e all’Olimpiade di Roma col trionfo del mio compagno di scuola Livio Berruti: lo riaccompagnai a Torino, prendendo la multa per eccesso di velocità».
Cosa c’era nell’aria in quell’Italia che rinasceva?
domenico fioravanti
«Qualcosa di meraviglioso. Credevamo tutti a tutto e molte cose capitavano. Avevo la sensazione costante di vincere la lotteria. Tutto è iniziato col nuoto: in vasca non ero male, ma perdevo sempre da Carlo Pedersoli, futuro Bud Spencer. Portavo i risultati delle mie gare a Tuttosport».
Il servizio più pericoloso?
«Forse in Biafra, dopo i Giochi africani in Nigeria: avevo un visto fasullo e avevo paura di non tornare, anche perché un tassista mi portò via tutti i soldi».
Il più incredibile?
«A Cape Canaveral, estate 1969, per il lancio dell’Apollo 11 verso la luna: era il record del mondo di salto in alto, dovevamo esserci anche noi. E Gazzetta e Corriere dello Sport furono costretti anche loro a mandare l’inviato. Nel 1966 invece ero stato l’unico giornalista italiano in Cina, con passaporto francese: però mi giocai male lo scoop».
ORMEZZANO
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L’Avvocato la svegliava?
«Sì, ma la chiamata più strana non fu di mattina: mi convocò per chiedermi se non credevo che il granata Gabetto somigliasse molto a Padovano, l’attaccante della Juve...».
Con Alì come andò?
«Nel 1974 a Kinshasa gli feci una lunga intervista durante il massaggio, un grande colpo grazie al mio amico Gianni Minà. Alì sosteneva che uno dei sette re di Roma fosse nero e continuava a dire “Asdrubal”. Lo corressi con “Annibal”, ma quando gli spiegai che era un condottiero cartaginese, peggiorai l’equivoco».
ORMEZZANO I CANTAGLORIE COVER
Minà la invitò alla mitica cena con Alì, Sergio Leone, De Niro e Garcia Marquez. Perché non ci andò?
«Perché pensavo che mi pigliasse per il sedere! Gli risposi che io cenavo col Papa».
Una cena memorabile l’avrà fatta anche lei.
«Argentina 1978, con Bearzot e Sivori. Omar aveva appena terminato di lamentarsi per ciò che si scriveva sulla dittatura, quando ci bloccò la polizia segreta per controllarci i documenti. Bearzot lo pregava: ‘‘Omar non fare scenate, se no ci ammazzano”».
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enzo ferrari.
Come le uscì a Sydney la domanda a Fioravanti, doppio oro nella rana: «Sai nuotare?».
«Volevo chiedergli se sapesse nuotare sott’acqua, ma troncai un pezzo. Mi guardò come un demente».
Oggi c’è uno sportivo che vorrebbe conoscere?
«Forse l’inglese che ha attraversato l’Africa una maratona dopo l’altra. Io ne ho corse due, a New York e a Torino, dove arrivai penultimo ma fui premiato perché l’ultimo non si presentò. Ora ho 14 stent e ho l’aorta rifatta meccanicamente. Era partita col secondo dei miei tre Covid: ho scritto “Gotta continua”».
Gian Paolo Ormezzano
walter veltroni foto di bacco