1. ADOLESCENTE GETTA IL NEONATO DALLA FINESTRA
Rino Giacalone per ''la Stampa''
È una storia drammatica quella di questa ragazza di 17 anni di Trapani. Una ragazza che racconta di aver nascosto fino all'ultimo, per paura, la gravidanza ai genitori, papà agente di polizia e mamma casalinga. Di aver partorito in casa e di aver poi gettato il suo bambino dalla finestra. E di aver fatto tutto da sola. Ieri in casa con lei c'erano la madre e la donna di servizio, che dicono di non essersi accorte di nulla. La giovane racconta di aver avuto il bambino, frutto della relazione con un coetaneo, in bagno da sola, senza chiedere aiuto. Quel bambino che subito dopo ha lanciato dalla finestra della sua stanza al quinto piano. Un salto nel vuoto senza scampo per il neonato.
Lo ha trovato nel cortile interno un inquilino della palazzina, che fa parte di un quartiere di case costruite in cooperativa alla periferia di Trapani e abitate da famiglie della piccola borghesia. Chiamata dall'uomo, la polizia ha impiegato poco tempo per arrivare al quinto piano. La ragazza era sotto choc. Piangendo ha detto poche cose ai poliziotti, del segreto tenuto per nove mesi, e di aver commesso l'infanticidio. Ad indurla a questo drammatico gesto sarebbe stata la paura di una punizione.
GRAVIDANZA
Ricostruendo le ore precedenti, la studentessa ha raccontato di aver iniziato ad avere le doglie, di essersi poi chiusa in bagno, partorendo il figlio, e di essere infine andata nella sua stanza, da dove lo ha gettato dalla finestra. Una vicenda che gli investigatori della Squadra mobile di Trapani non ritengono completamente chiarita. La giovane, dopo un lungo interrogatorio spesso interrotto da crisi di pianto, è stata arrestata per omicidio volontario.
La minorenne si trova ricoverata nel reparto di ginecologia dell'ospedale di Trapani. Tanto orrore in questa storia ma anche molti dubbi. Tra questi, il segreto della gravidanza, che la giovane, di corporatura robusta, dice che sarebbe riuscita a tenere nei confronti dei genitori per nove mesi. Ma non solo. La ragazza infatti sarebbe stata a lungo chiusa in bagno ma in casa non si trovava da sola, bensì con la madre e la donna di servizio, e per andare nella sua stanza ha dovuto attraversare tutta la casa.
Nessuno l'ha vista? Nessuno si è insospettito per quella lunga permanenza nel bagno? Nessun rumore è stato sentito? La donna delle pulizie racconta inoltre di aver pulito il bagno sporco di sangue ma di non essersi domandata il motivo. E infine il neonato, che aveva ancora il cordone ombelicale, ma che era stato completamente pulito. Sul corpo del piccolo sarà eseguita l'autopsia.
2. MA LA DISPERAZIONE NON PUÒ GIUSTIFICARE QUESTA TRAGEDIA
Maria Corbi per ''la Stampa''
Partorire e lanciare dalla finestra quel pezzo di te che dovresti proteggere. Indignarsi o provare paura davanti alla consapevolezza che ci possano essere persone capaci di gesti tanto atroci quanto insensati, è il modo che abbiamo per esorcizzare il male. Spiegarlo è un'altra cosa. Molto più complessa, forse impossibile. Questa volta è stata una diciassettenne di Trapani a trasformare la disperazione e la paura, così ha spiegato alle forze dell'ordine, in un omicidio. «Temevo la reazione dei miei genitori», dice.
gravidanza 1
E in questa frase tutta la debolezza, il fallimento della famiglia e prima ancora di una società che non coltiva le nuove generazioni con il fertilizzante della cultura, dell'appartenenza, della solidarietà e soprattutto della responsabilità. Non si può capire pienamente questo dramma senza conoscerne la sceneggiatura e i protagonisti. Ma il «male» prospera dove banalità, ignoranza, mancanza di prospettive prendono in ostaggio l'umanità. Testimoni ci raccontano la disperazione della giovane mamma ma è difficile fare emergere la pietas in questa vicenda e in altre che mostrano un epilogo così tragico e feroce.
Pochi giorni fa, a Ragusa, un neonato è stato abbandonato nel bidone della spazzatura dentro a un sacchetto. E le pagine del web sono piene di storie simili. Medea è tra noi come lo è il suo gesto vendicativo che vuole incidere sulla collettività. Perché la sua vicenda come quella delle sue epigoni non coinvolge solo vittima e carnefice ma il contesto nel quale sono maturate le condizioni di questo gesto. Forse non ha senso chiedere a una di queste «madri» i motivi del loro gesto, cosa le abbia spinte a uccidere un figlio invece di affidarlo a qualcuno.
NEONATO
Perché vogliamo tutti credere che in quel momento la dissociazione dalla propria azione giustifichi in qualche modo l'abominio. Ma c'è chi ha risposto a questa domanda. «Per me non era un bambino. Ero sola, nel panico, nel dolore. Per me non era come se lo avessi portato 9 mesi dentro di me», ha spiegato Laetitia Fabaron, 32 anni, condannata a 5 anni dalla Corte d'assise dell'Isère in Francia nel 2017. Era meglio il silenzio in cui avremmo potuto cercare una spiegazione balsamica al male. Ma non esiste una ragione, e neanche la disperazione può esserlo. E chiamare in causa la follia può essere una strada troppo comoda.-