Federica Fantozzi per https://www.huffingtonpost.it
GIOVANNI ORSINA
Giovanni Orsina, politologo, professore di Storia Contemporanea alla Luiss, dove dirige anche la School of Government, non è tenero con le scelte della Lega e di FdI: “Draghi è la grande lavatrice che può farli uscire candidi come la neve e rilegittimati a qualsiasi tavolo. Hanno già perso l’occasione di sostenerlo compatti dopo l’appello di Mattarella, ma fanno ancora in tempo”. Non che sia facile: “La navigazione di questo governo sarà difficilissima. Ma bisogna esserci per togliersi di dosso le due sindromi che affliggono Meloni e Salvini: quella delle fogne e quella del Papeete”.
Sì, no, forse. Il centrodestra andrà da Draghi con tre delegazioni su tre posizioni diverse. Che scelta è?
salvini meloni
Incomprensibile. Il centrodestra ha incassato una vittoria enorme: il fallimento della maggioranza nata nel 2019 contro Matteo Salvini. E’ in una posizione di forza. Considera il voto la strada maestra? Benissimo. Ma il presidente della Repubblica, con una decisione che può essere criticabile ma resta legittima, ha detto di no. E ha tirato fuori dal mazzo la carta migliore che l’Italia oggi è in grado di esprimere. In più, non certo un uomo di sinistra.
Quindi, cosa avrebbero dovuto fare Lega, FdI e Forza Italia?
Metterci subito il cappello sopra. Se il centrodestra compatto avesse annunciato il sostegno a Draghi avrebbe fatto un numero politico incredibile, giocando d’anticipo e spiazzando il campo avversario. Il M5S si sarebbe spaccato e il centrodestra sarebbe diventato centrale in tre partite cruciali: la gestione del Recovery Fund, l’elezione del prossimo capo dello Stato e la nuova legge elettorale. Era un rigore a porta vuota…
salvini meloni
E come si fa a mancare un rigore a porta vuota?
E’ la domanda cruciale.
Forse temevano che il tiro si trasformasse in autogol…
Le do due titoli che corrispondono alle due sindromi di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Non della Lega, si badi, del suo leader. Quella della Meloni è la “sindrome della fogna” che viene dagli anni 60. Capiamoci: io sono contrario alle delegittimazioni, credo che il fascismo sia morto e sepolto e che continuare a usare l’arma dell’antifascismo per ghettizzare Fratelli d’Italia sia assurdo. Ma loro devono essere i primi a non auto-ghettizzarsi: devono ragionare da forza di governo.
Per togliere gli alibi a chi ghettizza, però, bisogna essere ferrei con chi sgarra: i saluti romani, gli atteggiamenti razzisti, la minimizzazione dell’assalto a Capitol Hill…. Lei vede questo?
giovanni orsina
C’è una parte di elettorato – i non riconosciuti, i “forgotten ones” - che si sente tagliata fuori ed è arrabbiata. Non succede solo in Italia, è un fenomeno globale. Questi elettori in democrazia vanno rappresentati: la loro rabbia però non va tenuta in un ghetto e lasciata fermentare, va scaricata a terra.
Bisogna dare loro una prospettiva politica e anche di governo. Una conventio ad excludendum non aiuta, mentre stare al governo responsabilizza, come per il M5S. Guardiamo Virginia Raggi: governare Roma era complicato anche per Veltroni, Alemanno e Marino, adesso se ne sono accorti anche i grillini e chiedono indulgenza.
Si potrebbe obiettare che Meloni e Salvini sono già stati al governo. E non sono cambiati.
Ambiguità come il tweet della Meloni su Trump possono esserci. Fa parte di una certa retorica propagandistica e comunicativa. L’importante è che sulle scelte dirimenti siano schierati dalla parte giusta. E oggi la parte giusta per l’interesse del Paese, comunque la si pensi politicamente, una volta tolte le elezioni dal tavolo, è Mario Draghi.
Due sindromi affliggono la destra sovranista, lei diceva. Qual è quella di Salvini?
giorgia meloni saluta matteo salvini foto di bacco
La versione postmoderna di quella meloniana: la sindrome del Papeete. Che non nasce da una lunga storia di marginalizzazione bensì da una contingenza estiva, ma ha lo stesso effetto: l’opposizione è diventata la sua zona di conforto, il vasto mondo lo spaventa. La Lega non ha questo problema: è un grande partito che amministra le regioni del Nord e con Bossi è stato lunghi anni al governo. E’ la mutazione salviniana: la citofonata, l’onnipresenza mediatica. Bulimia comunicativa che diventa anoressia istituzionale.
Non è tenero con Salvini, che però ha quadruplicato le percentuali del suo partito. L’unico a seguire la sua ricetta sull’appoggio a Draghi finora è stato Silvio Berlusconi. Gli gioverà?
A Forza Italia sì. Ma dal punto di vista del recupero degli elettori arrabbiati – che è il vero interesse del Paese – Berlusconi non serve perché non ha né i voti necessari né quel tipo di elettori.
giorgia meloni bruno vespa matteo salvini foto di bacco
Insomma, come finirà?
La politica è l’arte del possibile. Senza le elezioni, serve un Piano B. Draghi è la grande lavatrice che può fare uscire Salvini e Meloni candidi come la neve e rilegittimarli su qualunque tavolo. Come farebbe poi il Pd a mettere veti di qualsiasi genere? L’occasione di sostenerlo subito dopo l’appello di Mattarella è sfumata, ma fanno ancora in tempo a dire Sì.
Meloni si è spinta fino all’astensione collettiva. Non può essere una mediazione?
Per lei può essere un passo intermedio, ma Salvini ha fatto bene a escluderla. Deve decidere cosa vuole fare da grande. Un leader non può avere sindromi comportamentali: deve darsi obiettivi politici. Se si consolida anche in Italia la “maggioranza Ursula”, tagliando fuori la Lega, e magari la legge elettorale viene cambiata in senso proporzionale, Salvini rischia di non toccare mai più palla. E con lui i suoi elettori.
salvini meloni e berlusconi in conferenza stampa
Pensare che il Sì a Draghi sia il lavacro per diventare tutti europeisti non è semplicistico?
Capovolgiamo i termini della questione: Lega e Fdi hanno un’altra idea di Europa. Certo, l’Italexit era pesante, ma Borghi e Bagnai hanno detto per anni che bisognava monetizzare il debito, e la Bce sta facendo una politica diversa iniziata proprio con il “whatever it takes” di Draghi. Le cose cambiano…
Recovery, vaccini e ristori mettono tutti d’accordo. Ma l’estate prossima, i barconi li facciamo attraccare in porto o no?
Certo, le difficoltà di navigazione per il governo Draghi saranno immense. Ma come disse Margaret Thatcher agli spagnoli che volevano entrare nell’Unione Europea: dovete negoziare da dentro. Il compito che ha davanti questa squadra è da far tremare le vene ai polsi. Ma vale la pena di provarci. E di togliersi di dosso una volta per tutte l’odore delle fogne e del Papeete.