Stefano Cappellini per “la Repubblica - Edizione Roma”
vasco rossi al circo massimo
La prima volta che Vasco Rossi si esibì in concerto a Roma era il 1983, Bollicine tour a villa Gordiani, al Prenestino, il sindaco della città era il comunista Ugo Vetere, nella Roma giocava Paulo Roberto Falcao, il biglietto per il concerto costava 2 mila lire, per chi sa di che conio stiamo parlando.
«Roma era irraggiungibile per me, una volta. Andare da Zocca a Bologna era già elettrizzante, Milano era come andare a New York. Roma caput mundi era oltre», ha raccontato Vasco qualche anno fa. Da quella prima volta non fortunatissima, aveva piovuto tutto il giorno e villa Gordiani era un pantano, raccontano i testimoni che pure Vasco fece un paio di gran ruzzoloni, Roma è la tappa che pochi fan saltano, ci arrivi bene da Caorle e da Gioia del Colle, a metà strada per tutta la nazione, come gli incontri tra i fidanzati a distanza.
vasco rossi al circo massimo
Ieri sera e quella prima c'erano settantamila persone a botta a celebrare il ritorno del Komandante in città, al Circo Massimo, qualcuno con il biglietto comprato da due anni e tenuto in cassaforte causa pandemia. Professionisti, impiegati, commercianti, studenti, disoccupati, commessi, spiantati con il reddito e spiantati senza reddito - l'ultimo vero rito interclassista di questo dannato Paese - settantenni come le star del Roxy bar, adulti risolti e adulti mal cresciuti, ventenni accampati dalla sera di venerdì ai cancelli per guadagnarsi il fronte del palco, ragazze e ragazzi che hanno ereditato la religione in qualche punto finale del secolo scorso o del nuovo millennio, perché in quel 1983 di villa Gordiani non erano nati loro e, in qualche caso, nemmeno chi li ha messi al mondo.
vasco rossi al circo massimo
Immaginatela come la sequenza sull'evoluzione della specie, dall'australopiteco all'homo sapiens, qui si va dal vinile, i pischelli con il walkman e le musicassette, i coatti con lo stereo in spalla, l'autoradio estraibile grossa come un mattone, il cd, Napster, l'i-pod, fino a Spotify e Youtube, la tecnologia cambia e non cambia nulla, la musica è sempre quella di Vasco: "Alexa, metti Vivere una favola".
"Finalmente! Finalmente! Finalmente!", esordisce lui dal palco monumentale come un Colosseo e il boato del Circo Massimo è gioia, certo, ma pure promessa: mai più distanti, mai più senza. Partono le note di XI comandamento, un pezzo dell'ultimo album che è un gioiello di anti-populismo, semplice e adamantino come tutta l'arte paroliera di Vasco ("Conviene arrendersi all'evidenza/ conviene accorgersi della distanza/non puoi discuterci con l'ignoranza/ conviene arrendersi a oltranza") e la musica arriva subito non solo nei quartieri limitrofi, Aventino, San Saba, Testaccio Trastevere ma - chiedetelo a chi ci abita, se non ci credete - si sente fino alla Montagnola, all'Esquilino, a San Paolo, qualcuno dice ai Castelli.
vasco rossi al circo massimo
Mezza città coperta dalle onde delle canzoni di Vasco e per una sera ci si scorda la capitale depressa, la monnezza, i bus flambé, i cinghiali, Roma è davvero di nuovo caput mundi, perché onestamente - quanti stasera nel pianeta sono più felici di chi è qui?
Eeeh, oooh, badabadà.
La scaletta copre quarant' anni di repertorio, ripesca chicche come Amoreaiuto ("Un pezzo d'amore degli anni Ottanta, quando si ballava nelle discoteche!", mah, sembra proprio parlare d'altro e qui i millennial metterebbero una faccina che ride) o Ti taglio la gola, chiusa con una variante sporcacciona del testo e mimando con le mani il sesso femminile come nei vecchi cortei delle femministe, «ringraziamo il cielo che ci ha dato la femmina», urla Vasco, e non scambiatelo per orgoglio etero, è il manifesto di un libertario vero, è Sant' Agostino riletto sull'Appennino modenese, ama Vasco e fa ciò che vuoi.
vasco rossi al circo massimo 8
Arriva Rewind e centinaia di ragazze salgono a seno nudo sulle spalle di amici e volenterosi, il maxi- schermo le inquadra, il Circo massimo è un tappeto mobile di corpi che ballano e si liberano, ama e fa ciò che vuoi, e anche stavolta il pezzo si chiude con una strofa modificata, per alludere a pratiche di sesso che ormai si possono dire senza polemiche solo a un concerto del signor Rossi, persino quando esce lo spirito da zanza di Zocca, «siamo al Circo Massimo, viva la biga!», perché si sa che nel suo mondo è la donna che comanda, ispira e decide: c'è chi dice è una strega tanto lei se ne frega/ai giudizi degli altri non fa neanche una piega.
vasco rossi al circo massimo 2
Rimbombano pure le hit dei Novanta come Delusa e nella tribuna degli ospiti Claudia Gerini balla scatenata mentre un'amica le urla divertita: «Questa è la canzone tua!».
Vasco è un generoso, un antiproibizionista, un pacifista, manda affanculo la guerra che «è contro le donne, contro gli anziani, contro i bambini, dove c'è musica non c'è guerra e dove c'è guerra non c'è musica».
Poi spedisce i social a fare compagnia alla guerra: ognuno in fondo perso dentro al suo Instagràm, è la versione 2022 di Vita spericolata e mai come alla fine di questo nuovo verso è parso in un lampo chiaro a tutti quale è diventato il guaio peggiore di una vita piena di guai. Vasco detesta le pubbliche virtù dei social perché nel codice cavalleresco che condivide con il suo pubblico nessuno è giudicato e nessuno giudica, né la pazzia di Jenny né le carezze di Sally, nemmeno quelle sospette bollicine, e Vasco sa da sempre che i moralisti di professione sono i più immorali e dio sa se la storia della nazione gli ha dato ragione, eeeh, oooh.
vasco rossi al circo massimo 3
Lancia uno dei suoi pezzi più politici, C'è chi dice no, «una canzone attuale, molto attuale», ed è uno dei pochi classici-classici della serata, a parte la chiusura con Canzone, sempre struggente, dedicata a chi non c'è più, Toffee, che quando è partito il sax del ritornello s' è squagliato l'ultimo cuore ancora integro in piazza, e ovviamente Albachiara, «la canzone della mela», come la chiamò la mamma di Vasco intervistata in un documentario di qualche anno fa perché proprio non le veniva il titolo e in quella spontanea tenera afasia c'era il lessico familiare di qualche milionata di italiani.
vasco rossi al circo massimo 1
Il Blasco, del resto, può permettersi di non mettere in scaletta Ridere di te, Ogni volta, Canzone per te, Ciao e decine di altri capolavori, tanto della sesta traccia dell'album Cosa succede in città sanno comunque tutti le parole e quando attacca Sballi ravvicinati del terzo tipo, che uscì nell'album Non siamo mica gli americani!, Lotus edizioni 1978, beato chi ha il vinile originale, in 70 mila alzano tutte e due le braccia al cielo agitando le mani al cielo mentre aspettano gli ufo, tanto sanno già che gli ufo non arriveranno e saremo noi a decollare, "fu allora che presero il volo", abbiamo volato davvero e se non ci credete neanche stavolta, chiedetelo a chi c'era, sempre che nel frattempo sia atterrato.
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