Estratto dell’articolo di Francesco Bechis per www.formiche.net
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(…) L’Italia arriva al primo, grande test internazionale senza una nuova bussola per la politica estera post-pandemia. In questo senso, dice a Formiche.net Angelo Panebianco, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna e firma del Corriere della Sera, è bene non riporre troppe aspettative nella kermesse romana. “Il prestigio internazionale di Draghi è un grande vantaggio per il Paese. Ma il Paese non cambia dalla notte al giorno”.
mario draghi joe biden
Una finestra di opportunità c’è: con la cancelliera tedesca Angela Merkel ormai alla porta e il presidente francese Emmanuel Macron alle prese con una nuova stagione di turbolenze interne, Draghi ha spazio di manovra per reclamare il timone della politica estera europea.
Non è un caso che abbia scelto di puntare sul G20 come biglietto da visita della nuova fase. Il consesso multilaterale, la presenza dell’alleato Joe Biden e di competitor come Russia e Cina, offrono all’Italia una chance per lasciare il timbro sull’agenda. “Ma Draghi è anche premier di un Paese che si porta dietro più di un fardello”, dice Panebianco. “Su tutti, il debito pubblico, che intralcia le ambizioni di qualsiasi Stato ne sia oberato, e un’attitudine della classe politica italiana ad anteporre lo sport alla politica estera”.
mario draghi angela merkel
L’emergenza sanitaria, le riforme, una maggioranza affollata e scossa dagli strattoni dei partiti hanno facilitato la distrazione. Basta passare in rassegna i grandi dossier della diplomazia europea, dai rapporti con la Cina alla deterrenza russa, dall’ambiente alla difesa integrata, per constatare l’assenza di una road map italiana.
VLADIMIR PUTIN E XI JINPING
Dopotutto, riprende il professore, “questa ambiguità è specchio di un’ambiguità europea”. “Prendiamo Russia e Cina: trattati come “rivali sistemici” dagli Stati Uniti, in Europa un giorno sono competitor, un giorno alleati. L’Europa, in fondo, ha paura a fare una scelta di campo”.
Il caso cinese è eloquente. Negli ultimi due mesi il quadrante dell’Indo-Pacifico e la competizione cinese hanno scalato l’agenda internazionale. Prima con Aukus, il patto militare fra Stati Uniti, Regno Unito e Australia. Poi con l’escalation di tensioni a Taiwan, l’isola che Xi Jinping vuole riportare fra le braccia della Cina continentale, con le buone o le cattive maniere. E il fattore Cina tocca tutti i fronti del G20, dai piani europei per l’energia green alla corsa ai microchip e ai metalli per costruirli.
ursula von der leyen consegna a mario draghi la pagella di bruxelles al recovery plan italiano 1
Per l’Italia di Draghi, la kermesse romana potrebbe essere il palcoscenico ideale per dare una linea, dopo due anni di ambiguità e qualche sbandata ai tempi dei governi Conte. Senonché, dice Panebianco, “l’Italia non ha le idee chiare, perché non le ha chiare neanche l’Europa”. “C’è una grande difficoltà a trattare con i regimi autoritari, Erdogan lo ha dimostrato. Non ha avuto bisogno di cacciare dieci ambasciatori, hanno fatto marcia indietro da soli. Scuse implicite”.
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Non sarà allora il G20 a segnare un cambio di passo. Anche perché lo stallo della politica estera europea è unanime. “La Francia non può più pensare di ripercorrere la vecchia idea di un’Europa a egemonia francese coltivata da De Gaulle. La Germania, sia pure indebolita, ha ancora il potere economico per bloccare le velleità francesi e italiane”.
Meglio accontentarsi di un’ordinaria amministrazione, chiosa la firma del Corriere. Evitando di giocare a “un gioco pericoloso”. “Quella tentazione tipicamente italiana di voler fare da pontieri tra un blocco e l’altro. Lo facciamo con chiunque: proporsi come mediatori è un modo per evitare che i conflitti esterni esasperino quelli interni. Raramente funziona”.
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