Dal profilo Facebook di Pierluigi Panza
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Qualche settimana fa, durante una cena tra amici, un presidente di Regione ha confidato che quando invita qualcuno in ufficio preferisce pagare lui il caffè poiché se facesse acquistare dalla Regione delle cialde dovrebbe compilare per ogni caffè offerto tre o quattro pagine di moduli giustificativi. Dopo il ‘92 l'Italia ha deciso di combattere l’endemica corruzione attraverso la moltiplicazione delle pratiche burocratiche, diventate poi pratiche digitali. Chiunque muova un dito si trova assediato da un esercito di carta (o di pdf), che ricorda la casa dei fratelli Collier raccontati da Doctorow, che morirono soffocati per l’accumulo di carte.
L'ideale gestore della cosa pubblica è il funzionario che non muove un dito. Nel maggior teatro di questo Paese, la Scala, intorno al 2015 compare uno strano personaggio, una specie di “impresario teatrale” mozartiano del Settecento che risponde al nome di Alexander Pereira.
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Questo Pereira, in gioventù manager Olivetti, aveva portato il teatro di Zurigo a livelli mai più visti e aveva fama di essere un ottimo fund raiser - tanto che c'è di che sentirsi umiliati a essere sempre chiamati a dirigere teatri perché porta valigette di soldi dei suoi amici. Lo individuò a Salisburgo un uomo che era vicino a quello che, mi pare, si chiami Centrodestra, ovvero Bruno Ermolli, compianto vicepresidente della Scala - ed è assai singolare che Pereira venga congedato, lui, una specie di Ronald Reagan dei teatri, mentre il cosiddetto Centrodestra sarebbero alla gestione del Paese.
de souza pereira
Ma per i radical-chic Ztl l'estetica conta più del denaro (che già hanno). Claudio Abbado aveva avuto molte donne in vita sua, ma era il guru della sinistra meneghina, poteva. Anche il predecessore di Pereira, Stéphane Lissner, ebreo ungherese di genealogia ma francese dall'occhio ceruleo di nascita, vantava un vasto carnet di mogli o compagne che a quanto ne so ha trovato ulteriore configurazione con una giornalista dalla quale aspetta, lui settantenne, un bel bambino.
Ma Lissner era parigino di sinistra, poteva. Pereira era un viennese che si presentò in doppiopetto grigio accompagnato dalla sua compagna di allora, che è la compagna di oggi: Danielle, una ragazza brasiliana di un quarant'anni più giovane. La sinistra Ztl meneghina (l’ottima Aspesi compresa, innamorata di Lissner) vide in lui il fantasma di papi Silvio. “Repubblica”, allora imbevuta di antiberlusconismo, incominciò a prenderlo di mira.
Pereira doveva portare “soldi, soldi, soldi” come dice una canzone di Sanremo, oltre che cantanti e spettacoli. Ma era un impresario teatrale d'altri tempi: uno che chiamava i cantanti messaggiandoli sul telefonino e poco se ne importava di avvisare poi i manager, di compilare il modulo antimafia, anticorruzione, di occuparsi del codice fiscale eccetera eccetera...
pereira
Allo stesso modo cercava gli investitori: li invitava a casa sua, cucinava il branzino acquistato da Claudio “Pescheria dei Milanesi” in via Ponte vetero, branzino che metteva in nota spese. Oppure affittava un elicottero per andare a prendere i ricconi possibili finanziatori. Quando gli si faceva notare che questo non era nella policy la sua risposta era più o meno: “lasciatemi lavorare” (e, di nuovo, il fantasma di Silvio), oppure, che vi importa se spendo 50.000 euro se poi questi portano al teatro 5 milioni? Niente, si è andati avanti così, senza mai uno sciopero dei dipendenti.
Poiché doveva assicurare spettacoli per la stagione 2015 (quella Expo) quando non aveva ancora il diritto di firma (perché affiancava l’uscente Lissner, che se ne andava a Parigi sei mesi dopo aver firmato per la Scala) pensò di assicurarsi alcuni spettacoli dal Festival di Salisburgo, che aveva diretto. “Repubblica” ci vide un conflitto di interessi. Pereira fu “processato” dalla giunta Pisapia (che a titolo personale mi parve non ce l’avesse con lui) e gli fu decurtato del 50% lo stipendio. Sostanzialmente sì passo da Lissner che, con i rimborsi quasi si avvicinava al milione di euro a Pereira che ne guadagnava 100.000. Pereira fece piangere con l'addio a Pretre, portò Lorenzo Viotti… ma il punto non erano mai i direttori o gli spettacoli, bensì i soldi e il pedigree.
ALEXANDER PEREIRA SCALA
Così, a un certo punto, in quel nascente mainstream, Pereira tirò fuori una storia che pareva leggenda: quella dell'antenata ebrea sefardita antesignana dei movimenti femministi che aveva ospitato Mozart a suonare sul suo pianoforte. Non fu abbastanza. Nessuno, in compenso, fece mai un servizio sull’asilo per bambine non autosufficienti in India che Pereira finanziava con Zubin Mehta nel luogo dove suo padre, un diplomatico austriaco, era morto precipitando in aereo. Lui era papi Silvio, quello che comprava il branzino in doppiopetto e messaggiava i cantanti. Quando andò a chiedere soldi alla compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita, anche qui ovviamente senza accortezze e burocrazie, sinistra e Lega si coalizzarono al grido “giù le mani degli arabi dal nostro teatro”. Questo, sostanzialmente, segnò la fine dell'avventura di Pereira a Milano.
daniela weisser alexander pereira
Tuttavia, l'area renziana-franceschiniana, Nardella e Salvatore Nastasi, allora potente numero 1 del ministero, lo “dirottarono” verso Firenze. Forse che a settant'anni Pereira potesse cambiare all'ombra della cupola del Brunelleschi? Ovviamente no. Fu chiamato come Sovrintendente del Maggio Musicale Fiorentino alla fine di 2019, quando la Fondazione del Teatro aveva un debito di 57 milioni di euro con un enorme problema di cassa e una necessità di creare un utile intorno a 3,5 milioni di euro tramite programmazione artistica, biglietteria e ricerca sponsor… in mezzo alla pandemia.
Ci sarebbe voluto il mago Houdini, ma ancora una volta fu chiamato lui, come se fosse una slot machine. Il problema del Maggio musicale fiorentino era ed è il suo teatro, ovvero nasce dall'infelice decisione assunta nel 2008 dalla giunta di Paolo Desideri di costruire un mastodonte di cemento armato nei pressi del Parco delle cascine in sostituzione del vecchio teatro comunale, un luogo fuori dal centro storico e, come tutta l’architettura moderna, costosissimo in termini impiantistici. Che turisti vanno lì? Nessuno. I fiorentini? Insomma.
daniela de souza e alexander pereira
Che cosa sarebbe oggi la Scala se, anziché tornare prontamente al Piermarini fosse rimasta nel periferico Arcimboldi di viale Sarca? Sarebbe un'altra cosa forse un quasi niente e bisogna ringraziare Lissner che mollò in fretta gli Arcimboldi. La magia del teatro italiano, almeno per i non espertissimi melomani, sta anche in quella magia lì, nel teatro settecentesco, nei palchi, nei velluti, foyer, bei vestiti delle signore…
A Firenze, dove l'opera è nata, si va in un cubo di architettura moderna aperto nel 2011. Lo so che a Parigi c’è l’Opera Bastille e l’Opera Garnier ma è un’altra cosa! Negli ultimi 6 mesi, il Maggio ha comunque aperto una nuova Sala dedicata a Mehta con il “Fidelio”, ha vinto il premio Abbiati con il “Ritorno d’Ulisse in Patria” nella regia di Robert Carsen, premio che il teatro non vinceva da 17 anni e si è aperta la Sala Grande con un gran “Don Carlo” diretto da Daniele Gatti ed è stato dato un grande spettacolo come il “Doktor Faust” di Busoni con la regia di Davide Livermore, che meriterebbe il Premio Abbiati. Nonostante la pandemia, Pereira ha portato 9,7 milioni di euro di sponsorizzazione e nei primi 4 mesi del 2023 ha aumentato la biglietteria a 1.200.000 euro lordi. Il 2022 è stato, però, difficilissimo, anche per l’aumento delle bollette.
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Perché, allora, se ne va Pereira? Forse non ha portato abbastanza soldi, ha messo in nota spese, di nuovo, il branzino ma un po’, come dice lui stesso in una lettera a Nardella, perché è stufo del Paese della burocrazia ed è stufo di un giornalismo che cerca scoop e scoopini senza comprendere la complessità delle cose:
“La vera ragione per la mia dimissione – scrive - è un fatto personale. A parte di avere un compito molto difficile, di essere allo stesso momento sempre attaccato dall’interno del teatro e dall’esterno, specialmente dalla stampa. Così non ho avuto mai un momento di tranquillità, e questa situazione mi ha fatto perdere 20 chili e mi ha anche portato a un momento di crisi di salute all’inizio di dicembre… questa esperienza a Firenze è diventata così triste, tanto che non mi sento più continuarla”.
ALEXANDRE PEREIRA
Che i sovraintendenti italiani debbano lasciare a 67 anni per raggiunti limiti di età mentre gli stranieri possano dirigere i teatri oltre i 70 e' un’anomalia, e questa poteva essere una ragione, anche giuridica, per chiudere con Pereira e con altri. Ma trovo davvero singolare che a condannare il cowboy naif dei teatri corrisponda all'arrivo del centrodestra nella gestione nazionale. Il centrodestra, come mi hanno spiegato mille volte gli amici, deve trovare un posto all’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes, già sovrintendente di teatri, per liberare il suo posto in Rai (ma tanto chi li ascolta quei commentini da prima elementare che i politici recitano su Rai Uno alla sera?).
Il naif Pereira incarnava perfettamente una logica libera, forse un po’ troppo, non dominata dalle burocrazie e dai giudici. Se fosse in America a dirigere un teatro sarebbe il numero 1. Certo in Europa e in Italia è un'altra cosa e non ha voluto adattarsi, lui a noi e noi a lui. Dunque, si chiamino subito dei giovani e morigerati funzionari dal catasto (oppure dei funzionari multigender) a dirigere i teatri italiani. E che vadano tutti in mensa.
fuortes