1 - TRAGEDIA SUL ROSA MEZZ' ORA PERSA TRA I RIMPALLI DEL 112
Enrico Martinet per “La Stampa”
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Una telefonata di aiuto che s'insegue per quattro città fa da sfondo alla morte delle due giovani piemontesi assiderate nella tarda serata di sabato sul Monte Rosa. Paola Viscardi, 28 anni, Martina Svilpo, 29 e il loro compagno Valerio Zolla, 27, ora ricoverato nell' ospedale di Sion, capitale del cantone svizzero del Valais, sono state raggiunte a 4.115 metri, immersi nella bufera, alle 21,30, sette ore dopo la prima telefonata al 112 fatta da Valerio.
La notte è giunta nel pomeriggio con una bufera, prima con il temporale, poi con la neve, che ha limitato a pochi metri la visibilità e ha sviato i tre amici. La chiamata di Valerio delle 14,30 è stata rapita dal numero unico di emergenza di Saluzzo.
Il tempo di dirsi in difficoltà per vento e nebbia e di indicare una meta, Balmehorn, poi soltanto confusione, linea interrotta. La chiamata è stata geolocalizzata, registrata e inoltrata a Novara (il Monte Rosa ha radici in due valli valdostane, due piemontesi e una svizzera), di qui rimbalzata a Torino dove ha sede il soccorso alpino piemontese e quindi, per competenza, finita ad Aosta. Erano le 15.
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Si è persa mezz' ora e anche la possibilità di avere dati più precisi. Uno dei problemi sollevati dal soccorso alpino con il numero unico di emergenza è proprio l' impossibilità di poter parlare subito con chi è in difficoltà. Le guide alpine ricordano come «anche un piccolo dettaglio per chi conosce la montagna può indirizzare l' intervento».
Valerio non ha più chiamato fino alle 19,30, quando ormai i tre amici erano allo stremo delle forze. E proprio con questa seconda telefonata le guide hanno potuto comprendere dove fossero i tre alpinisti dispersi perché Valerio ha detto: «C' è una schiarita, vedo il Cristo delle vette». È la statua sulla cima del Balmehorn.
Ciò indicava che i tre erano di fronte, sulla Pyramide Vincent. E lì sono stati trovati alle 21,30: le ragazze in agonia, il giovane sotto choc e con le mani congelate (aveva dato i suoi guanti a Paola).
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Le squadre di soccorso avevano raggiunto a piedi il Balmehorn nel pomeriggio. Si erano organizzate subito dopo l' arrivo della chiamata delle 15. Non avevano trovato tracce. I ragazzi, invece di scendere, confusi dalla bufera, sono saliti sulla Pyramide pensando forse di raggiungere il rifugio del Balmehorn.
Proprio le ultime indicazioni date da Valerio indicano quanto sia importante per un soccorritore poter parlare con chi è in difficoltà. Il 112, che ha l' indubbio vantaggio di offrire celerità e evitare che forze dell' ordine e sanitari perdano tempo per falsi allarmi, ha lo svantaggio del filtro iniziale.
Tutto viene registrato, ma mancano le domande che una guida può porre all' alpinista in difficoltà, così come i consigli.
L' operatore del 112 che prende la chiamata deve trasferirla alla centrale operativa di secondo livello che decide il da farsi. Non così in altri paesi: non in Svizzera e neppure in Francia, dove, oltre al 112 permane la possibilità di chiamare il soccorso alpino.
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Nel giro di pochi giorni, soltanto in Valle d' Aosta, sono tre i casi di comunicazioni imperfette. Nello stesso giorno in cui Paolo, Martina e Valerio venivano avvolti dalla bufera, un altro intervento di soccorso è stato fatto nel gruppo del Gran Paradiso, ma ci sono stati problemi e soltanto per un' intuizione le squadre hanno raggiunto il punto giusto, tra Piccolo e Gran Paradiso. Un giro di telefonate, alcuni giorni fa, sempre per un incidente sul Monte Rosa, è passato da Aosta a Novara, quindi ad Alagna e di nuovo ad Aosta.
2 - ABBRACCIATE NELLA NEVE
Niccolò Zancan per “La Stampa”
Non è vero che fossero vestite in modo inadatto per la montagna, così come non è vero che non avessero i guanti. Paola Viscardi e Martina Svilpo, li avevano eccome: sabato mattina erano partite per l' escursione sul Monte Rosa con le giacche a vento, i pantaloni da sci, avevano i ramponi da ghiaccio e le funi con i moschettoni per proteggersi in cordata.
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Le hanno trovate abbracciate, nella neve fresca, alle 21,30, sulla cresta Vincent. Una di loro è riuscita ancora a pronunciare il suo nome: «Non riesco a alzarmi, non posso camminare». Accanto c' era Valerio Zolla, 27 anni, l' unico superstite, che aveva dato anche i suoi guanti alle due ragazze. Si è salvato nel tentativo continuo di cercare campo per chiamare i soccorsi, cioè grazie al fatto di non essersi mai seduto troppo a lungo. La temperatura in quel momento era di 5 gradi sotto zero, e prima la pioggia e poi raffiche di vento ghiacciato e una nebbia densa avevano trasformato quel posto meraviglioso in un angolo di inferno.
«Ogni estate riceviamo in media quattro richieste d' aiuto da parte di escursionisti smarriti nella nebbia, il più delle volte si risolvono nel giro di mezz' ora», dice con tristezza il capo del soccorso alpino valdostano Paolo Comune. «Sabato si sono concentrate circostanze tremende e sfortunatissime».
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Da qui, Gressoney, sono partite le ricerche dei tre amici. Da questa montagna verde e pacificante, che in cima resta bianca di ghiaccio anche in piena estate. Erano le 14,30 quando è arrivata la chiamata. «Non abbiamo parlato direttamente con i ragazzi. Nemmeno sapevamo quanti fossero. L' intervento ci è stato girato dal 112 piemontese. Diceva così: "Persone in difficoltà per la nebbia nella zona del Cristo delle vette. A 3900 metri di altitudine". Siamo partiti immediatamente».
Ma l'elicottero nella nebbia non poteva avvicinarsi troppo. La prima squadra per le ricerche è stata lasciata al Rifugio Mantova alle 15: quota 3600. Bisognava salire ancora. Mentre la tempesta si stava avvicinando.
«Sono passaggi di roccia e neve, poi c' è il ghiacciaio Indren, con crepacci profondi anche 60 metri. I nostri soccorritori hanno fatto tutto l' anello intorno al bivacco Balmen Horn. Urlavano nel vento, fino a quando hanno sentito altre urla, ma erano le persone dentro il bivacco. Così hanno chiesto silenzio per evitare confusione. È un ambiente glaciale. Non si vedeva nulla. I nostri si muovano grazie al Gps».
Ovviamente continuavano a chiamare il numero da cui era partita la richiesta d' aiuto.
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Ma era sempre scollegato. Il direttore del soccorso alpino ha chiesto ai carabinieri di provare a localizzarlo. A quel punto, c' era una nebbia che non lasciava vedere oltre tre metri: bianco su bianco. Il vento disperdeva le grida in una sola direzione. Poi ha incominciato a piovere: grandine e neve.
«I primi soccorritori sono tornati al rifugio alle 19. Non avevano trovato nessuno nella zona indicata». Alle 19,20 Valerio Zolla è riuscito a chiamare per la seconda volta il numero unico dell' emergenza.
Erano frasi concitate, disturbatissime. Ha detto: «Vedo punta Giordani». Ma una vetta si può vedere da diverse prospettive. L' elicottero del soccorso alpino si è alzato nuovamente in volo, mentre i carabinieri hanno spiegato: «Quel telefono si collega a un cella della Svizzera». Quindi molto oltre. Più su ancora. Verso il confine.
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E finalmente, in un attimo di schiarita, li hanno visti: una macchia di giacche a vento colorate sul bianco. Erano 50 metri sotto la vetta della Piramide. «Cresta Vincent!», hanno detto gli ospiti del bivacco. Anche loro li avevano avvistati. Così i soccorritori sono partiti nuovamente. Un' ora con le funi e i moschettoni e gli arpioni per non scivolare sul ghiaccio. I primi due sono arrivati nel punto esatto alle 21,30: le giacche erano ghiacciate. Anche i capelli delle ragazze erano bande dure sotto i cappucci. Oltre quel punto in salita c' era un precipizio, indietro in discesa c' era la salvezza: a venti minuti. Ma non si vedeva niente: né l' uno, né l' altra.
«Abbiamo capito subito che la situazione era molto grave. Una ragazza aveva perso conoscenza, l' altra non riusciva a muoversi. Solo Valerio Zolla era in grado di camminare. Ci siamo legati tutti, e abbiamo iniziato la discesa mentre veniva buio».
Mezz' ora più tardi l' elicottero chiamato dalla Svizzera li ha raggiunti. «Sentivamo il rotore sulle nostre teste». Ma è stato impossibile atterrare.
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Così hanno dovuto proseguire nella neve, a piedi, legati stretti, poi con le barelle. Sedici persone impegnate nei soccorsi. Al rifugio Mantova era già tutto pronto. C' era il medico rianimatore. Un tavolaccio era stato trasformato in branda. C' era l' adrenalina sottocutanea, il defibrillatore, c' era l' ossigeno. Sono arrivati anche i medici svizzeri scesi dall' elicottero. E tutti insieme, per due ore, hanno provato a richiamare in vita Paola Viscardi e Martina Svilpo prima di arrendersi.
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