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Paolo Giordano per "Il Giornale"
I 50 anni di "Ziggy Stardust" il disco che cambiò il rock
Cinquant'anni e sentirseli sempre tutti (i brani). The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, un disco che per brevità tutti chiamano soltanto Ziggy Stardust, è uscito mezzo secolo fa, a metà giugno del 1972, e aveva i vaghi contorni del concept album rock strapieno di idee spesso inconciliabili tra loro, talvolta incongruenti ma sempre visionarie e fascinose.
In poche parole: perfette per la costruzione di un mito, quello di David Bowie. Non a caso, il Time lo ha incluso tra i migliori cento dischi di tutti i tempi anche per il rilievo culturale che ha conquistato anno dopo anno. E oggi, dopo aver cambiato la storia del rock e aver acceso tante carriere, questo disco potrebbe diventare una serie tv.
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In fondo gli ingredienti ci sono tutti e sono tutti abbastanza generici per poter prendere ogni sfumatura possibile. Per capirci, l'imminente fine del mondo per esaurimento delle riserve naturali sarebbe una scintilla per tante sceneggiature. Il messaggio di un alieno (Starman) che promette la salvezza dell'umanità a Ziggy Stardust potrebbe avere una decina di varianti, dal politicamente corretto al religioso.
E la parabola di Ziggy Stardust (da aspirante rockstar a divo vicino alla fine nella conclusiva Rock'n'roll suicide) potrebbe piegarsi a qualsiasi interpretazione, da quella comica fino a quella tragica.
Insomma, nel 1972 David Bowie ha avuto una visione così elastica da essere ancora attuale oggi nonostante appena un anno dopo, al leggendario Hammersmith Odeon di Londra, Bowie annunciò non solo la fine di Ziggy Stardust, ma anche, giusto prima di iniziare Rock'n'roll suicide, proprio «l'ultimo nostro concerto in assoluto». In platea c'erano Mick Jagger, Lou Reed, Ringo Starr e tutti gli altri spettatori convinti di assistere alla fine di una carriera, all'addio di una stella nascente, all'eutanasia di un mito. Figurarsi.
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In realtà era (coerentemente e semplicemente) la fine di un progetto, senza sequel o prequel come piacerebbe fare oggi. Anche perché quelle undici canzoni sono senza tempo e rivivono ciclicamente anche nella musica portata al successo da chi allora neppure era nato come i Måneskin, che senza dubbio hanno molto Ziggy nel Dna.
Quello che manca a quasi tutti è la sferzata di novità che portò nel rock, ma non solo. Non c'era Ziggy prima di Ziggy, ma ce ne sono stati tantissimi dopo e nessuno è stato interpretato da David Bowie, morto nel 2016 dopo essere rinato artisticamente tante altre volte. Troppo originale per ripetersi. In ogni caso, dopo cinquant'anni The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars resta la culla di tanta musica che continua a germogliare in giro per il mondo.
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Per la prima volta, il glam rock è diventato teatrale, con tanto di costumi fumettistici e trucchi muscolosi (David Bowie rivelò a Burroughs che avrebbe voluto farne un musical). E forse per la prima volta è stato l'intreccio evidente di tante passioni distinte e distanti. Già nel titolo, Bowie ricorda un suo idolo di sempre: «Ziggy's era una sartoria di Londra che aveva un'aria da Iggy» dove Iggy sta per Pop, l'artista capace di essere ciò che Bowie non è mai stato: un oltraggioso animale da palcoscenico.
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E Stardust è il riferimento chiaro allo stravagante Norman Carl Odam, cantante americano in arte The Legendary Stardust Cowboy, considerato uno degli alfieri del genere psychobilly che al tempo tanti ricordavano soprattutto per l'epic fail durante una trasmissione tv. E l'idea di Ziggy Stardust senza dubbio aderiva perfettamente alla fantascienza glam di Marc Bolan, uno degli eroi del rock che il destino ha privato della consacrazione, visto che è morto nel 1977 in un incidente stradale.
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Se a tutto ciò si aggiunge un po' di Vince Taylor, rockettaro eccentrico e drogatissimo che collegava Gesù Cristo agli alieni, ecco che ci sono tutti i confini di Ziggy. Però non c'era soltanto la storia. C'era anche la musica. E che musica. La chitarra di Mick Ronson è affilata, malinconica, irruente e ha ispirato due generazioni di chitarristi che hanno provato a imitare quel suono: «Sembrava che ogni nota venisse strappata dalla sua anima», ha detto Bowie nel 2002. La batteria di Mick Woodmansey è ipnotica, monodimensionale, precisissima.
E poi c'era Bowie, teatrale nei costumi e nei trucchi, ma tremendamente rock, quasi punk nella voce sanguinante, siderale, irruente. Gli anni Ottanta del rock sono nati anche con le fortissime melodie di Starman e i riff di chitarra di Hang on to yourself che non a caso ispirarono la brutale God save the Queen dei Sex Pistols.
Insomma, mezzo secolo dopo la sua pubblicazione, Ziggy Stardust è ormai un «format» che non accenna a invecchiare semplicemente perché i giovani lo rilanciano sempre (ad esempio Achille Lauro a Sanremo) e continuano a far risorgere quell'«alter ego» che David Bowie aveva sepolto dopo un anno appena.
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