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Emanuela Audisio per la Repubblica
È stato l' addio a un uomo felice. Non solo a un grande giocatore e a un campione. Il primo della generazione '82 (a parte Scirea) a fare i conti con il tempo e la malattia.
Paolorossi se n' è andato sulle spalle dei suoi compagni, ormai quasi tutti uguali, con i capelli bianchi, sopra la mascherina e sotto i corpi di un calcio antico, ma ancora vincente per dignità e rispetto. Con i fiori del figlio e della moglie, con le rose delle sue ragazze. E con l' affetto di una famiglia allargata, fatta di persone e di calciatori, con la disperazione del fratello, con il dolore di tutti.
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Bearzot dieci anni fa era stato l' addio al patriarca, Rossi al figlio più importante, scomparso troppo presto. C' è stata compostezza, umiltà (bara a terra), nessuna pomposità. Tutti si sono inginocchiati, per sentirlo ancora vicino, anche le sue bambine Maria Vittoria e Sofia Elena, e anche Alessandro, ormai il suo ex ragazzo, che è andato a consolarle.
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Verrebbe da dire: guardatelo questo addio per capire cos' è lo sport, un gioco di squadra come la vita, per decifrare cos' è stato il calcio e quella Nazionale, una famiglia dove ci si aiuta, per comprendere come si possano costruire affetti, innamorarsi, separarsi, risposarsi, senza perdere il sentimento di un viaggio comune.
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E come allora fosse possibile, con un fisico scarno, partire da una parrocchia per arrivare in cima al mondo.
Anche nel giorno del suo addio Paolorossi ha vinto: molta delicatezza, poca retorica, la sua maglia azzurra numero 20 e la sciarpa del Lanerossi Vicenza, l' Italia e la provincia. E non uno dei suoi compagni che dica una parola di più. Forse perché capiscono che con Paolo, sempre veloce nel rubare il tempo, se ne va il primo di loro, quello di una generazione con i calzoncini corti e con le maglie che non si allungavano.
Non un divo, ma un eroe discreto del quotidiano. Rossi non seminava palloni ma piuttosto la terra: il suo futuro l' aveva costruito in un pezzo di Toscana, tra vigne e ulivi. E molta di quella sincerità c' era in chiesa: occhi gonfi, come il cuore, volti segnati, tanta condivisione.
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È vero quello che dice Nabokov, che nel proprio passato ci si sente sempre a casa. E loro, quelli dell' 82, c' erano quasi tutti: Cabrini, Tardelli, Conti, Gentile, Antognoni, Bergomi, Oriali, Collovati, Massaro, Marini, Dossena, Galli. E anche la generazione dopo: Galderisi, Baggio, Baresi, Paolo Maldini. Perché certi legami non c' entrano con la marea del tempo, con le vittorie, ma piuttosto con la durezza di certe salite.
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Che diversità dall' addio a Maradona: lì a Baires c' erano famiglie che litigavano e urlavano su un cadavere, i selfie sciagurati con il morto, figli veri e presunti che reclamavano, risse nella camera ardente, accuse tra le parti, funerale chiuso e frettoloso, senza chiesa, quasi un dribbling per scappare dalla gente, dai tifosi, da un popolo. Diego se n' è andato da privato cittadino, perché così hanno voluto ex moglie e figlie, in quel momento doveva essere finalmente solo loro.
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Federica, la seconda e ultima moglie di Paolo, è stata più generosa: ha preferito che Rossi fosse di tutti. Come sempre. Perché sa che a lei e alle figlie ne resterà comunque tanto. Non c' erano isterie, né riscatti o orgogli da lucidare. Paolo s e n' è andato tra molto amore che in questi tempi di odio facile e di offese volgari vale molto. Senza perdere la magia. E rendendo dopo 38 anni ancora bella l' Italia.
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