Gino De Sanctis per www.corriere.it
EDDA MUSSOLINI CON GALEAZZO CIANO
Pubblichiamo, per la serie di «7» dedicata alle firme storiche del Corriere della Sera, questo articolo del giornalista Gino De Sanctis uscito sul quotidiano di via Solferino il 12 luglio 1946. De Sanctis, scrittore, giornalista e sceneggiatore, conosciuto anche come Luigi De Santis, nacque a Lecce nel 1912 e morì a Roma nel 2001, a 88 anni. Nel 1967 vinse il Premio Selezione Campiello con il romanzo Il minimo d’ombra. Scrisse sul Corriere d’Informazione (all’epoca edizione pomeridiana del Corriere della Sera) nel 1946 e nel biennio 1958-59
EDDA MUSSOLINI CON GALEAZZO CIANO SOTTO GLI OCCHI DEL DUCE
Alla fine della scorsa estate, dopo aver partecipato alla guerra di liberazione, avevo ripreso la mia professione di giornalista e m’ero recato in Sicilia per un’inchiesta sul separatismo. Passando da Milazzo, in vista delle isole Lipari, pensai di andare a trovare Edda, colà confinata per provvedimento preventivo di polizia.
Edda abitava una casetta a un piano, alla periferia dell’abitato. Dinanzi alla casa s’apriva un vigneto delimitato da un basso muro a secco. Sul muro sedeva, mortalmente annoiato, un agente di polizia in borghese. Edda venne ad aprire: «Mi fa tanto piacere vedere qualcuno - mi disse, invitandomi nella camera di soggiorno -. Tranne quei giornalisti che mi son capitati qualche giorno fa, qui non si vede mai nessuno».
EDDA MUSSOLINI GALEAZZO CIANO
Questo articolo del 1946 è tratto dall’Archivio del Corriere della Sera.
Riaprire gli occhi
Edda non era cambiata da qualche anno prima, forse un po’ più magra, un po’ più pallida e gli occhi parevan ancor più smarriti. Un giornalista aveva notato che il suo sguardo era quello della paura. Forse era vero: ma non era paura dell’avvenire, era paura del passato. Nello stesso tempo, per tutto il viso correva come una volontà di dominarsi. Il discorso si teneva sulle generali. «Ha notizie dei suoi figli, di sua madre?».
«Non mi parlate di mia madre. Non posso ricordarla senza astio. Era giunta a odiare Galeazzo e credo che abbia avuto la sua colpa nella morte di lui. I figli sono in Svizzera: li misi al sicuro dopo l’8 settembre. Per fortuna riuscii a portare in Svizzera i miei gioielli. Li ho lasciati lassù ed ora servono a pagare le rette del collegio. La loro lontananza è la vera pena di questo esilio. Per il resto non mi lamento, sebbene non capisca perché mi tengano qui. L’ho scritto a Nenni che mi conosceva da bambina: non ho scontato abbastanza, con la tragedia familiare, le corresponsabilità nel regime? Mi si risponde che il confino è preventivo, che è per la mia incolumità personale».
EDDA MUSSOLINI GALEAZZO CIANO
«L’avevo tanto amato»
«Quali sono oggi i sentimenti verso suo padre?». «Io l’ho odiato, l’ho odiato mortalmente. Ma ora il tempo passa e non posso non ricordarmi di lui, di tutta la nostra vita in comune. L’avevo tanto amato e tanto ammirato. L’avevo conosciuto, io sola tra i figli, al tempo della miseria oltre che al tempo della gloria. Se tanti Italiani hanno creduto in lui, potevo non crederci proprio io? L’avevo creduto un forte, un superuomo». «Lei ha sempre vagheggiato questo ideale nietzschiano». «È vero. Credevo che mio padre fosse il superuomo. Ora capisco che era un debole, senza carattere. E poi aveva qualcosa nell’animo che io non riesco a giudicare. Con me è stato crudele: mi ha promesso due volte solennemente che avrebbe salvato Galeazzo. Invece l’ha fatto uccidere, l’ha fatto uccidere lui. E Galeazzo era innocente. Galeazzo, il 25 luglio, aveva usato di un suo diritto legale ed aveva cercato di salvare l’Italia dall’estrema sventura».
«Faceva molto comodo ai padroni»
EDDA MUSSOLINI GALEAZZO CIANO
«Che poteva suo padre dinanzi al potere tedesco?». «Tutto. Poteva farsi uccidere piuttosto che firmare la sentenza con cui si uccideva mio marito, il padre dei suoi nipoti. Era un fantoccio in mani tedesche, ma un fantoccio che faceva molto comodo ai padroni. Aveva ancora il suo peso». «Suo padre aveva ormai fatto il callo a firmare le pene di morte. Quanti innocenti sono caduti in questi anni!». Poi cambiò discorso: «Adesso mi sembra che ci sia il caos. Quanti partiti ci sono? Cinquantadue?». «I partiti, contati anche quelli ridicoli, sono forse più di cinquantadue - risposi - ma la colpa è del fascismo, è della guerra fascista. Non è possibile che una Nazione si rimetta in piedi dal giorno alla notte dopo un terremoto simile. Non è possibile che ci si abitui d’improvviso alla democrazia, dopo tanti anni di dittatura». «Bene, bene. Staremo a vedere questa democrazia» disse Edda, ma aveva l’aria scettica.
«Credevo alla stelle...»
«Ma lei - incalzai, infervorandomi - ha sentito che cosa tutti hanno sofferto con questa maledetta guerra, con questa guerra civile? Ha sentito lei le crudeltà senza nome che sono state commesse in nome del fascismo?». «Ho sentito tutto. Ma non ci saranno forse esagerazioni?». Mi adirai. «Posso essere testimone io, e come me migliaia di altri. Io ho risalito con gli alleati tutta l’Italia, da Salerno a Milano, ed ho visto con i miei occhi le camere di tortura, gli uccisi, i seviziati, gli impiccati. Ho visto i paesi distrutti dai Tedeschi con la dinamite, le famiglie decimate, i ghetti spopolati dai Tedeschi e dai fascisti». Poi parlammo d’altro. Smentì le voci del suo nuovo matrimonio col marchese Pucci, lo definì ridicolo. Tornò serena, riuscì di nuovo ad assumere un atteggiamento superficiale, quasi frivolo. «Ora - disse - la ruota della fortuna ha girato velocemente. Come sono stata sciocca a credere nelle stelle. Le stelle le abbiamo dentro di noi e sono le nostre responsabilità». L’altro giorno Edda, per effetto dell’amnistia, liberata dal confino, ha lasciato Lipari.
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