Massimiliano Parente per “il Giornale”
SAVIANO
Confesso: nel rimanerci bene, ci sono rimasto male. E non perché avessi dei pregiudizi, avevo dei giudizi belli e buoni. Per me Roberto Saviano non è mai stato uno scrittore, solo una lagna vivente con un best seller che, dal punto di vista letterario, non valeva niente, e sono stato il primo a dirlo, e il primo a essere insultato per averlo detto.
E dopo Gomorra è diventato un tribuno popolare di banalità sul Nord cattivo e il Sud vittima del Nord subito reclutato da Fabio Fazio, monologhi insulsi come se fosse il figlio di Adriano Celentano, e poi nuovi libri, pochi, senza arte né parte, e articoli su Repubblica dove non sa mettere neppure le virgole al posto giusto.
E insomma, che succede adesso? Tenetevi forte, è uno scandalo. Succede che per la prima volta Saviano pubblica un romanzo vero, e perfino bello, chi l’avrebbe mai detto, di certo non io, non ci avrei scommesso un euro.
MASSIMILIANO PARENTE
Si intitola La paranza dei bambini (edito da Feltrinelli), e mi aspettavo il solito pasticcio mezzo reportage mezzo omelia predicatoria mezzo copiato di qua e di là da materiali di seconda o terza mano, ho cominciato a leggerlo senza averne alcuna voglia, giusto perché mi è stato chiesto di recensirlo e mi pagano per farlo, sbadigliando fin dal risvolto di copertina.
All’inizio ho pensato: ok, siamo ancora a Napoli. Ok, parla ancora di camorra. Ok, parla di bambini che diventano piccoli camorristi, mocciosi, o meglio «muccusielli», o meglio ancora «piscitielli», facendosi strada sulla strada per arrivare a avere anche loro una banda, o meglio una paranza, così si chiama a Napoli un gruppo che comanda su una certa zona vendendo droga e raccogliendo estorsioni, con un piccolo boss. Nella fattispecie Nicolas, detto ’O Maraja, e poi Pesce Moscio, ’O Briato’, Lollipop, ’O Dentino e altri della banda. Tuttavia, di pagina in pagina mi ci sono ritrovato invischiato, senza poterne più uscire.
SAVIANO LA PARANZA DEI BAMBINI
Ciascun piscitiello ha il suo nomignolo, perché «è più importante il nome del soprannome», come insegna a Nicolas il boss Don Vittorio, tipo che c’era un tal Bardellino che veniva chiamato Pucchiacchiello, uno tutto leccato e profumato «come la pucchiacchia di una bella donna», e divenne un piccolo boss ma sempre con questa ombra del nome, «per comandare devi avere un nome che comanda, può essere brutto, può non significare niente, ma non deve essere fesso». Se vi siete sempre chiesti come si diventa camorristi, come si fa già a dieci anni a acquisire uno status, una mentalità criminale, un rispetto che crescerà nel tempo, Saviano ve lo spiega.
È una illuminante vicenda di bambini, bambini diversi, bambini di Forcella, bambini «con le palle», siccome: «bambini li chiamavano e bambini erano veramente. E come chi ancora non ha iniziato a vivere, non avevano paura di niente, consideravano i vecchi già morti, già seppelliti, già finiti. L’unica arma che avevano era la ferinità che i cuccioli d’uomo ancora conservano. Animaletti che agiscono d’istinto. Mostrano i denti e ringhiano, tanto basta a far cacare sotto chi gli sta di fronte».
Un’opera scritta con la scuola del vecchio realismo ottocentesco, una distanza letteraria da Emile Zola, pur con il ritmo della serie Narcos e uno sguardo da entomologo, in una struttura romanzesca solida e senza nessun ingresso morale dell’autore che avrebbe rovinato tutto, tranne in alcuni intermezzi in corsivo, dove però, anche qui, viene espresso un atteggiamento quasi darwiniano, da scienziato sociale, perché alla fine la vita è questa: «Esistono i fottitori e fottuti, null’altro.
Esistono in ogni posto e sono sempre esistiti. I fottitori da qualunque condizione cercano di avere un vantaggio, che sia una cena offerta, un passaggio gratuito, una donna da portar via a un altro, una gara da vincere. I fottuti in qualsiasi condizione prenderanno il peggio».
SAVIANO
E bisogna dire che Saviano, adesso che è uno scrittore vero, se continua così, è fottuto, perché uno scrittore in Italia non vende e soprattutto non conta assolutamente niente. Per essere fottitori, qui, bisogna scrivere stronzate. Complimenti, Roberto, e tanti auguri.