Estratto dell'articolo di Alice Scaglioni per www.corriere.it
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Ventiquattr’ore dopo l’annuncio di un sequestro preventivo di 779 milioni di euro per un’inchiesta della procura di Milano con l’accusa di evasione fiscale in Italia, il ceo di Airbnb Brian Chesky, nonché uno dei tre fondatori dell’unicorno che ha rivoluzionato il turismo nel mondo, si trovava a New York per presentare alla stampa internazionale le ultime novità della piattaforma. A margine dell’evento, durante un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha parlato del futuro dell’azienda […] della stretta sugli affitti brevi approvata di recente a New York […] e si è detto «sorpreso» per l’inchiesta nel nostro Paese e le accuse di evasione fiscale […]
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non sono previsti cambiamenti per agevolare sempre più gli affitti a lungo termine?
«Beh, stiamo continuando a fare cambiamenti. Per esempio, consentiamo di pagare negli Stati Uniti tramite un conto bancario, il che ti fa risparmiare sulle commissioni delle carte di credito. Il 50% degli host che sono nuovi sulla piattaforma offre uno sconto mensile sulle inserzioni.
Abbiamo più funzionalità in arrivo l’anno prossimo, quindi ci saranno ulteriori novità per rendere gli affitti mensili più facili da trovare e più convenienti. Penso che ci saranno molti più soggiorni di questo tipo in futuro, perché molte più persone saranno flessibili. Cinquant’anni fa praticamente nessuno poteva andare via per un intero mese per lavoro. Oggi c’è chi va via per l’estate e può lavorare da un laptop direttamente dalla destinazione scelta per le vacanze estive. O magari chi va a sciare d’inverno[…]».
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In Italia sono in molti a ritenere, soprattutto nelle città storiche, che il problema dei costi esorbitanti degli affitti e della scarsità di case disponibili per scopi non turistici sia dovuto a Airbnb. Recentemente, New York ha approvato la più grande stretta sugli affitti a breve termine. Qual è la sua posizione in quanto ceo?
«Penso che New York sia un esempio che ci fa riflettere: qualsiasi città che volesse seguirla probabilmente si troverebbe ad affrontare le sfide che sta fronteggiando ora la Grande Mela. I prezzi degli hotel sono aumentati dell’8% anno su anno. Molti sono davvero costosi, oltre 5.000 dollari a notte. In più molte delle inserzioni sono ancora in affitto, ma in nero su altri siti web come Craigslist, dove non si possono monitorare. E fra un anno dubito che il prezzo delle case diminuirà. E il motivo è che se si guarda qualsiasi città del mondo che ha un grande mercato su Airbnb, noi comunque rappresentiamo una piccolissima percentuale delle abitazioni.
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E molte di queste persone che affittano le case vivono in quegli appartamenti, almeno per una parte del tempo. New York non è un modello di quello che verrà. La Francia ha risolto questo problema, ma anche Los Angeles, Chicago, Londra: ogni Paese di norma ha trovato le proprie soluzioni. E se una città ha un problema, ci lavoreremo insieme, come già facciamo. Lo stiamo facendo anche in Italia e continueremo a farlo. Voglio anche sottolineare che molti dei nostri host dipendono da Airbnb per pagare a loro volta l’affitto o il mutuo. […] Ritengo che stiamo diffondendo l’economia in un modo molto più differenziato rispetto alla maggior parte dei marketplace su Internet».
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Quindi non teme che altre città, dopo New York, approveranno simili strette sugli affitti brevi?
«Oh, assolutamente no. Nessuno copierà New York, non sono affatto preoccupato. Penso che molte città abbiano già regolamenti in vigore. Abbiamo già lavorato con loro. New York è in ritardo nella regolamentazione del tema, non in anticipo».
Le dispiace quando succedono cose di questo genere? Prima New York, poi l’Italia due giorni fa con l’inchiesta della Procura di Milano?
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«La cosa su cui mi concentro ogni giorno è come poter rendere il nostro servizio migliore. Mi sveglio ogni giorno e mi chiedo se le persone stanno ottenendo quello che desiderano, se stiamo semplificando la vita degli host. Le novità che abbiamo introdotto si basano su ciò che riteniamo siano le cose a cui gli ospiti e gli host tengono davvero. La mia priorità è l’affidabilità. Abbiamo lavorato moltissimo in questo senso finora e ora abbiamo quasi 4 milioni di persone che soggiornano in case in tutto il mondo ogni notte».
Dev’essere difficile gestire tutto questo.
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«È interessante che Airbnb sia presente in centomila città e spesso le cose sono gestite a livello cittadino, non a livello nazionale o internazionale. E questo richiede di avere relazioni con centinaia o addirittura migliaia di città. Ma è anche un po’ il nostro asso nella manica: abbiamo trovato alcune soluzioni davvero interessanti, come il portale delle città, che aiuta a gestire le relazioni con 400 città in tutto il mondo. Penso che l’Italia in particolare sia un Paese molto popolare su Airbnb. Molte persone amano soggiornarci e vogliono vivere la vera cultura italiana. E non ho i dati davanti a me, ma sa, gli host italiani guadagnano miliardi di dollari all’anno. Lo so in base alle dimensioni della nostra attività. Il business italiano su Airbnb è straordinario. E lì ci sono alcuni degli Airbnb più popolari».
Avete pubblicato una nota su quanto accaduto in Italia, ovvero l’inchiesta della Procura di Milano con l’accusa di evasione fiscale. Vuole aggiungere qualcosa?
«Sono rimasto sorpreso perché crediamo di essere conformi a tutte le normative fiscali e alle leggi locali, ma stanno ancora esaminando la situazione e io sono stato davvero concentrato sulla presentazione delle novità di Airbnb, quindi non ho molto altro da dire: riteniamo di aver rispettato tutte le regole».
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[…] Crede che l’età d’oro della Silicon Valley sia finita? La situazione a San Francisco, le grandi aziende in crisi, i licenziamenti di massa: c’è una nuova rivoluzione all’orizzonte?
«No, mi sembra che nessuna città avrà più la stessa concentrazione di persone come prima perché ora sappiamo che si può anche lavorare su Zoom, ovunque nel mondo. E penso che ci sia molto più lavoro distribuito: le persone straordinarie ora sono ovunque, non più solo concentrate in alcune aree. Detto questo, San Francisco sta vivendo una rinascita ed è in parte dovuta all’AI.
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Ovviamente ci sono ancora aziende come Google, Apple, ma ci sono anche molte altre startup a San Francisco. Y Combinator, di cui ho fatto parte, è la più grande incubatrice al mondo in questo senso. E centinaia e centinaia di aziende sono state avviate a San Francisco. Sono state fatte un sacco di previsioni e penso che quelle secondo cui le persone non sarebbero più state tutte nello stesso luogo siano vere. Non è più necessario essere a San Francisco, ma allo stesso tempo penso che ancora molte persone, soprattutto i giovani, continuino ad andare lì principalmente per l’AI».
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