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    “L’AZIENDA NON VOLEVA UNA DIPENDENTE SCOMODA. E' STATA TRATTATA COME UN NUMERO, NON COME UNA PERSONA” – PARLA IL LEGALE DELLA TORINESE DI 32 ANNI, VITTIMA DI UNA VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO, CHE È STATA LICENZIATA DALLA SOCIETA’ PER CUI LAVORAVA PERCHE’, DOPO LO STUPRO, “NON ERA PIU’ EFFICIENTE”: “L'IMPRESSIONE DELLA MIA ASSISTITA È CHE L'INTERESSE MEDIATICO DELLA VICENDA ABBIA DATO FASTIDIO. POTEVA ESSERE RICOLLOCATA ALTROVE” – LA DONNA PRESENTERA’ RICORSO AL TRIBUNALE DEL LAVORO…


     
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    Estratto dell'articolo di Rosario Di Raimondo per “la Repubblica”

     

    VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO

    «Il mio licenziamento è ingiusto e discriminatorio». Lo ha detto al suo avvocato Alexander Boraso. Lo ha sottoscritto nel provvedimento contro la multinazionale che l'ha lasciata a casa un anno dopo aver subito una violenza sessuale di gruppo in un locale lungo i Navigli a Milano. E lo ripeterà davanti ai giudici del tribunale del Lavoro, dove il legale si prepara a presentare ricorso: «È stata trattata come un numero, non come una persona», dice. Per Elena (nome di fantasia), 32 anni, torinese, comincia un'altra battaglia, oltre a quella che già combatte per curare ferite che non si rimarginano.

     

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    Nella notte tra il 16 e il 17 marzo di un anno fa, tre uomini tra i 23 e i 27 anni la portarono nella cantina di un cocktail bar. Tutti avevano bevuto, lei stava male. Il giorno dopo, al risveglio, la donna ha avvertito i dolori, i ricordi emergevano a tratti, è andata in ospedale. L'inchiesta per violenza sessuale di gruppo condotta dalla pm Alessia Menegazzo, che ha coordinato le indagini dei carabinieri, ha finora portato alla condanna in abbreviato di un 23 enne, mentre per gli altri due amici che erano con lui, titolari del locale, è in corso il processo con rito ordinario.

     

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    […] In tutto questo tempo Elena ha provato ad andare avanti. Una strada in salita. Da tempo era "service merchandiser manager" di una multinazionale con sede legale in Olanda e uffici anche ad Assago, nel Milanese. Lo scorso 11 marzo ha ricevuto una lettera, consegnata a mano[…]

     Oggetto: «Licenziamento per giustificato motivo oggettivo». Ecco alcuni stralci del testo: «Come le è noto, il mercato in cui opera la scrivente società richiede il raggiungimento e il mantenimento di adeguati livelli di profittabilità».

     

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    Dunque, «in un'ottica di maggior efficienza», l'azienda si è mossa «sopprimendo la posizione» coperta dalla manager e, sfortunatamente, «dopo attenta verifica abbiamo constatato l'impossibilità di adibirla ad altre mansioni». […]

     

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    L'avvocato Boraso conferma l'indennità di 5 mila euro offerta in cambio dei cordiali saluti, come scritto ieri dalla Stampa. E spiega i motivi che spingono lui e la manager a far causa e chiedere il reintegro. Prima di tutto si contesta il «licenziamento discriminatorio» per la volontà dell'azienda «di non avere una dipendente scomoda. L'impressione della mia assistita è che l'interesse mediatico della vicenda abbia dato fastidio». Secondo: non ci sono i presupposti per il «giustificato motivo» della cacciata; terzo: «Poteva essere ricollocata altrove».

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    Continua il legale: «Deve essere tutelato il diritto dei lavoratori in un ambito nel quale le persone sono usate solo in funzione dei risultati ottenuti. Meri numeri, non soggetti con eventuali problematiche. Sotto un profilo umano, è chiaro che da parte sua c'è una forte delusione. Il licenziamento è stato un fulmine a ciel sereno».

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