Massimiliano Nerozzi per www.corriere.it
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Per nulla fiaccato da quasi cinque ore di esame in aula, Simone Caminada, completo impeccabile come sempre, gemelli ai polsini della camicia e cappello di paglia bianco, si stira nel cortile del palazzo di giustizia, girandosi verso i cronisti: «Ho voglia di dire la verità, di fronte a tutte le falsità che stanno venendo fuori in questo processo».
E la sua verità, da accusato di aver approfittato delle condizioni di fragilità di Gianni Vattimo, l’aveva detta poco prima: «Altro che volere il suo patrimonio, non volevo che morisse», si era sfogato. E ancora: «Io ho sempre agito per il bene di Gianni, sono stati altri a prendergli tutto, ma noi siamo ancora qua, nonostante tutto quello che è successo».
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Da assistente, con compiti «un po’ da segretario», ora come prima al fianco del filosofo ed ex europarlamentare, che era comparso in aula a metà mattina, accompagnato su una sedia a rotelle. È stata un’udienza estenuante, quasi più per l’eloquoio dell’imputato che per i tempi, tanto che, più volte, il giudice Federica Gallone l’ha ripreso: «Parli senza fare giri di parole o divagazioni». Seguiranno altri richiami, a volume alto, anche alla mamma dell’imputato, tra il pubblico: avrebbe perso la pazienza pure un monaco tibetano.
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La tesi accusatoria emerge chiara dalla lettura (e dall’interpretazione che la Procura ne dà) di alcune intercettazioni, tra Caminada e la madre, citate dal pubblico ministero Giulia Rizzo: «Arrivo a 45 anni con 4-5 mila euro al mese», diceva l’uomo, facendo riferimento all’eventualità di un’unione civile con il filosofo.
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«Solo una boutade», s’è difeso, per poi correggersi: «Era lo sdegno nervoso di quei giorni che mi portò a dire cattiverie». Dopodiché, la madre, sempre nella telefonata, pareva essere stata esplicita, parlando dell’eventuale eredità di «un quarto della casa», alla quale era preferibile prendere i soldi: «Meglio i contanti».
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Per Caminada, accusato di circonvenzione di incapace, furono invece altri ad approfittarsi del professore emerito: gente che si sarebbe portata via «6-700 mila euro in 53 mesi». Il tutto in un racconto zeppo di incisi e aneddoti tra smorfie e gesti, in un mix surreale: «Sembra di essere a teatro», esclama a un certo punto il pm Dionigi Tibone. Finale in linea, con il difensore, l’avvocato Corrada Giammarinaro, rivolta al giudice: «Qui stanno venendo fuori fatti inquietanti».
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