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    “HO PERSO TUTTO IN UN ATTIMO E I MIEI EX COMPAGNI SONO SPARITI” - L'EX ATTACCANTE DELLA JUVENTUS, MICHELE PADOVANO, A PROCESSO PER TRAFFICO DI DROGA: “LA CASSAZIONE HA ANNULLATO LA CONDANNA IN APPELLO E HO RITROVATO FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA. PAGO I RAPPORTI CON UN AMICO D’INFANZIA RITENUTO AI VERTICI DI UN'ORGANIZZAZIONE CRIMINALE. ORA GESTISCO UN PARCO GIOCHI PER BAMBINI MA…”


     
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    Irene Famà per “la Stampa”

     

    MICHELE PADOVANO MICHELE PADOVANO

    «Questa è la partita più importante della mia vita. Il gol decisivo da segnare». Quando si parla di Michele Padovano, ex bomber della Juventus, il paragone calcistico è inevitabile. Anche se, da 15 anni, la sua sfida si è trasferita dal campo di calcio alle aule di Palazzo di giustizia. Finito nei guai nel 2005, arrestato in un'operazione dei carabinieri che smantellò un traffico di droga dal Marocco all'Italia, si difende dall'accusa di aver finanziato alcune importazioni di hashish. Maglioncino blu, fisico atletico, il piglio dell'attaccante non l'ha perso, nonostante il carcere e le due condanne in primo e secondo grado.

     

    L'altro ieri la Cassazione gli ha concesso i supplementari, annullando con rinvio la sentenza della Corte d'Appello. Non è una vittoria. Ma la partita della vita è ancora aperta. Con lui, in campo, gli avvocati Michele Galasso e Giacomo Francini. «L'alternativa era il carcere e non potevo credere di tornare in cella da innocente». Ha sempre respinto le accuse.

    MICHELE PADOVANO MICHELE PADOVANO

     

    Perché si è ritrovato in questo pasticcio?

    «Pago la mia amicizia con Luca Mosole, ritenuto ai vertici dell'organizzazione criminale. Un amico di infanzia che avevo aiutato a saldare un debito. Non sono sciocco, sapevo che il suo tenore di vita non era equiparabile alle sue possibilità. Scherzando gli dicevo: "io sono la cronaca rosa, tu la cronaca nera". All'epoca avevo 38 anni e non pensavo di incappare in una storia del genere. Ora valuterei diversamente la situazione».

     

    Un'amicizia sbagliata?

    «Non l'ho mai rinnegata e che non la rinnego ora, che ci sentiamo pochissimo. Avrei dovuto trattarla con più attenzione. Mosole mi ha chiesto scusa, perché la mia vicinanza a lui mi ha messo nei guai».

     

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    Quando l'hanno arrestata lei era considerato un mito dai tifosi e non solo. Come ha vissuto quel momento?

    «Subito ho pensato di essere su Scherzi a parte. All'epoca ero direttore generale dell'Alessandria, con un passato calcistico noto, e venivo trattato come un criminale. In carcere ho trovato grande umanità e con un paio di persone ci mandiamo qualche messaggio ancora ora. L'arrivo dei carabinieri è stato un fulmine a ciel sereno. Ero in una condizione mentale, economica e fisica eccezionale. In un attimo ho perso tutto».

     

    La famiglia?

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    «No, mia moglie e mio figlio sono gli unici che non mi hanno mai abbandonato. Non hanno mai dubitato un secondo di me e questo mi ha dato la forza di continuare a combattere. All'epoca mio figlio aveva 15 anni. Per un ragazzo di quell'età non è stato semplice affrontare tutto questo, ma gli amici, almeno i suoi, gli sono stati vicino».

     

    E chi le ha voltato le spalle?

    «Non colpevolizzo né giudicare nessuno. Prendo atto del comportamento dei miei ex compagni. Ho sempre detto di essere innocente e ho tenuto la testa alta. Nulla di cui vergognarmi. Ma gli sguardi, nell'ambiente del calcio e nella vita sociale, erano indicativi. Solo i tifosi, soprattutto quelli juventini, hanno continuato a stimarmi».

     

    L'ambiente calcistico l'ha emarginata?

    «Ho cercato con tutte le forze di ritornarci, ma con scarsi risultati. Chi mi chiudeva la porta in faccia, chi mi riceveva ma capivo da solo che non ci sarebbe stato un secondo incontro».

    MICHELE PADOVANO ALESSANDRO DEL PIERO MICHELE PADOVANO ALESSANDRO DEL PIERO

     

    Le manca quel mondo?

    «Il calcio è la mia grande passione ed è quello che so fare. Tifo Toro sin da bambino. Certo, ho dovuto reinventarmi e ora gestisco un parco giochi per bambini a Rosta. Ma dell'ambiente del calcio mi manca tutto, soprattutto lo spogliatoio. Se andrà tutto bene, vorrei riprovarci. I conti non si pareggeranno mai, ma sarebbe un riscatto».

     

    Da dove arriva la sua evidente fiducia nel nuovo processo d'Appello?

    «Sono innocente. Questi 15 anni sono stati uno strazio. Non ho mai perso un'udienza e dopo la condanna in secondo grado, la mia fiducia nella giustizia ha vacillato. Ora quella fiducia l'ho ritrovata. E dopo 15 anni di limbo voglio riprendermi ciò che mi è stato tolto. Perché adesso non ho più nulla».

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