Benedetta Centin per www.corriere.it
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Le sue orchidee, da undici mesi, fioriscono rigogliose senza che nessuno se ne prenda cura. I suoi libri lasciati per casa, le sue creme mai spostate da dove le aveva lasciate, i lunghi capelli rossi avvolti sulla spazzola, fanno credere che nulla sia cambiato. È come se Alessandra Lighezzolo «possa rincasare da un momento all’altro di ritorno dal suo negozio», racconta il marito Massimo Meggiolaro, che possa risplendere il suo grande sorriso, che possano tornare i suoi intensi abbracci in cui i due figli, Edoardo e Guglielmo di 22 e 20 anni, amavano perdersi.
Ma il cuore della nota commerciante di Arzignano, 52 anni, ha smesso di battere a due giorni dal terribile incidente avvenuto il 17 luglio 2018 sull’autostrada A4, tra Verona Sud e Verona Est. La Fiat 500 su cui viaggiava con l’amica Anna Tovo alla guida è stata tamponata dalla station wagon dell’attore bellunese Marco Paolini.
MARCO PAOLINI E LA FAMIGLIA MEGGIOLARO - ALESSANDRA LIGHEZZOLO
Un urto violento che ha fatto volare l’utilitaria oltre il guardrail, sulla tangenziale, a ruote all’aria. «Non riesco a perdonarmi» ha detto pochi giorni fa in un’intervista al Corriere della Sera Paolini, raccontando di quel colpo di tosse che gli aveva fatto deviare la traiettoria, spiegando di come la parola «omicida stradale» lo perseguiti.
Signor Meggiolaro, ha letto l’intervista di Paolini?
«Mi sono sforzato di farlo, da undici mesi a questa parte faccio fatica ad aprire i giornali perché mi vengono in mente le foto dell’incidente e penso a quanto ha sofferto Alessandra. Quella di Paolini la considero un’intervista riabilitativa, l’attore è lui, noi siamo solo vittime, mia moglie in primis».
Che effetto le hanno fatto quelle parole?
«Avrei preferito il silenzio, se Paolini si sente in grado di andare avanti lo doveva fare senza farsi intervistare. Avrei preferito che prima chiarisse con noi, che parlasse a noi».
Un incontro tra voi non c’è mai stato, giusto?
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«No, lui non era in tribunale a Verona a maggio per il patteggiamento, a meno che non si fosse nascosto io e i miei figli non lo abbiamo visto. Poteva essere un’occasione per vedersi, accennando a un incontro. A margine dell’udienza ho chiesto al suo avvocato di fargli avere la foto di Alessandra».
Paolini vi ha scritto due lettere alle quali dice di non aver avuto risposta, comprendendo comunque il vostro silenzio...
«Sì, è vero, una a distanza di qualche giorno dalla morte di mia moglie, una dopo la chiusura del processo. Scrive che “non è la fine di questa storia” e che spera di incontrarci».
Lei pensa che potrà accadere?
«Vedersi? È una possibilità che non escludo, ma saremo io e i miei figli a decidere dove, quando e come. Ad oggi non lo riteniamo opportuno. Certo, il 2 maggio, pochi giorni prima della sentenza, era sul palco del Comunale di Vicenza e visto che era a pochi chilometri da noi avrebbe potuto…».
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Contattarvi?
«Ce lo saremmo aspettato sì, un contatto.. E allora forse lo avrei accompagnato in cimitero dove ci sono le ceneri di Alessandra, ma non solo. Certo ho trovato di cattivo gusto che sia venuto a Vicenza, così come che ad appena tre giorni dal funerale di Alessandra si sia esibito, infrangendo già dall’inizio un silenzio che sarebbe invece stato dovuto a mio avviso».
Paolini dice di aver maledetto il suo lavoro in quel momento...
«Non aveva meditato il ritiro dalla scena? Io ho continuato a lavorare, mi sono occupato dei figli, della chiusura del negozio di mia moglie, delle pratiche burocratiche legate alla sua morte. Ma sto vivendo per inerzia, anche se è brutto da dire, quell’incidente ha distrutto tutto per me e i miei figli».
Il 17 luglio sarà passato un anno...
«Sì, un anno in cui io sono rimasto al punto che ho lasciato. Con guanti e borse di Alessandra ancora nella sua auto, creme e libri per casa che mi fanno pensare che possa ancora tornare dal negozio, quel negozio che era stato rimesso a nuovo da solo 48 ore quando c’è stato l’incidente. Eravamo molto uniti da una vita, trent’anni, ventisei di matrimonio. Dio sa quanto vorrei averla qui..».
Paolini imputa la tragedia a una negligenza, all’attacco di tosse...
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«Lui sa cosa è successo e se dovessimo incontrarlo ce lo dirà di persona, ce lo spiegherà, affronteremo la questione. Si è occupato di molte tragedie, ora ne ha provocata una in prima persona e lo sa che è una tragedia per noi, siamo ancora tutti sotto choc».
Il procedimento giudiziario intanto è già chiuso...
«Sì, un anno con il beneficio della pena sospesa ma il senso di giustizia è limitato per noi, pur sapendo che queste sono le pene previste dal codice penale in caso di omicidio stradale».
Pensate di perdonarlo?
«No, non ora, ci ha tolto tutto, ma non escludo che col tempo potrei riuscire a perdonarlo».
I figli invece sono perentori.
«Perdonarlo? Non se ne parla, non sappiamo nemmeno se avremmo voglia di incontrarlo. Ci ha tolto mamma, la donna della nostra vita, non è più niente come prima ora. Bisogna viverla sulla propria pelle per capire».