1. IL CUGINO DI SAMAN SA TUTTO E STA IN SILENZIO «PARLERÒ IN FUTURO...»
Nino Materi per “Il giornale”
SAMAN ABBAS
Dopo le tante ore trascorse con i suoi due avvocati per «mettere a punto la strategia difensiva», ecco il risultato: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Ikram Ijaz, 28 anni, cugino di Saman Abbas, ieri ha fatto tradurre la frase all'interprete che l'ha riferita al gip e al pm che indagano sulla scomparsa della 18enne pakistana, uccisa da una congiura di famiglia e fatta sparire chissà dove. Il suo cadavere, da circa un mese e mezzo, viene cercato nei campi attorno all'azienda agricola «Le Valli» a Novellara (Reggio Emilia) dove la famiglia Abbas viveva e dove la giovane è stata vista per l'ultima volta il 29 aprile.
Ieri doveva essere il giorno della verità; è stato, invece, il giorno dell'omertà. Il 28enne è accusato di omicidio premeditato in concorso e occultamento di cadavere insieme allo zio Danish Hasnain (sospettato di aver materialmente strangolato Saman), all'altro cugino Nomanulhaq Nomanulhaq e ai genitori della vittima: il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen. Tutti e quattro latitanti (i genitori si sono rifugiati in Pakistan, gli altri due sono in fuga per l'Europa). Ikram Ijaz, l'unico in carcere degli indagati, fa parte del terzetto che il 30 aprile è stato ripreso da una telecamera di sicurezza mentre si allontanava dal cascinale degli Abbas portandosi dietro pala, piede di porco, secchio e buste di plastica.
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L'ipotesi accusatoria è che i tre (Ijaz, l'altro cugino e lo zio) stessero andando a sotterrare i resti di Saman. Una ricostruzione dalla quale ieri Ijaz ha laconicamente preso le distanze dicendo di «non avere nulla a che fare con la scomparsa di Saman». Ma allora cosa stava facendo in quel filmato? Perché è poi fuggito in Francia? Due domande-chiave cui Ijaz avrebbe potuto rispondere fugando ogni dubbio sul suo coinvolgimento in un delitto ordito dagli stessi genitori di Saman per punire la figlia, «colpevole» di non aver accettato un «matrimonio combinato» e di non comportarsi da «brava musulmana». Invece Ijaz - arrestato il 29 maggio in Francia ed estradato in Italia la scorsa settimana - nel faccia a faccia con gli inquirenti dal carcere di Reggio Emilia non ha risposto alle domande, pur facendo presente di «essere disposto a collaborare».
DANISH HASNAIN ZIO DI SAMAN ABBAS
I suoi legali precisano: «Ha manifestato l'intenzione di rendere dichiarazioni più approfondite al pm nei prossimi giorni». Allora perché non cominciare subito a farlo? La tecnica dilatoria è un classico delle difese per capire cos' ha concretamente in mano l'accusa: prendere tempo è considerata dagli imputati una strategia quasi obbligata. Tuttavia in questo caso il quadro indiziario è abbastanza definito e per cristallizzarlo completamente manca solo (ma non è un dettaglio da poco) la scoperta del corpo di Saman. Ma quella frase, terribile, pronunciata da uno degli indagati - «Abbiamo fatto un buon lavoro» - sta lì a dimostrare come sarà difficile ritrovare i resti della ragazza. Finora cani molecolari e georadar non hanno ottenuto il risultato sperato.
un fermo immagine del video che mostra lo zio e due cugini di saman abbas 2
Non si esclude che il cadavere possa essere stato sezionato in più parti e occultato in luoghi diversi. Intanto gli avvocati dell'unico imputato in carcere (i genitori di Saman si sono rifugiati in Pakistan, mentre lo zio e l'altro cugino della vittima sono latitanti all'estero) sostengono che il loro cliente «non comprende bene l'italiano» e che quindi per questa ragione i tempi della «collaborazione» rischiano di «allungarsi». La sensazione è invece che Ijaz sappia molto - se non tutto - della triste sorte di Saman. Ma che abbia deciso, almeno per ora, di tenere la bocca chiusa. Forse per paura di vendette. Forse perché vuole delle «garanzie». O, forse più semplicemente, perché non ha una coscienza.
SAMAN ABBAS
2. SAMAN, IL FILM DEGLI ULTIMI GIORNI IL CARABINIERE: HO PROVATO A SALVARLA
Alessandro Fulloni per “Il Corriere della Sera”
Pomeriggio del 22 aprile. Il maresciallo Pasqualino Lufrano, 50 anni, comandante della stazione dei carabinieri di Novellara, è qui, nel cortile davanti alla cascina in cui vive la famiglia pachistana degli Abbas. Davanti ha i genitori di Saman, Shabbar e Nazia, 44 e 48 anni. La ragazza 18enne è un passo indietro. Il padre dice che sua figlia «non vuole parlare con i carabinieri» e aggiunge che in famiglia sono felici di «riaverla a casa. Mia moglie piangeva sempre nel saperla lontana, nel centro protetto.
Il matrimonio combinato? Una storia finita, non ci pensiamo più». Lufrano, investigatore di poche parole, attento, nota che sulla ragazza si posano spesso gli occhi di Nazia, troppo spesso. Siccome «non ho visto le condizioni di serenità per parlarle, decido di portarla in caserma, in un contesto più accogliente» racconta ora il militare nel suo ufficio, sotto la foto del capo dello Stato. Conosce Saman dall'estate, da quando scappò da Novellara per andare in Belgio e il padre ne denunciò la scomparsa. Poi l'ha seguita nella denuncia del matrimonio combinato da Shabbar in Pakistan per il 22 dicembre.
SAMAN ABBAS
«Vieni con noi, devi firmare qualche carta» dice con un pretesto il maresciallo a Saman che l'11 aprile ha lasciato volontariamente il centro protetto nel Bolognese dove i Servizi sociali l'avevano trasferita. Lufrano viene a sapere di questo rientro il 20 aprile sera quando i Servizi sociali, diretti dal sindaco Elena Carletti, lo avvertono dicendogli che la giovane forse è a casa. «Appena posso vado a controllare» risponde il maresciallo che intanto ha organizzato il blitz per la cattura di Fernando Russo, un poco di buono che in un bar ha sparato a un uomo che era lì con sua moglie e che poi è fuggito. In caserma, Saman spiega di avere lasciato volontariamente il centro e chiarisce di voler stare a casa. Si sente al sicuro e vuole anche recuperare il suo passaporto che, lei dice, è rimasto in possesso del padre.
SAMAN ABBAS
«Ma io le chiarisco che non mi sentivo tranquillo», racconta il maresciallo. Non che sino a quel momento Saman fosse stata mai in pericolo di vita, questo no, «ma, per come si era comportato in precedenza, con la storia delle nozze, quell'uomo proprio non mi piaceva». La ragazza - «cocciuta e grintosa», nelle dettagliate carte degli assistenti sociali - ribadisce che vuole riprendersi il documento che per Shabbar era andato perduto. Ma perché questa volontà? «Voleva essere libera. E quel documento avrebbe potuto consentirle, lei sperava, di lavorare» dice asciutto il militare, palermitano, nell'Arma «da quando ero 17enne», padre di un figlio di 22 anni e una di 21.
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Lufrano strappa a Saman la promessa di rientrare nel centro «se avessi accertato che il documento era in possesso dei genitori per appropriazione indebita». Al suo sì, il sottufficiale la riporta a casa e le chiede se può «avvertire anche i servizi sociali». Lei acconsente. L'indomani, il 23 aprile, il maresciallo chiede al pm un decreto di perquisizione a casa degli Abbas. Lo stesso giorno chiama i Servizi sociali, domandando di trovare un posto in una struttura protetta per la ragazza. Gli rispondono che ci vuole tempo, bisogna individuarne una nuova. Sono le regole nel caso sia stata abbandonata quella in cui si era ospiti in precedenza.
Il 28 la Procura trasmette il decreto di perquisizione. Il giorno dopo l'assistente sociale che segue Saman comunica a Lufrano di aver trovato un posto: «Ma se ne parla per il 3 maggio». «È possibile prima?» insiste il militare. «No». I servizi sociali dicono di voler «avvertire la famiglia il 3», quando andranno a prendere la ragazza, «per non alterare gli equilibri» tra gli Abbas, sottolineano. E quando, contestualmente, sarà effettuata la perquisizione. Se il passaporto non fosse trovato, c'è la possibilità di duplicarlo, verrà detto a Saman.
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Che a quel punto potrà scegliere liberamente se tornare nel centro. Ma il 3 in casa gli assistenti sociali trovano soltanto lo zio e il fratello di Saman. I due raccontano che lei è tornata in Pakistan volontariamente. Lufrano non perde un attimo. E avvia le ricerche ipotizzando il sequestro. I giorni passano, ora si cerca un cadavere. Maresciallo, si poteva fare di più? Un sospiro, poi la risposta: «Io so che ho fatto tutto il possibile».
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