1 – LA REAZIONE DI CONTE NON PIACE A PD E IV «TROPPO TIMIDO NEL CONDANNARE TRUMP»
Marco Conti per “il Messaggero”
trump conte
«Violenza incompatibile con diritto e democrazia». Poche parole, affidate ai social mentre a Washington supporter di Donald Trump assaltavano Capitol Hill.
LA CONDANNA
Troppo poche e troppo prudenti per Italia Viva e una parte del Pd che notano l'assenza, nella dichiarazione di Giuseppe Conte, di qualunque esplicito riferimento al ruolo svolto da Donald Trump nell'aizzare i supporter giunti a Washington per contestare la proclamazione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti.
Storcono il naso Andrea Orlando e Walter Veltroni che non cita Conte ma dice che «non si può commentare senza condannare». E' però la ministra renziana Teresa Bellanova ad andare giù pesante dicendo di aver apprezzato la «condanna di un atto fascista» fatta dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel ma di aver «meno apprezzato la reazione tiepida di Conte». Parole che concludono un tam tam iniziato di prima mattina e concluso poi da Matteo Renzi nell'intervista al Tg2 nella quale torna sul tema.
CONTE CHEERLEADER DI TRUMP - POLITICO
Anche a sinistra però la cautela del premier, che durante la campagna elettorale americana si è sempre ben guardato dallo schierarsi contro colui che lo aveva simpaticamente chiamato «Giuseppi». «Chiunque vincerà negli Stati Uniti per noi non fa differenza», sostenne Conte prima della tornata elettorale americana.
D'altra parte Trump è stato nei suoi quattro anni di mandato il faro dei partiti sovranisti e populisti del Vecchio Continente, ed infatti l'amicizia di Conte con The Donald si è forgiata nei mesi di governo giallo-verde ed è proseguita con l'attuale maggioranza malgrado le contorsioni dei dem che da subito hanno puntato su Biden.
conte trump
A palazzo Chigi fanno notare che anche il presidente francese Macron e il primo ministro spagnolo Sanchez si sono limitati a contestare le violenze e che la soddisfazione espressa il giorno dopo per la proclamazione di Biden a presidente Usa non è un atto riparatorio ma congratulazioni seguite alla decisione dei parlamento americano.
Ragionamenti che non convincono Renzi che continua ad interrogarsi sul grado di compromissione di Conte con l'amministrazione Trump e, ovviamente, sulla visita a Roma di William Barr, attorney general (ministro della giustizia) dell'amministrazione Trump che, superando tutti i protocolli diplomatici, è stato ricevuto a Roma dai capi dell'Intelligence con lo scopo di raccogliere informazioni sull'eventuale coinvolgimento del governo-Renzi nel Russiagate e nell'affaire Mifsud.
È oggi ancora più urgente che Conte lasci la delega ai Servizi e che «si faccia chiarezza» su quanto accaduto nell'estate 2019, con la visita di William Barr, attorney general di Trump, in Italia». Così spiegano fonti Iv, la richiesta che Conte passi ad un apposito sottosegretario la delega ai Sevizi. «Non è un capriccio o un fatto di poltrone chiedere» scrivono i renziani tornando in pressing sul presidente del Consiglio.
giuseppe conte donald trump by osho
L'obiettivo è fare luce sugli incontri che precedettero di poche ore la caduta del Conte1, ma anche di mettere in difficoltà il presidente del Consiglio nei rapporti con il nuovo inquilino della Casa Bianca.
2 – GLI STRASCICHI DEL RUSSIAGATE NELLO SCONTRO RENZI-CONTE
Luca Fazzo per “il Giornale”
Dal tempestoso ribaltone alla Casa Bianca un'onda lunga potrebbe attraversare l'Oceano e investire Palazzo Chigi: più esattamente, le segrete stanze dove si officiano gli ottimi rapporti tra il presidente del Consiglio e i vertici della nostra intelligence. Rapporti cui Conte tiene assai, ma che ora presentano un lato debole: si sono cementati grazie alla comune fedeltà a Donald Trump, il presidente che Conte indicò (insieme a se stesso) come «un simbolo del cambiamento», venendo ringraziato con il famoso endorsement di Trump per l'amico «Giuseppi».
Conte trump
Il guaio è che il patto di ferro ha avuto come terreno d'azione quello scivoloso pasticcio chiamato Russiagate, dove Conte si è speso - glissando su regole e procedure - per aiutare gli emissari di «Potus» a scovare le tracce del complotto che sarebbe stato ordito ai danni del candidato repubblicano ai tempi delle elezioni del 2016 da parte dei democratici. Ma ora che i democratici sono tornati al potere difficilmente resisteranno alla tentazione di ribaltare la frittata su Trump e suoi amici all'estero. E c'è chi in Italia si prepara ad aiutarli.
trump Conte
Ad essere nel mirino è il perno del rapporto tra Conte e i nostri 007: la scelta del premier di tenere per sé, in entrambi i governi che ha presieduto, la delega ai servizi segreti. È una scelta che ha creato malumori crescenti nel Pd, per il potere fuori controllo che porta con sé, e che ha in Matteo Renzi il principale critico.
E infatti ieri è Italia viva a portare l'affondo: «Oggi più che mai - dice all'Huffington Post un renziano di spicco - è necessario che Conte lasci quella delega, come sempre è successo con i governi precedenti. Serve un uomo diverso a capo dei Servizi anche per fare luce sui fatti di quell'estate». Ossia l'estate del 2019, quando il general attorney trumpiano William Barr viene due volte a Roma: la prima volta incontra il capo del Dis, il coordinamento dei Servizi, Gennaro Vecchione, la seconda i capi delle due agenzie, Luciano Carta e Mario Parente. Poche settimane dopo, arriva nella Capitale il capo della Cia, Gina Haspel, incontra prima Conte e poi l'ex capo dell'Aise, Alberto Manenti.
GIUSEPPE CONTE E DONALD TRUMP
Gran traffico di «barbefinte», e al centro un solo tema: portare alla luce la manovra che quattro anni prima la Cia fazione Obama avrebbe ordito per sabotare la campagna elettorale di Trump. Giuseppe Conte ha sempre negato un suo coinvolgimento: ma il suo commento dell'altra sera all'invasione del Campidoglio, in cui si guardava bene dall'indicare Trump come mandante morale, ha risollevato le voci sulla sua dimestichezza con l'inquilino (quasi ex) della Casa Bianca. Così Renzi porta l'attacco, e mette la rinuncia di Conte alla delega sui servizi sul piatto della trattativa di governo.
Ma lo fa basandosi su un falso storico, quando dice che il premier deve rinunciare alla delega «come sempre è successo con i governi precedenti». Non è vero: perché se quando Renzi era a Palazzo Chigi i rapporti con l'intelligence erano assegnati a Marco Minniti, quando Paolo Gentiloni divenne presidente del Consiglio si guardò bene dal consegnare la delega a un sottosegretario, e la tenne per sé.
giuseppe conte scrocca un passaggio nella limousine di trump
E ora è difficile non collegare la decisione di Gentiloni a quanto accadeva in quei mesi a Roma, secondo le mille pagine del rapporto conclusivo della commissione d'inchiesta bipartisan del Senato americano sul Russiagate: a partire dall'agitarsi nella Capitale del professore maltese Joseph Mifsud, docente e socio della Link Campus. George Papaopoulos, già collaboratore della campagna elettorale di Trump, ha indicato senza mezzi termini Mifsud come agente provocatore al soldo della Cia, e ha parlato esplicitamente di appoggi che Mifsud avrebbe ricevuto dai governi di centrosinistra italiani.
giuseppe conte scrocca un passaggio nella limousine di trump 1
Renzi ha reagito annunciando querele contro Papadopoulos, e la cosa è finita lì. Ma una cosa è certa: quando Gentiloni approda a Palazzo Chigi, c'è ancora tutto il tempo per capire davvero cosa sia accaduto. Per questo è importante che la chiave dei segreti dell'intelligence non cada nelle mani sbagliate.