Emanuele Buzzi per il “Corriere della Sera”
conte taverna
«Ma ti rendi conto?»: la rabbia esplode senza freni. È il momento in cui avviene lo strappo. Mario Draghi sta tenendo il suo discorso di replica e i big Cinque Stelle assistono. I falchi non trattengono la collera per le parole del premier su reddito di cittadinanza e superbonus: sono sul piede di guerra da ore riuniti negli uffici di Palazzo Madama e la situazione per loro stava volgendo al peggio. Giuseppe Conte era tentato di dare il via libera alla fiducia, dopo l'ennesimo cambio di rotta della giornata. L'ultima riunione, quella per forza decisiva, sulla permanenza o meno nel governo è come un ottovolante: le posizioni cambiano di ora in ora.
mario turco giuseppe conte paola taverna
Di primo mattino parte il pressing dei falchi che chiedono la linea dura, poi nel corso delle ore c'è un ammorbidimento della linea. La diplomazia M5S tenta un ultimo disperato colpo. E quasi ci riesce. Il Movimento sente anche la pressione degli alleati dem, eppure i senatori sono furenti. Le chat di Palazzo Madama, già dopo il primo intervento di Draghi in Aula, sono in fermento. I senatori mettono subito in chiaro la loro posizione: «Dobbiamo andarcene, che stiamo aspettando?».
ALESSANDRO DI BATTISTA IN RUSSIA
I governisti fanno scudo: «Così ci suicidiamo», dicono diversi esponenti. Alcuni si precipitano per allargare il più possibile il summit in corso, che inizialmente è ristretto a Conte e ai suoi vice. Partecipano anche i due capigruppo, Mariolina Castellone e Davide Crippa. La platea si allarga: alla fine sono presenti molti senatori e diversi deputati. Conte vuole ascoltare tutte le posizioni prima di fare una sintesi.
PAOLA TAVERNA GIUSEPPE CONTE
Lo scontro interno non si placa. Il muro contro muro di versioni e visioni contrapposte prosegue senza soluzione di continuità. Dopo la replica, però, la situazione raggiunge un punto di non ritorno. «Come possiamo votare la fiducia dopo che ha fatto a pezzi superbonus e reddito di cittadinanza? Ci vuole dignità», si sfoga un senatore. Ci si muove lungo una linea sottile e i vertici sono preoccupati: «Dobbiamo salvaguardare la compattezza del gruppo» è il mantra. Dopo la decisione di non votare la fiducia, tra i governisti si respira scoramento: «Ora inizia l'era di Alessandro Di Battista leader dei Cinque Stelle».
MARIOLINA CASTELLONE
Conte affronta i cronisti e attacca: «Abbiamo visto da parte del premier Draghi non solo indicazioni generiche, purtroppo su alcune misure c'è stato anche un atteggiamento sprezzante. Questo ci dispiace molto perché abbiamo ricevuto anche degli insulti». «Siamo stati messi alla porta e non c'erano le condizioni per proseguire una leale collaborazione», sostiene il presidente stellato. E ancora: «Il Movimento 5 stelle non ha mai chiesto un rimpasto o una poltrona in più. Non ha chiesto nulla di nulla per sé ma solo misure per i cittadini».
DAVIDE CRIPPA E GIUSEPPE CONTE
Dietro le parole del leader e la mossa compatta dei senatori, però, covano ruggini profonde. Che potrebbero avere epiloghi inattesi. L'avvocato Lorenzo Borré ieri ha ricordato in un post: «Visto che il codice etico, utilizzato spesso e volentieri come una clava verso i dissidenti, imponeva la votazione a favore della risoluzione Casini (in quanto stabilisce l'obbligo di votare la fiducia a governi M5S, ndr ), ora che si fa? Si attua l'autoespulsione di massa?».
LORENZO BORRE'
L'ipotesi di chiedere l'espulsione dell'intero gruppo di senatori - precludendo loro una futura rielezione o un incarico interno - è già al vaglio di attivisti e delusi. In questo modo, verrebbero tagliati fuori da un futuro nel M5S contiano anche big come Paola Taverna o Vito Crimi, Ettore Licheri o Mario Turco. Una situazione al limite del grottesco. C'è chi ricorda: «Paragone è stato cacciato proprio per non aver votato la fiducia». Anche in questo caso, la strada si presenta tortuosa perché il collegio dei probiviri annovera tra le sue fila proprio due senatori (Barbara Floridia e Danilo Toninelli) e quindi sarebbe in conflitto di interessi per un giudizio sui colleghi di Palazzo Madama. Il duello tra fazioni, insomma, non è per niente concluso.
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