1. IL NUOVO LIBRO DI GIOVANNI ALLEVI, SU COME ROMPERE IL CIRCOLO VIZIOSO DELL'INFELICITÀ
Giovanni Allevi, REVOLUZIONE, casa editrice Solferino, dal 27 agosto
Le mani che si bloccano sulla tastiera di un pianoforte e si rifiutano di suonare, durante un concerto in Giappone. Una crisi di ansia, una contrattura di ogni muscolo, persino quelli della creatività. Che succede? Per venirne a capo, il protagonista di questo libro si rifugia in una casa di campagna. Solo, circondato da una natura brulla, tenta di sintonizzare di nuovo mente e corpo, per riprendere a comporre e suonare, ma gli incubi lo perseguitano e l’incertezza aumenta. Finché un giorno, nel silenzio di una radura, una voce lo prega: «Accudiscimi».
il maestro giovanni allevi
Ed è l’inizio dell’amicizia tra lui e Maddalena, un «guru» che si manifesta dapprima come disincarnata voce filosofica e poi in una forma quanto mai inaspettata. Prendersi cura di questo «altro da sé» sarà il modo per rimettere ordine nel proprio universo interiore, arrivando a capire che la sua ansia è quella dell’innovazione, il fardello di chi decide di infrangere gli schemi e si sente esposto, privo di appoggi.
Ma proprio dalla vulnerabilità e dall’imperfezione scaturisce il gesto artistico: uno slancio di compensazione, di superamento della nostra condizione di mortalità. Questo racconto filosofico di Giovanni Allevi, intriso di musica e bellezza, tra rigore analitico e volo d’immaginazione, intraprende una profonda ricognizione dell’ansia comune a tutti noi, la paura di cambiare. Perché è così difficile uscire da situazioni che ci rendono infelici? Da dove attingere la forza per rompere lo status quo? Le risposte possono essere molto diverse da ciò che il senso comune vorrebbe. Ma è solo abbracciando l’inatteso che possiamo abbracciare il futuro.
2. GIOVANNI ALLEVI: «CADUTO NEL BUIO E RINATO. ORA IN UN LIBRO MI METTO A NUDO PER AIUTARE GLI ALTRI»
L'intervista di Raffaela Caretta per www.iodonna.it in occasione dell'uscita del libro precedente, ''L'equilibrio della lucertola''
GIOVANNI ALLEVI
Ci sono folate di vento lì in alto, appeso al cornicione di un palazzo e sotto, le luci pallide delle auto sull’asfalto: l’immagine con cui si apre L’equilibrio della lucertola (edizioni Solferino) di Giovanni Allevi è un incubo, o per dirla con l’autore, «la metafora di un suicidio possibile, perché la tentazione di cadere è più forte di tutto».
Nonostante il successo di una musica che ha reiventato il classico nel contemporaneo, nonostante i dischi venduti, i concerti affollati e insomma la fama planetaria, a trovarsi davanti Allevi, in maglietta nera e riccioli sugli occhi, si fatica a chiamarlo maestro: a quasi 50 anni, ha la noncuranza vagamente arruffata degli adolescenti. E quella grazia impavida di certi artisti-bambini che raccontano di sé sfiorando la spudoratezza senza mai dilapidare i propri segreti: perché pur svelando tutto, disperazioni, angosce, paranoie, c’è qualcos’altro d’inaccessibile.
L’equilibrio della lucertola («un animale che appartiene alla terra, capace di rigenerarsi») è la storia delicata di un’immersione nel buio, un viaggio nell’infelicità, la ricerca di un equilibrio che si può trovare solo perdendolo. È un libro molto intenso. E ambizioso. Perché sottilmente intrecciato con una certezza: là fuori, nel mondo, c’è una comunità di sofferenti, una silenziosa internazionale del tormento che si riconosce in lui. «Scrivo e sono a nudo, ma il punto di vista è universale: vado a toccare la follia che è in ognuno di noi».
L’infelicità perché?
GIOVANNI ALLEVI
Perché ci si sente inadeguati. Io mi sento inadeguato, da sempre. Dipende dalla nostra condizione: un’esposizione costante allo sguardo altrui, il confronto perenne con i risultati degli altri. Oggi però internet, i social, l’aggressività della comunicazione, hanno travolto tutto, l’invasione degli altri dentro di sé è diventata massiccia. Siamo tutti spinti a diventare qualcosa. E finiamo per perdere pezzi della nostra anima. Almeno per me, c’è un unico modo per ritrovarmi: l’isolamento, il silenzio, il vuoto. Riuscire a farsi nulla, uscire da sé, per un attimo…
C’è un paradosso: lei scrive d’isolamento ma in un libro che è destinato agli altri e rilancerà la sua immagine verso gli altri.
Succede lo stesso con la musica. È il mio destino. Posso trovare la musica solo nella marginalità estrema. Che diventa mezzo per una condivisione comune. Vuoto e pieno: sul palco, l’unico posto in cui mi sento a casa, dopo la gioia arriva l’ansia. In questi giorni, inizio del nuovo tour, la notte sono tornati gli attacchi di panico… Eppure, il successo è uno specchio. Me l’ha spiegato una signora del pubblico: il tuo essere scombinato ci permette di fare pace con la nostra inadeguatezza.
Da quanto tempo ha capito di essere così?
Sono sempre stato in disparte. Vivevo in una piccola città, Ascoli Piceno, ma in periferia, ai bordi della campagna…
Aveva già i riccioli a cascata?
Da bambino, ma con l’adolescenza sono cominciati i guai. “Questi capelli non sono seri”, diceva mio padre e mi trascinava a tagliarli. Lui insegnava clarinetto. Era fanatico della musica sinfonica e dell’opera. Mi sfidava a riconoscere gli accordi, era severo. Sa una cosa? La voce di mio padre è ancora dentro me. È quella dell’accademia, della conservazione, contro cui mi sono ribellato…
GIOVANNI ALLEVI
Amici?
Mancava il collante per fare amicizia, mi mancava il gergo. Se si parlava di musica loro citavano, chessò, Sabrina Salerno, io Mahler. Ero il secchione. Da bullizzare. Alle superiori una volta mi hanno fatto trovare la bici in alto sull’albero davanti alla scuola.
Sentiva di essere speciale?
No, sentivo solo di essere sfigato. Però anni dopo, durante una pizzata con gli ex compagni, arrivano due ragazzine carine a chiedermi l’autografo. Loro di sasso: un momento di pura ebrezza.
Ora lei è padre di due maschi.
Sì. E qui finisce l’argomento.
Non voglio sapere dei figli. Piuttosto: che posto hanno gli affetti per una persona così concentrata sulla musica, e dunque, per alimentarla, su di sé?
giovanni allevi e andrea bocelli
L’arte è un’idrovora. La paternità non c’entra. Purtroppo la musica per me può nascere solo in un luogo appartato. E quando vedo tanti ragazzi che vogliono diventare famosi, chiedo: siete sicuri? C’è un prezzo altissimo.
Trascurare gli equilibri familiari?
Certamente. E questa domanda alimenta il senso di colpa.
Il contrario di trascurare è prendersi cura. Chi si è preso cura di lei?
La signora Lalla, proprietaria di una società di catering: quando sono arrivato a Milano, ventottenne e senza un soldo, mi ha offerto un posto da cameriere. Non ero così bravo, versavo solo l’acqua nei bicchieri, lavoravo come un pazzo. Poi la sera nel mio disordinatissimo monolocale, componevo ossessivamente. È stato il periodo della maturazione.
Quando ha capito che ce l’aveva fatta?
A Shanghai, nel 2007. Per la prima volta seicento cinesi erano accorsi a vedere solo me. Lì ho sentito che stavo incontrando l’anima dei miei simili. Allora pensavo ancora che il successo fosse la panacea…
GIOVANNI ALLEVI
Che cosa manca perché lo diventi?
Una volta a Verona ho visto una cantante lirica trionfare davanti a 12mila persone, poi tolti vestiti e parrucca, venire a passeggio con me. Nessuno sapeva chi fosse.
Con questi capelli, questi occhiali, lei è riconoscibilissimo.
Ero così da piccolo. E forse tutta la vita è stata inseguire quel bambino, quel periodo. L’unico davvero felice della mia vita.
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