DAGOREPORT
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Per chi ama l’eiaculazione femminista mai interrupta, il supplemento del Corriere della Sera “S(t)ette” è l’albero (non il fallo) della cuccagna. L’incipit lo dà il Gramellino: “Quando l’amore latita non bisogna cercarlo, ma cercarsi”, vabbè diciamo che è un calambour. Noi, che abbiamo la colpa di essere maschi non fluidi, lo prendiamo in parola e cerchiamo qualcosa da leggere tra le pagine di “Sette”, supplemento dove scopri “notizie di cronaca, cultura, politica e attualità”.
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La prima cosa che scopro è che Anna Meldolesi, giornalista e scrittrice (copio da internet le definizioni) e Chiara Lalli, saggista esperta del tema dell’omogenitorialità, non sono due note mondine e nemmeno vanno sul trattore. Tuttavia, ci spiegano che “nell’agricoltura è importante sperimentare”. Per Costanza Rizzacasa D’Orsogna (“laureata in Scrittura alla Columbia University di New York dove ha vissuto per dodici anni” e gne gne… tipo la Melandri che iniziava i cv con “nata a New York…”) “vivere in una società che pretende che le donne siano solo giovani e carine diventa ogni anno più soffocante”… forse per lei, perché von der Leyen, Lagarde, Meloni, Merkel, varie ministre giapponesi ecc ecc mi sembra non siano soffocate.
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Flavia Carlini, autrice e attivista politica napoletana, intervistata da Roberta Scorranese (giornalista, autrice del libro “A questo serve il corpo”), ci parla della endiometrosi, ovvero un “doloroso disturbo femminile dovuto alla migrazione di tessuto presente nella cavità uterina in aree diverse” a seguito del quale, secondo Carlini, c’è qualcuno che le dice ancora “non fare la isterica”.
Segue la recensione di un libro, ovviamente su madre e figlia e con la sindrome di down, quindi la scrittrice (e basta) Chiara Gamberale ci descrive “la vertiginosa normalità che è il regalo dell’essere amati” (boh). Infine, la scrittrice Silvia Avallone, intervistata da Micol Sarfatti (ovviamente pronipote di…), lancia il suo nuovo romanzo perché “siamo tutte affamate di emancipazione”: tutte chi? Siamo solo a pagina sessanta e ce ne sarebbe già abbastanza per chiudere; ma è proprio qui che arriva il climax (si può dire?) del numero: il racconto di Rosella Postorino (scrittrice in assenza di scrittura) la quale spiega che “parlare del mio seno è un gesto politico” (con tre disegnini su diversi tipi di tette). Ora, è evidente che questa psicodrammatica colata di verbosità esistenziale di genere (che vorrebbero combattere) è colpa degli editori che pubblicano i libri di queste ove si inventano i soliti problemi da psicanalista sfaccendato.
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Problemi che infarciscono di choc, #metoo, pseudiostrupri, fantaesclusioni, isterismi (appunto), sentirsi qui e sentirsi là, finte inadeguatezze… E’ il terribile lascito della Murgia, di Chiara Valerio e addentellate queer. Questa Postorino, nata a Reggio Calabria nel 1978, scrive scimmiottando il Michel Foucault degli anni Settanta con frasi tipo “bisogna rivendicare un discorso politico sul corpo”. E da quale ragionamento nasce cotanta ri-affermazione?
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Niente, un giorno, ormai adolescente, suo padre le ha detto di mettersi addosso qualcosa e non girare con le tette al vento. Lei ne fa su un pippone sulla castrazione da reggiseno, sullo choc di aver letto “Rosella’s tette”, sulla sua “autostima non che trova alcun nutrimento nel desiderio maschile” che sembra le abbiano sparato all’uscita della Messa in canto. Ah Pastori’, lascia stare pseudo Lacan, Foucault e finiscila di guardati l’ombelico! Se tuo padre ti ha detto “mettiti addosso qualcosa” che male abbiamo fatto noi che sfogliavamo “Sette” per trovare “notizie di cronaca, cultura, politica e attualità”?
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