Alberto Simoni per “la Stampa”
L'obiezione all'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato si tramuta in un diktat. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha recapitato agli alleati un messaggio inequivocabile: il via libera di Ankara all'ingresso dei due Paesi scandinavi nell'Alleanza atlantica non avverrà senza che la Turchia ottenga qualcosa in cambio. E quello che Erdogan vuole sono trentatré "terroristi" del Partito dei lavoratori curdo (Pkk) ospitati in Svezia.
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Quando nel weekend il presidente turco aveva pigiato lo stop spegnendo gli entusiasmi per la richiesta di adesione dei due Paesi, aveva già spiegato che il nodo era legato alla politica di vicinanza di Stoccolma verso i curdi, ora però c'è uno punto di caduta preciso.
Ieri il suo consigliere ha avuto un colloquio telefonico con i parigrado a Helsinki e Stoccolma.
Ha recapitato loro obiezioni e richieste e li ha invitati a non precipitarsi ad Ankara a spiegare le loro ragioni. Se vorranno il via libera da Erdogan, qualcosa dovranno concedere. Ed è attorno a questo che la diplomazia americana si sta muovendo.
A Berlino nei giorni scorsi il segretario di Stato Antony Blinken ha avuto un colloquio con Mevlut Cavusoglu, ministro degli Esteri turco.
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Dal Dipartimento di Stato filtrava un certo ottimismo sul fatto che la situazione potesse scongelarsi. Ieri i due si sono rivisti a New York a margine del summit sulla crisi alimentare e alla vigilia della riunione del Consiglio di Sicurezza che oggi sarà presieduta dallo stesso Blinken. Il capo della diplomazia di Ankara ha ribadito il senso della richiesta di Erdogan pur senza entrare nei dettagli ed evidenziando che "anche la Turchia ha legittime richieste sulla propria sicurezza", riferendosi al ruolo che i curdi ricoprono nel Paese e nelle zone limitrofe. Ha poi squadernato un altro dossier, quello delle relazioni con la Grecia.
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Cavusoglu ha chiesto a Washington «un equilibrio nelle sue politiche verso di noi e Atene». Appena due giorni fa il premier Mitsotakis è stato ospite alla Casa Bianca con onori, come il ricevimento, finora riservati solo ai leader irlandesi.
Secondo la televisione turca Trt Svezia e Finlandia non hanno approvato la richiesta di Ankara e il presidente della Commissione Esteri del Parlamento svedese Kenneth Forslund ha detto che una soluzione si troverà ma non in questo modo. «Che la Svezia espella persone che non sono considerate terroristi secondo i criteri e le liste della Ue è impensabile».
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Contatti con la Turchia sono in corso ad ogni livello «per facilitare il processo» che porterebbe gli scandinavi nella Nato, ha confermato Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense. A Washington - dove ieri è arrivata una telefonata dagli uffici di Erdogan di Ankara - si ostenta ottimismo, anche se la situazione non è facile.
Si fa leva sul conflitto in Ucraina che ha consentito a Turchia e Stati Uniti di riavvicinarsi dopo cinque anni di profondi disaccordi legati soprattutto alla guerra in Siria, ai legami più stretti di Ankara con Mosca culminati nel 2017 con l'acquisto del sistema di difesa antimissili S400, e all'erosione dei diritti umani e civili in Turchia.
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Uno dei passaggi chiave è la richiesta che Biden ha inviato al Congresso di approvare la vendita di armamenti avanzati, radar e missili per migliorare le capacità operative della flotta di F16 turca. Una commessa da 400 milioni che sarebbe - secondo fonti citate dal Wall Street Journal - un antipasto per un mega affare che riguarda la vendita di 40 nuovi F16s all'aviazione di Ankara.
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È una linea sulla quale sia i democratici sia i repubblicani sono per ora scettici, ma non è da escludere che la vicenda possa intrecciarsi con i negoziati per sbloccare lo stallo su Svezia e Finlandia. Oggi alla Casa Bianca ci saranno il presidente finlandese Sauli Niinisto e la premier svedese Magdalena Andersson. Un segnale che vuol mandare Biden a due destinatari: a Erdogan per dimostrare che Washington non indietreggia nel sostegno all'adesione; e a Putin per ricordare che la Nato comunque si rafforzerà. Anche a Nord.-