Luca Fazzo per "il Giornale"
Palazzo di Giustizia a Milano
Milano Bum. Di appalti che vedono il loro costo esplodere in corso d'opera sono piene le inchieste della magistratura. Peccato che esattamente la stessa cosa accada quando gli appalti riguardano i giudici. In particolare, il tribunale di Milano, su cui in questi anni stanno piovendo in nome di Expo finanziamenti per sedici milioni di euro al fine di presentare un volto più moderno della giustizia in occasione dell'esposizione universale del prossimo anno.
Sulla gestione disinvolta di questi fondi, spesi in buona parte senza gara d'appalto, il Giornale ha scritto nel luglio scorso. Da allora una certa inquietudine serpeggia tra i diversi uffici giudiziari coinvolti nella gestione dei quattrini: in sostanza, tutti cercano di defilarsi dalle responsabilità, lasciando il cerino in mano al Comune di Milano, che gestisce materialmente i fondi Expo. In particolare, a dirigere la faccenda è Carmelo Maugeri, un funzionario dell'assessorato ai Lavori pubblici. Ma all'assessorato fanno garbatamente presente che una parte rilevante delle competenze è del capitolo «beni e servizi» che fa capo direttamente del sindaco Giuliano Pisapia.
giuliano pisapia
Il 15 ottobre scorso, dopo che il sito giustiziami.it aveva divulgato nuovi dettagli sulle spese per i fondi Expo, nel palazzo di giustizia milanese viene convocata una megariunione per trovare il modo di andare avanti evitando guai peggiori. Gli alti papaveri ci sono tutti: il presidente della Corte d'appello Giovanni Canzio, l'avvocato generale Laura Bertolè Viale, il procuratore Edmondo Bruti Liberati. C'è anche Carmelo Maugeri, il funzionario del Comune che gestisce gli appalti, e che passa tra le due ore peggiori della sua vita.
A venire smantellato nel corso della riunione è il sistema che finora ha permesso di assegnare appalti da milioni di euro senza gara e sempre alle stesse aziende: è il trucco dell'articolo 57, quello che permette di dare nuovi lavori a chi ha già vinto anni prima una gara per lavori simili, e che spesso viene usato anche per appalti che non hanno nulla a che fare con quelli vecchi. D'ora in avanti, si stabilisce nella riunione, basta con questo sistema. Ma intanto gli appalti sono andati. Molti a Finmeccanica, molti alla Net Service di Bologna.
EDMONDO BRUTI LIBERATI
Il verbale della riunione offre un clima vagamente surreale, in cui alcuni dei partecipanti sembrano preoccupati soprattutto di sottolineare che quando le decisioni sono state prese loro non erano neppure presenti. Il giudice Enrico Consolandi, referente per l'informatica del tribunale civile, dichiara che quando gli è stato chiesto un parere lui l'ha fornito in maniera «quasi clandestina». L'inviata del ministero della Giustizia, che gestisce l'appalto supersegreto per la nuova centrale di ascolto, si difende contrattaccando.
LAURA BERTOLE
Canzio, arrabbiatissimo, contesta punto su punto. A venire preso di mira è soprattutto il rappresentante del Comune, Maugeri. Ed è qui che salta fuori la storia dell'appalto che si gonfia strada facendo. È quello per il «rifacimento dei segnali informativi del palazzo di giustizia tramite monitor», che nel primo documento programmatico venivano indicati nel costo (già robusto) di 732mila euro; nello stesso documento si passava a 1.559mila euro «in fase di definizione». La Bertolè Viale chiede di capire come sia possibile che nel nuovo prospetto si sia arrivati alla spesa di 2.884.763 euro.
giovanni canzio
Maugeri cerca di spiegare che sono le norme Expo che vogliono così, «esiste un vincolo per il quale ci vuole almeno il 50 per cento di strutture informatiche all'interno degli appalti Expo, esiste un peso dell'hardware che deve essere sempre almeno del 51 per cento». I giudici manifestano il loro disappunto, Maugeri ribatte che la norma era chiara e che anche i magistrati la conoscevano. Alla fine la cosa muore lì. Ma come si sia arrivati a spendere quasi tre milioni per aiutare i cittadini a trovare le aule di udienza resta un mistero.