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    “PER LA GENTE NERA LUI ERA SOLO UN PAZZO NEGRO” - IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI MIELOSE PER IL SUO COMPLEANNO, MOLTI DIMENTICANO IL BOB DYLAN CHE USAVA PAROLE ED ESPRESSIONI CHE OGGI VERREBBERO BANDITI, IN NOME DELLA CANCEL CULTURE. IN “HURRICANE” OSÒ UTILIZZARE LA PAROLA TABÙ PER ECCELLENZA, “NEGRO”. LE ACCUSE DI SESSISMO PER "JUST LIKE A WOMAN", DEL 1966. E QUELLA CANZONE IN CUI DIFENDEVA LO STATO DI ISRAELE - VIDEO


     
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    Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”

     

    Come ti senti Bob, come ti senti? Come uno completamente conosciuto, come una pietra che rotola? Dovrà sentirsi particolarmente vezzeggiato, Bob Dylan, adesso che ha compiuto il suo giro del mondo (della musica) in 80 anni.

     

    Avrà poco da rimpiangere, essendo divenuto prima l' icona della musica folk, poi di quella rock, quindi il Grande Maestro a cui tanti si sono ispirati senza speranze di eguagliarlo, simbolo di un' America bianca, benestante, sì, ma ribelle, voce della sua generazione e insieme profetica di quelle venture, grido di un individuo disperso che volteggia del vento e al contempo esprime la condizione umana universale. E alla fine, addirittura, anche premio Nobel per la Letteratura, genio delle note che si prende sommi riconoscimenti (meritati?) in ambiti non suoi, con il lusso pure di snobbarli.

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    È stato ed è tante cose insieme Bob Dylan, a cui negli anni hanno affibbiato addosso mille etichette, anche politiche, tra cui quella - chissà quanto voluta o quanto forzata - di icona pacifista, pre-sessantottina, di artista militante contro le ingiustizie sociali, profeta della rivoluzione dei costumi, emblema esistenzialista dell' uomo che non ha identità solide né riferimenti certi, solo con se stesso e perciò funzionale all' ideologia globalista. Insomma, un modello di ispirazione per la sinistra della seconda metà del Novecento, oggi buono anche per riadattarne qualche verso e qualche slogan in chiave politicamente corretta.

     

    In occasione delle celebrazioni zuccherose per il suo compleanno, molti dimenticheranno invece l' altro Dylan, quello più scomodo per i salotti buoni, che usava parole ed espressioni che oggi verrebbero banditi, in nome della cancel culture. E quello a cui oggi, al tempo del massimo dispiegamento dell' Indottrinamento nero e rosa (nel senso di multiculturalismo e femminismo), qualcuno potrebbe essere tentato di chiedere la revoca del premio Nobel per violazioni razziste e sessiste. Parliamo del Dylan che, in una canzone cruda del 1976, Hurricane, osava utilizzare la parola tabù per eccellenza, «negro».

    BOB DYLAN AL PREMIO NOBEL BOB DYLAN AL PREMIO NOBEL

     

    I SOPRUSI

    Certo, il poeta folk voleva fare denuncia contro i soprusi subiti dagli afroamericani, raccontando dell' ingiusta condanna del pugile nero Rubin Carter, detto "Hurricane", accusato di un triplice omicidio e poi prosciolto una ventina di anni dopo, quando si scoprì che la sentenza era «basata su motivazioni razziali».

     

    Ma in quella canzone Dylan si era avventurato in un campo molto minato, scrivendo in un paio di versi: «To the white folks who watched he was a revolutionary bum, and to the black folks he was just a crazy nigger» e cioè «Per la gente bianca che stava a guardare lui era un fannullone rivoluzionario. E per la gente nera lui era solo un pazzo negro».

     

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    Nello stesso testo, pur non usando di nuovo la parola incriminata, Dylan esprimeva un altro concetto ostico, riferito alla visione degli afroamericani da parte dei poliziotti bianchi: «Se sei nero, non potresti neanche mostrarti per strada». Il ricorso a questa immagine e alla parola «nigger» è valso al cantautore, un paio di anni fa, delle accuse di razzismo: un ascoltatore neozelandese ha segnalato la canzone sospetta all' Autorità nazionale sugli standard delle Trasmissioni (Broadcasting Standards Authority), definendola «offensiva, razzista e inaccettabile» e inducendo quest' ultima a ricordare che, fuori dal contesto in cui la usava Dylan, «questa parola nell' uso quotidiano è potente e offensiva».

     

    Lo sdegno antirazzista a distanza di quasi mezzo secolo contro Dylan si somma alle accuse di sessismo che il menestrello d' America ricevette già decenni fa per un' altra canzone, Just like a woman, del 1966.

     

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     Nel testo il cantante raccontava le bizze, i capricci, le dissimulazioni e le fragilità di una donna, definendo questi aspetti della sua personalità come tipici dell' intero genere femminile: «Tu fai finta proprio come una donna e fai l' amore proprio come una donna e poi soffri proprio come una donna, ma scoppi a piangere proprio come una bambina». Tali espressioni vennero bollate dal New York Times già nel 1971 come «un catalogo completo di insulti sessisti» che «definisce la natura delle donne avida, ipocrita, piagnucolosa e isterica»; e perfino il biografo di Dylan, Robert Shelton, pur sottolineando il tono ironico della canzone, notò che «il titolo è una banalità maschile che giustamente fa arrabbiare le donne».

     

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    «UN MILIONE CONTRO UNO»

     E come dimenticare poi l' altro Dylan "scomodo", quello di Neighboorhood Bully, canzone del 1983 che difendeva lo Stato di Israele all' indomani della guerra contro il Libano? Qui il cantante parlava di Israele come di un Paese che «vive solo per sopravvivere» ed «è criticato e condannato perché è rimasto in vita»: «I suoi nemici dicono che è nel loro territorio» ma «loro sono di più, circa un milione contro uno. Lui non ha nessun posto dove scappare, nessun posto dove correre». E ancora: «È sempre sotto processo per il solo fatto di essere nato.

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