Estratto dell’articolo di Pier Luigi Pisa per www.repubblica.it
Alexander Sawchuk
Nel 1972 Alexander Sawchuk, un professore dell'Università della California, ha aperto la rivista Playboy e ha perso la testa per la modella che occupava il famoso “paginone centrale” della famosa rivista per adulti. Lena Forsén era nuda e indossava soltanto un cappello con delle piume viola, calze a rete e stivali. Fotografata di spalle, la modella aveva il viso rivolto verso l'obiettivo.
Sawchuk aveva ammirato quell'immagine senza alcuna malizia. Nella testa del professore, la modella svedese che aveva davanti agli occhi era perfetta. Ma per motivi che non avevano niente a che fare con l'aspetto fisico. La ricchezza dei dettagli e il giusto mix di luci e ombre facevano di quella foto di Playboy uno strumento ideale per eseguire i primi test degli algoritmi per la compressione delle immagini.
Sawchuk ha infilato la rivista nello scanner e ha archiviato solo la parte più casta del paginone centrale, vale a dire una porzione quadrata di 512x512 pixel che comprendeva la spalla nuda della modella, il suo volto e il suo cappello. Da quel momento in poi, ogni ricercatore impegnato nello studio e nello sviluppo delle immagini digitali ha incrociato, almeno una volta nella vita, lo sguardo di Lena Forsén.
Lena Forsén
La foto quadrata col viso della modella è stata infatti usata e citata in numerosi paper scientifici pubblicati dagli anni Settanta agli anni Novanta, tanto da attirare l'attenzione proprio di Playboy, che inizialmente intendeva reclamare i diritti dello scatto e alla fine, invece, ha chiuso un occhio in nome del progresso.
Gli studi sull’elaborazione delle immagini dell’Università della California, infatti, hanno condotto a due degli standard più utilizzati nell’elaborazione e la compressione delle immagini, ovvero Jpeg (per le foto) e Mpeg (per i video).
Se oggi le persone condividono immagini sui social, oppure si scambiano foto su Whatsapp, lo si deve anche a Lena Forsén. Gli algoritmi di compressione, infatti, riducono la dimensione del file di un’immagine digitale senza perdere troppi dettagli dell'immagine stessa. In questo modo le foto digitali occupano poco spazio nella memoria dei dispositivi e, soprattutto, possono essere trasferite più velocemente. […]
Lena Forsén
Nel 1973, l’anno in cui il professor Sawchuk ha iniziato a testare gli algoritmi di compressione sulla foto in questione, lo scatto pubblicato da Playboy è finito addirittura nel film “Il dormiglione” di Woody Allen come una delle immagini simbolo del Novecento insieme a fotoritratti di Stalin, Nixon e De Gaulle.
Ma l’utilizzo ripetuto del volto della modella svedese è stato anche definito “sessista” e per questo motivo, in passato, è stato oggetto di critiche. Per molti lo scatto di una “donna attraente” ha contribuito a un clima accademico dominato dalla cultura maschile, in un ambito - quello tech - che vede le donne già fortemente penalizzate da stereotipi e pregiudizi.
Per questo motivo una professoressa di matematica della UCLA ha proposto provocatoriamente, nel 2013, di utilizzare una foto del modello Fabio Lanzoni per effettuare test riguardanti la compressione delle immagini. Già nel 2018, inoltre, la rivista Nature ha comunicato che non avrebbe più accettato paper scientifici contenenti lo scatto di Playboy con Lena Forsén.
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E ora anche l’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), un’associazione internazionale no-profit che conta oltre 400.000 membri in tutto il mondo, ha deciso che “dal 1 aprile 2024 non accetterà più paper scientifici che conterranno l’immagine di Lena”.
“Sono molto orgogliosa di quella foto” aveva detto proprio Lena Forsén a Wired USA, che ha intervistato l’ex modella nel 2019. Ma sul suo ruolo di icona la donna ha poi espresso idee diverse: “Mi sono ritirata dalle passerelle molto tempo fa. Ed è forse giunto il tempo che mi ritiri anche dal mondo tech. Iniziate a dimenticarmi”. […]
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