Marco Bardesono per Libero Quotidiano
E dunque, la colpa sarebbe tutta del manovratore, di Gabriele Tadini. Il solo ad andare agli arresti domiciliari. Mentre il gestore dell’impianto dellafunivia delMottarone Luigi Nerini eil direttore di esercizio Enrico Perocchio restano indagati ma lascianoil carcere diVerbania il cui ingresso avevano visto chiudersi alle loro spalle all’alba di martedì scorso, 48 ore dopo la tragedia.
INCIDENTE FUNIVIA STRESA MOTTARONE
L’ingegnerEnricoPerocchio, responsabile della sicurezza dell’impianto, e il patron dellafunivia del Mottarone Luigi Nerini, di quel “forchettone”che hacausato la tragedia pare non ne sapessero un bel nulla.
Perlomenocosì sostengono. Secondo le difese degli stessi Perocchio e Nerini, la procuratrice Olimpia Bossi avrebbe preso un abbaglio colossale a porre in stato di fermo tutti e tre, e anche i carabinieri avrebbero sbagliato tutto. Una giornata drammatica, quella diieri nel carcere di Verbania, dove sono stati condotti dal gip Donatella Banci Bonamici, gli interrogatori di garanzia dei presunti responsabili della strage di Stresa. Interrogatori cominciati alle nove e terminati sette ore dopo.
Pentimenti, difese strenue più o meno credibili, accuse reciproche. Fino a quando,in tarda serata, il magistrato ha sciolto la riserva.Una decisione che è solo il primo step di una vicenda giudiziariache si annuncialunga e complessa, e che nei prossimi giorni potrebbe riservare nuovi sviluppi con l’emissione di altri avvisi di garanzia.
FUNIVIA STRESA MOTTARONE
NON MANGIA NÉ DORME Gabriele Tadini, l’anello debole, la persona che ricopre il ruolo meno importante nella catena di comando, quello del manovratore della funivia, secondo le tesi degli altri due indagati sarebbe stato un «pazzo», ma avrebbe agito da solo e senza avvertire nessuno dell’utilizzo dei “forchettoni”. Lui le sue responsabilità se le è prese: «Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, Gabriele Tadini ha ammesso di aver messo il “forchettone” che inibiva il freno di emergenza alla cabina numero 3 della funivia», ha detto l’avvocato Marcello Perillo, il legale di Tadini, il primo dei tre arrestati per la strage dellafunivia a essere stato ascoltato. «Tadini ha risposto in maniera compiuta a diverse domande del giudice, è stato un interrogatorio profondo».
FUNIVIA STRESA MOTTARONE
Al gip Donatella Banci Bonamici, Tadini ha poi detto: «Non sono un delinquente. Non avrei mai fatto salire delle persone in funivia se avessi pensato che la fune si potesse spezzare, cosa che ancora oggi io non riesco a spiegarmi». L’avvocato ha poi aggiunto: «Il mio assistito è distrutto, non riescea capacitarsi perché lafune si sia rotta, sono quattro giorni che non mangia e non dorme, il peso di questa cosa lo porterà per tutta la vita».
Tadini ha ammesso che i forchettoni nonerano rimasti sulla cabina solo quel giorno, «mamolte più volte, sostanzialmentein modo pressoché abituale, quantomeno nel corso dell’ultimo mese, da quando l’impiantoaveva riapertoal pubblico» dopola pandemia.
FUNIVIA STRESA MOTTARONE
Gli investigatori sospettano addirittura che siano statiapplicati nelmese di ottobre, dopo un intervento di manutenzione straordinaria. D’altro canto,Tadiniha giurato di aver condiviso la decisione «sia conl’ingegner Perocchio sia con Nerini», che non solo l’avevano avallata, ma gli avevano anche detto dinonfermarelafunivia perlalungamanutenzione necessaria per evitare «ripercussioni di carattere economico», violando così le norme «sul corretto funzionamento dell’impianto», ha sostenuto il pm in udienza di fronte al gip. Di tutt’altro tenorela deposizione dell’ingegner Perocchio che ha negato di essere a conoscenza del sistema cheimpediva l’entrata in funzione dei freni d’emergenza. «Non salirei mai - ha detto al gip - su una funivia con ganasce, quella di usare i “forchettoni” è stata una scelta scellerata solo di Tadini».
FUNIVIA DEL MOTTARONE - GABRIELE TADINI CON GLI IRON MAIDEN
Il suo legale, l’avvocato Andrea Da Prato, all’uscita dal carcere ha poi spiegato: «Ilmio assistito ha parlato a lungo, ha risposto a tutte le domande. Ha ribadito con grande partecipazione e scrupolola sua estraneità.Ho trovatol’ingegner Perocchio incredulo e inebetito. Speriamo che già oggi possa lasciare il carcere». L’avvocato Da Prato ha poi detto che un «teste scagiona Perocchio»: si tratterebbe di un tecnico di una società esterna alla gestione dell’impianto, che avrebbe reso dichiarazioni spontanee che «dimostranol’estraneità di Perocchio».
La tesi più sconcertante è stata, però, quella sostenuta dal gestore dell’impianto, Luigi Nerini, che nei giorni scorsi, attraverso il suo avvocato, aveva dichiarato d’essere prostratoe pronto a risarcire. «Non decido io - ha spiegato Nerini - di fermare la funivia, sulla sicurezza decidono altri. Per legge erano Tadini e Perocchio a doversene occupare. Io mi dovevo occupare degli affari della società. Non avevo nessun interesse a non riparare la funivia». Il suo legale, l’avvocato Pasquale Pantano, rivolgendosi ai giornalisti, ha poi ribadito: «Smettetela di dire che ha risparmiato sulla sicurezza. Sapeva che c’era un problema, ma era tutto in carico aTadini e Perocchio».
strage funivia del mottarone
Quindi Nerini, dal quel che è emerso, da un lato pur essendo a conoscenza di anomalie sull’impianto, avrebbe inspiegabilmente evitato di chiedere spiegazioni più preciseai tecnici. Non solo: dalla sua deposizioneemergeancheche «l’anomalia tecnica» sarebbe stata di «responsabilità»non solo diTadini, ma anche dell’ingegner Perocchio.
CAPI DI IMPUTAZIONE Illegale di Tadini aveva chiesto al giudice l’adozione per il suo assistito degli arresti domiciliari, identica richiesta, ma in subordine, avanzata dagli altri dueavvocati che avevano chiesto la scarcerazione di Nerini e Perocchio. Ora per la procura di Verbania si apre un nuovo capitolo, ed è relativo ai capi di imputazione da contestare agli indagati: l’omicidio colposo, oppure quello volontario per «dolo eventuale».
luigi nerini
La questione è essenziale, perché riguarda l’eventuale condanna ma anche i risarcimenti. Il tema è già statoaffrontatoinaltri procedimenti,entrambi sono stati celebrati a Torino: il caso Thyssen e quello di Eternit, dove l’allora procuratore Guariniello contestò l’omicidio con «dolo eventuale». Le sentenze furono esemplari,ma con profondi distinguo rispetto alle responsabilità e alle pene. Nulla a che vedere, però, con l’accusa ipotizzata dal magistrato torinese.
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