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Gabriella Colarusso per “la Repubblica”
«In piazza stiamo molto attenti: non sai mai chi è il tuo vicino». A 20 anni, Azadeh sa bene cosa vuol dire delazione. Ha partecipato alle prime proteste in Iran che era ancora minorenne, nel 2019, ed è determinata a non mollare nemmeno questa volta. «Ma serve il massimo della prudenza. I basiji sono i nostri vicini di casa, i nostri compagni all'università, a volte anche i nostri stessi parenti ».
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Nel ramificato e pervasivo apparato di sicurezza e sorveglianza della Repubblica Islamica, i basiji sono la colonna portante della repressione di piazza. Girano spesso in moto, vestiti di nero ma senza uniformi, armati di bastoni o pistole, e «picchiano, arrestano, spiano», dice Azadeh. Sono gli occhi e le orecchie del governo, la rete informale di milizie con cui l'intelligence raccoglie informazioni sui manifestanti. L'organizzazione Basij, che in farsi vuole "Mobilitazione degli oppressi", (basiji sono i singoli membri) fu fondata poco dopo il 1979 da Khomeini per "islamizzare" la società, difendere e imporre le rigide regole su cui si fonda la teocrazia islamica iraniana.
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Erano soprattutto i ragazzi delle classi più povere a farne parte, attratti dalla promessa di riscatto che l'ayatollah tornato dall'esilio in Francia offrì alle masse oppresse dopo la caduta dello Scià. Negli anni della lunga guerra con l'Iraq (1980-1988) si guadagnarono il rispetto di molti iraniani combattendo contro le truppe di Saddam, spesso male addestrati e male armati e utilizzati nelle operazioni più rischiose, come gli attacchi kamikaze.
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Negli anni Novanta sono stati inglobati sotto il comando del Corpo dei guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, da cui dipendono, e da allora impiegati soprattutto per reprimere il dissenso e le manifestazioni di piazza. Quando nel 2009 l'Onda verde portò nelle strade di Teheran più di due milioni di persone, furono loro a schiacciare nel sangue l'opposizione riformista ad Ahmadinejad, accusato di aver manipolato il risultato del voto.
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I basiji ricevono una formazione militare e sono addestrati a usare la forza anche brutale contro i cortei, ma non hanno divisa, sono una milizia paramilitare, che permea ogni ramo della società per controllare le organizzazioni indipendenti. Esistono branche dei Basij nelle università, nelle ong, nelle professioni, nella pubblica amministrazione. Basij- e Karegaran, per esempio, è l'organizzazione del Lavoro Basij e fa da controparte ai sindacati; i Basij-e Daneshjouyi operano nelle scuole.
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Molti ricevono un salario fisso, per tanti entrare nelle milizie vuol dire avere un canale di accesso privilegiato ai lavori nella pubblica amministrazione, una via facilitata con gli esami all'università, protezione e influenza. Secondo Saeid Golkar, dell'Università del Tennessee, i basiji sono circa 1 milione. Altre stime parlano di 5 milioni. Tra loro ci sono anche molte ragazze. Per la prima volta, durante questo mese di proteste, le donne sono state impiegate anche nella polizia anti-sommossa. È l'altra faccia della primavera femminile iraniana.
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