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Cavoli amari per Gianpiero Samorì. Sì, proprio il finanziere di Modena che doveva prendere il posto di Berlusconi come leader di Forza Italia e dell’intero centrodestra, e che per questo nel 2012 aveva sfidato Alfano alle primarie del Pdl. Sì proprio quello dei sostenitori mandati a loro insaputa alla convention del Mir (Moderati Italiani in Rivoluzione), la cui carriera politica è finita in una bolla di sapone prima ancora di cominciare.
Ora i suoi problemi sono di natura giudiziaria e rischiano di metterlo definitivamente fuori gioco con Arcore, dove il Cavaliere ha rifiutato varie richieste d’incontro dirette (non gli prende le telefonate e ha detto alla Pascale di non ammetterlo a corte) e per il tramite di Verdini (l’unico che gli è rimasto amico, e non è detto che sia un vantaggio).
Su Samorì pendono due possibili rinvii a giudizio. Il primo è per il suo coinvolgimento nel dissesto della Tercas, la banca di Teramo commissariata alcuni mesi fa da un decreto del Ministero delle Finanze su richiesta della Banca d’Italia per gravi perdite patrimoniali e poi acquistata dalla Banca Popolare di Bari.
Il secondo è per l’imputazione coatta imposta dal tribunale di Bologna, dopo una precedente archiviazione, per i reati di intrusione in sistemi informatici e divulgazione di informazioni riservate, per il quale la decisione di rinvio a giudizio è fissata per lunedì 1 dicembre. L’imputazione coatta non è tecnicamente un rinvio a giudizio, ma dispone che la procura che aveva chiesto l’archiviazione chieda invece per gli indagati il rinvio a giudizio, ed è prassi che all’imputazione coatta segua sempre un processo.
Per quanto riguarda il caso “Tercas”, nel procedimento contro l’ex direttore generale della banca abruzzese, Antonio Di Matteo, per Samorì e gli altri imputati coinvolti nel crac e accusati di associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, è stato disposto dal Gup Giulia Proto del Tribunale di Roma che l’udienza preliminare si terrà l’11 febbraio 2015.
silvio berlusconi occhiali da sole
In particolare, Samorì, in veste di finanziere e imprenditore assicurativo, secondo l’accusa “operava come partecipe del sodalizio criminoso e forniva un rilevante apporto alla realizzazione del suo programma” perché per il tramite della sua Modena Capital Banking Partecipation ha acquistato 2,4 milioni di azioni della Tercas, abbondantemente finanziato dallo stesso istituto di credito grazie all’intervento di Di Matteo.
Ancora più delicata è la vicenda del trafugamento dei dati riservati relativi ai soci della Bper, la Popolare dell’Emilia Romagna di cui da anni Samorì tenta la scalata senza fortuna. Secondo la denuncia della stessa banca, Samorì avrebbe “ricettato” quei dati da un dipendente della Bper – poi guarda caso dimessosi dalla banca e diventato dirigente (lo è tuttora) di una sua società, l’Assicuratrice Milanese – per poi usarli per raccattare voti nell’assemblea dei soci che, essendo una popolare, prevede il voto capitario.
Dopo la denuncia gli inquirenti hanno disposto perquisizioni e sequestri, che hanno riguardato anche un pc in uso a Gianmarco Landi (coordinatore nazionale di Bper Futura, la lista con cui Samorì si è candidato a entrare nel cda della banca) nel quale la Polizia ha trovato i file dell’anagrafe soci della Bper, che egli dichiarerà di aver ricevuto “a casa in busta anonima”. Samorì si è giustificato dicendo di aver dato disposizione di distruggere i file. Ma perché uno che vuole guidare l’Italia, ed è pure avvocato, non è andato subito alla procura della Repubblica?
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