Mario Ajello per “il Messaggero”
ROCCO CASALINO GIUSEPPE CONTE
Una bella crostata, come quella della bicamerale del 97, per spartirsi la torta dei fondi Ue. O una bella diligenza, come quelle che passavano ai tempi delle ricche Finanziarie anni 80, a cui dare l'assalto per prendere il tesoro del Recovery Fund. E che bel ritorno al futuro questa caccia al bottino che fa gola a tutti e ognuno propone il suo strumento - faccio una task force o un'Assemblea Costituente o appunto una Commissione bicamerale sullo stile di quella BerlusconiD'Alema ma con tanti nuovi arrivi? - per impedire che siano solo gli altri a mettere le mani sui 209 miliardi.
DALEMA BERLUSCONI BY BENNY
Prima la corsa al denaro si faceva sulla legge di bilancio e chi ne acchiappava di più, impossessandosi della cassa per dare mance e prebende, vinceva in una logica da western all'italiana. Ora entro metà ottobre occorre presentare il piano di ricostruzione a Bruxelles, e serve subito - ma che cosa c'è di meno agile e di più farraginoso di una bicamerale come quella che vogliono Forza Italia ma anche mezzo Pd? - un consesso che decida quali riforme vanno fatte, quanti dei soldi Ue mettere in un capitolo e quanti in un altro e, soprattutto, chi siede e chi dirige il banco che si spera che non sia a rotelle, e ad alto rischio di andare a sbattere, come quelli che la ministra Azzolina vorrebbe destinare alle scuole.
STEFANO PATUANELLI
I TEMPI
Insomma i tempi sono stretti. Una bicamerale estiva con un centinaio di commissari in mascherina diventerebbe una sudata collettiva. Di task force per le riforme ne girano già talmente tante, che il traffico rischierebbe di paralizzare tutto. A meno che qualcuno - e succederà - non proponga di resuscitare l'originale, quella con la maiuscola, la Task Force di Colao, a cui non è stata fatta toccare palla la prima volta ma adesso potrebbe ottenere il risarcimento, destinandola all'uso dei 209 miliardi conquistati da Conte nella battaglia di Belgio.
gualtieri conte patuanelli
E figuriamoci però se il premier, dopo tanta fatica, consegna il trofeo ai tecnocrati e lascia a loro la cura del Reform Plan del Recovery Fund (ma non si può dire in italiano?). Meglio, ma chissà, la creazione - anzi resurrezione, visto che esiste sia pure rimasto in sonno dai tempi di Mario Monti - dell'acronimo Ciae. Sta per Comitato interministeriale affari europei, una sorta di consiglio dei ministri in formato ridotto ma anche allargabile, dominato da quattro - il premier più il ministro dell'Economia e quelli degli Esteri e degli Affari europei - e però oltre a Conte, Gualtieri, Di Maio e Amendola si possono aggiungere di volta in volta i titolari degli altri dicasteri quando si parla di cose che li riguardano. Il che diventerebbe più che una cabina di regia una torre di babele se la partecipazione si estende anche ai tecnici: e c'è chi ne vuole tanti, chi pochi e chi medi.
enzo amendola ministro per gli affari europei foto di bacco
I TAVOLI
A questo punto qualcuno potrebbe ricordare, a chi si sente neo-bicameralista, che cosa diceva Benedetto Croce su questo tipo di consessi: «La commissione parlamentare migliore è quella che ha un numero di membri pari che sia inferiore all'1». Cioè zero: la commissione migliore dunque sarebbe quella che non esiste. L'ansia di far presto sconsiglierebbe si allestire «tavoli», sia «ristretti» sia (peggio!) «allargati» dove concertare come spendere, eppure i sindacati il solito tavolone vorrebbero apparecchiare. Perché la voce in capitolo sui soldi perché devono averla gli altri - oddio, il ritorno del vintage! - e non noi che rappresentiamo i lavoratori?
PAOLA DE MICHELI ROBERTO GUALTIERI
Il problema è che con le norme anti-Covid in vigore non basterebbe lo stadio Olimpico, e tantomeno il Salone dei 500, per ospitare il tavolone con tutti i suoi commensali (compresi i Cobas, magari). Il problema è che si potrebbe fare la bicamerale, ma la Lega e parte di Forza Italia non la vogliono proprio («Una nuova bicamerale sul Recovery Fund sarebbe come finire sulle sabbie mobili», protesta il senatore Francesco Giro, l'azzurro più vicino a Salvini) e Giorgia Meloni non la esclude in via di principio però pone una, come si dice adesso, condizionalità: «Dev' essere presieduta da un rappresentante dell'opposizione». Basta che non sia Dibba, please.
MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI SELFIE IN PIAZZA
I PARTITI
Il ministro Patuanelli, in modalità minimal, dice che si accontenterebbe di «un tavolo» tra ministri «senza creare nuovi organismi o sovrastrutture». I partiti sono divisi per correnti e la corrente ex renziana di Base riformista di sedersi a un tavolo o di partecipare a una task force non si accontenta, vuole condividere la Sala della Regina a Montecitorio - come ai tempi della bicamerale 97 - con un folto numero di eletti del popolo: 35 di maggioranza e 35 di opposizione. Il che significherebbe che a Zingaretti l'ingresso sarebbe vietato.
Ed è strano, allora, che nessuno abbia ancora pensato di affidare le scelte sui soldi europei a un caminetto (co' sto caldo!) dei leader di partito, così anche Vito Crimi il capo politico dei 5 stelle potrebbe decidere, con la sua acutezza, i destini della patria. Mentre si stanno mobilitando invece, e per fortuna, i sindaci e i presidenti regionali: vogliono un «organismo comune allargato» che si occupi del Recovery Fund, così oltre a Toti, o De Luca (i nuovi soldi per i soliti concerti a Piazza Plebiscito?), Sala e Gori anche la Raggi potrà dire la sua su come andrà rifatta l'Italia da cima a fondo.
MARIO DRAGHI E GIUSEPPE CONTE
Viene quasi da rimpiangere il tempo del Piano Marshall, unici garanti dei soldi donatici dagli americani furono De Gasperi e Einaudi e una condizionalità era quella di non far vedere nemmeno il becco di un dollaro ai comunisti. Tutto più semplice. Ora i soldi l'Europa ce li dà ma in cambio di solidarietà chiede responsabilità. E così, per dimostrare di essere meritevoli di fiducia, viene fatto anche il nome di Mario Draghi. Lo propone la Fondazione Carli come «figura chiave» di un comitato di saggi per gestire la ricostruzione. Magari va bene tutto, basta che si faccia presto. E che siano in pochi - non serve un Politburo - a mettere le mani nella marmellata, anzi nella crostata.