Federico Ruffo per il "Fatto quotidiano"
Posso farti vedere i filmati, così capisci che non ti racconto storie". Sparisce dietro la porta della camera da letto e inizia a frugare nei cassetti dell'unico armadio. Ci promette di tornare con le prove che alcuni calciatori di Serie A sono in rapporti stretti con esponenti della 'ndrangheta.
Salvatore AronicaNon dovrebbe essere una ricerca lunga, di mobili nell'abitazione che gli ha assegnato il ministero dell'Interno ce ne sono pochi e di suoi non ne ha potuti portare. La notte stessa in cui ha deciso di pentirsi, Luigi Bonaventura è stato trasferito lontano da Crotone senza passare da casa. Quando sei il capo mandamento della cosca Vrenna-Bonaventura, devi diventare invisibile prima che i tuoi capiscano che hai tradito. La mattina dopo anche sua moglie e i suoi figli erano lontani, pochi vestiti, niente effetti personali, qualche foto e due filmati.
Quando torna dalla camera ha in mano due nastri, ma prima ci racconta tutto il resto. "Il calcio in Calabria è quasi tutto controllato dalla ‘ndrangheta, ci sono decine di squadre controllate. Non è per una questione di soldi, ma di potere. Senza il calcio non diventi istituzione, non diventi antagonista allo Stato, non crei consenso popolare, quel consenso che ti crea un serbatoio di voti che, al momento giusto, puoi dirottare su chi ti fa comodo. A questo servono le squadre in Calabria: a esercitare controllo".
Gne gne, come lo chiamavano i suoi uomini, sa quello che dice quando parla di calcio secondo i magistrati, tanto che a fine novembre lo hanno ascoltato anche a Bari in merito al filone del calcio scommesse. Per più di 10 anni di questo si è occupato a Crotone: calcio e ‘ndrine. "Fu mio zio Pino Vrenna a volerlo. Quando mi scelse come suo erede, decise di spostarmi dalla gestione dello smaltimento dei rifiuti all'Fc Crotone, che era stata comprata da mio cugino Raffaele Vrenna. Mi nominarono responsabile della security".
GIRO D'AFFARI DELLA NDRANGHETADal 1994 a oggi il Crotone passa dai dilettanti ai vertici della Serie B, un'ascesa costante, a cominciare dallo spareggio promozione per la C2 del 1997 contro il Locri, controllato dal clan Cordì: "Comprammo la partita, è cosa nota nell'ambiente. Per 400 milioni di lire e una partita di kalashnikov. Non tutti erano d'accordo tra i Cordì, tanto che nell'intervallo qualcuno di noi fu costretto a tirare fuori il coltello, alla fine però, andò come volevamo noi".
Passano 7 anni ed è di nuovo promozione, stavolta in Serie B. Nella semifinale dei play off il Crotone affronta il Benevento. "Imponemmo la partita a suon di schiaffi. Li aspettammo quando scesero dal pullman e cominciammo a malmenarli. Botte e minacce negli spogliatoi, in campo. Mandammo un messaggio ai dirigenti e ci lasciarono vincere. Il presidente del Benevento ci andò a denunciare, anche in tv. Ci pensai io a far sparire la denuncia". Ci vede perplessi, sorride: "Sono tante le cose possibili in questo paese. I miei erano preoccupati, erano stati riconosciuti e identificati. Chiamai Raffaele (Vrenna, ndr) e lui mi disse di stare tranquillo "È cosa nostra, già risolta".
"Il mio ruolo era questo, mi preoccupavo che tutto andasse bene. Spaventavo gli ultras quando erano agitati, le denunce, le partite da addomesticare e i biglietti da inviare alle altre cosche. Prendete Crotone-Juventus, quando la Juve era in B, pensate che la ‘ndrangheta non ci fosse in quello stadio? C'era eccome! La ‘ndrangheta pesante, quella che conta! Inviai personalmente i biglietti ai boss e nessuno si accorse di nulla". Gestivamo tutto, mi ripete, anche i calciatori "vicini" e le loro carriere .
"Ci sono carriere accompagnate, trattamenti di riguardo per chi è vicino alle famiglie, si fa in modo di mandarli a giocare lontano per avere dei referenti in altri club, in questo modo puoi avvicinare grandi nomi e realtà che altrimenti non potresti contattare".
Sullo schermo iniziano a scorrere le immagini di un giovane Bonaventura il giorno del suo matrimonio, nel 2000. Il principe designato a guidare la cosca vestito di tutto punto. Meno di 200 selezionatissimi invitati. Parenti stretti, uomini d'onore finiti in carcere o al camposanto. Poi arriva Salvatore Aronica, difensore del Palermo, fino a gennaio in forza al Napoli. "200 invitati sono niente per un matrimonio di ‘ndrangheta, hai idea di quanta gente ho lasciato fuori? Aronica era l'unico calciatore presente".
Sul perché Aronica sia al matrimonio del boss, Bonaventura non ha dubbi: "Aronica era accompagnato dalla cosca dei Vitale di Palermo, coi quali ero stato in carcere a Crotone. Gli dovevamo un trattamento di riguardo. Lui quel giorno veniva a portare rispetto, era un modo per far sapere a tutti che stava con noi. Facendosi vedere a quel tavolo suggellava un patto tra noi e la mafia".
Quello tra Aronica e il boss sembra un rapporto che dura nel tempo. Nuovo nastro, data diversa. Due anni dopo si festeggia il compleanno del primogenito di Bonaventura: "Nel mio locale! Sapevano tutti che era un ristorante della ‘ndrangheta". Aronica arriva a metà festa, prende in braccio il bambino, c'è confidenza col boss, scambiano battute, sorridono. Non è la prima volta che il nome di Aronica finisce accanto a quello di un boss. Sul registro degli indagati "lucchetto palermitano" (come lo chiamano i tifosi) compare nel 2009: ce lo scrive Antonio Ingroia, dopo che il pentito Marcello Trapani gli racconta di una combine voluta proprio dalla mafia nel 2003, quando Aronica gioca con l'Ascoli.
Il Palermo cerca di tornare in Serie A, i Lo Piccolo vogliono facilitare la promozione e, secondo il racconto di Trapani, pagano 200 mila euro ad Aronica e ai compagni Vincenzo Montalbano e Franco Brienza, per perdere. 3 a 0 per il Palermo, l'allenatore Bepi Pillon, che forse ha odorato qualcosa, lascia i 3 in panchina. I fatti però sono vecchi di 6 anni, Ingroia archivia vista l'imminente prescrizione.
"Peppe Sculli era diverso, lui nasce già vicino ai clan, è il nipote di Peppe Morabito (detto U Tiradrittu, considerato per un quindicennio il capo assoluto della ‘ndrangheta), con lui si parlava tra pari, ci capivamo al volo. Si vendette una partita mentre era con noi al Crotone. Vero: nel 2002 viene accusato di aver venduto la partita tra Crotone e Messina (2 a 1 per gli isolani) e squalificato per 8 mesi.
Lo incastrano le intercettazioni. Alla fidanzata che gli chiede di un calcio di punizione battuto da lui e non dallo specialista, risponde: "Se batteva lui, amore, facevamo gol e io perdevo, invece c'era un vento, un "ventello" amore... Ti compro un bel telefonino". Finisce il nastro, tv nera. Restiamo a chiederci nello sport più bello del mondo cosa sia ancora vero e cosa no.