Cristina Marrone per “Salute – Corriere della Sera”
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Rimanere concentrati per tutta la gara, sgomberare la mente da pensieri inutili, calcolare in poche frazioni di secondo tutte le variabili possibili. Ottenere il massimo risultato a livello agonistico, ma anche nella quotidianità lavorativa e scolastica, non è solo questione di muscoli e dieta, conta molto l'aspetto mentale che, ad altissimi livelli, può fare davvero la differenza. Per arrivare a una medaglia d'oro all'Olimpiade o vincere uno Slam nel tennis la forza mentale è un ingrediente essenziale.
Ed è per questo che sempre più atleti si rivolgono a un mental coach per raggiungere una preparazione mentale che, unita all'allenamento fisico, contribuisce a raggiungere gli obiettivi prefissati.
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«Il coaching non consiste nel motivare le persone stando costantemente al loro fianco, altrimenti il coach dovrebbe essere sempre presente. Piuttosto il coaching aiuta a inquadrare i giusti obiettivi, a gestire le emozioni, a riconoscere il pericolo di situazioni problematiche come ansia o distrazione, e a mettere in campo una serie di tecniche per tornare a focalizzarsi sull'evento, valutando le situazioni in modo obiettivo e distaccato» spiega Alberto Biffi, docente di coaching all'Università Bocconi di Milano presso Bocconi Sport (si veda anche il libro a sinistra): «Il coach non è uno psicologo, non va a scavare in traumi infantili o nella sfera intima. Le sedute possono essere anche solo 4-6, il tempo di inquadrare un singolo problema come una gara o un esame all'Università, e trovare la strada per risolverlo, fino ad arrivare all'autonomia e a una maggiore responsabilità dell'assistito».
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Le ricerche scientifiche, per lo più svolte in ambito sportivo, hanno dimostrato l'efficacia del coaching. Uno studio pubblicato un anno fa condotto da varie università in Olanda su calciatori della nazionale e campioni di atletica leggera ha dimostrato che quattro sessioni di mental coaching in una sola settimana sono bastate a stabilizzare le onde cerebrali degli sportivi su un livello che indicava un maggior relax mentale e dunque maggiore capacità di concentrazione.
Un'altra ricerca della società americana BetterUp pubblicata nel luglio scorso sul Journal of Medical Internet Research ha valutato il coaching in ambito aziendale su quasi 400 persone, scoprendo che gestione dello stress, resilienza e soddisfazione personale sono migliorate costantemente nei primi 4 mesi, mentre altri parametri come regolazione emotiva, autoconsapevolezza, individuazione di uno scopo hanno raggiunto il massimo potenziale in 6 mesi.
LA STORIA
Nato in ambito sportivo negli Stati Uniti il coaching è poi stato applicato anche ad altre situazioni: lo studente che vuole arrivare alla laurea, il manager che deve lavorare su un grosso progetto insieme a molte persone, il ricercatore che deve parlare in pubblico, la persona che vuole perdere chili o smettere di fumare.
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Il merito di averne tracciato le linee guida va a John Withmore, psicologo ed ex pilota automobilistico inglese scomparso nel 2017 che ha definito un percorso in 4 tappe detto G.R.O.W. acronimo di Goal (obiettivi da raggiungere), Realtà (conoscere la situazione in cui ci si trova), Opzioni (le possibilità a disposizione per agire), Will (volontà, ovvero che cosa si vuole fare arrivare all'obiettivo prefissato). Il modello iniziale è poi stato declinato e adattato con schemi differenti.
LE TECNICHE
«Parte importante del lavoro consiste nell'individuazione, attraverso una serie di domande, e poi nella condivisione delle potenzialità individuali: ad esempio coraggio, creatività, perseveranza, amore per l'eccellenza. Una volta comprese le potenzialità vanno allenate per renderle ancora più forti» dice Stefano Massari, mental coach del tennista Matteo Berrettini.
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«È assai importante che l'atleta arrivi alla consapevolezza delle proprie qualità - aggiunge - e che impari anche a gestirle: alcune di esse, infatti, se estremizzate, possono trasformarsi in difetti. Ad esempio il coraggio se non gestito può diventare sconsideratezza, l'amore per l'eccellenza perfezionismo». In una competizione, ma anche durante una conferenza in cui si è relatori, ansia e stress possono giocare brutti scherzi.
«Basta che arrivi qualche errore - ricorda Alberto Biffi - e la mente non è più lì. Si comincia ad essere nervosi, a proiettarsi in un futuro negativo con la paura di quello che penserà il pubblico, oppure a ricordare un fallimento passato fino ad arrivare al panico. Se però, allenandosi a farlo, si intercettano i pensieri negativi, è possibile rientrare in carreggiata».
PERSONALIZZARE
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I piani di azione del mental coach sono personalizzati in base alle caratteristiche del singolo. Identificare obiettivi chiari e non generici, dialogo interiore positivo, immaginare se stessi durante la performance, controllo dell'emotività sono alcune delle tecniche di allenamento mentale più utilizzate.
«Gli atleti di resistenza diventano rapidamente vittime dei propri pensieri distruttivi. Un ciclista deve formulare molto bene i propri obiettivi e non perderli di vista perché durante ore e ore di bicicletta dovrà rispondersi all'inevitabile domanda: "perché lo fai?"» suggerisce Andreas Mamerow, mental coach di vari atleti tedeschi. Il dialogo interiore di un atleta quando commette un errore porta molto spesso negatività ed è legato alla frustrazione del momento.
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Dirsi «Come sei scarso» significa aprire il rubinetto delle energie e sprecarne moltissime contro di sé. «Berrettini sta sviluppando un dialogo sempre più positivo con se stesso, si incita a giocare con coraggio, a restare vivo sia quando sta andando bene che quando si trova in difficoltà» racconta il suo mental coach. Nelle partite più complesse è infatti facile osservare il labiale di Berrettini che parla a sé stesso mentre si prepara a servire o a ricevere la battuta dell'avversario.
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«Sia chiaro, gestire un momento di difficoltà con un dialogo positivo non è affatto facile - dice ancora Massari - e ovviamente ci sono giornate in cui anche gli atleti migliori sono talmente nervosi che fanno fatica ad aiutarsi». La cosa importante, per un atleta, un manager, uno studente, è ascoltarsi e capire il proprio stato d'animo per poi riuscire ad esprimersi il meglio possibile. Se una persona tende ad arrabbiarsi e a trattarsi male dopo un errore è utile riconoscere questa emozione, questo pensiero, e sostituirlo con pensieri utili. E le distrazioni?
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Quando lo stadio fischia contro? «Il meccanismo è lo stesso - conclude Massari -. Arrabbiarsi perché il pubblico tifa contro non aiuterà a giocare meglio, anzi renderà ancora più nervosi. Bisogna allenarsi a spostare il pensiero su qualcosa di utile per riconquistare energia: cosa posso fare per ribaltare la situazione? Dove voglio tirare? Quale strategia voglio adottare? Passare da uno stato d'animo di tensione a uno positivo, magari di incitamento, non è facile: è una capacità che va, appunto, allenata, ma può rivelarsi vincente».
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