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    PERCHÉ IL BOSS GIUSEPPE GRAVIANO HA INIZIATO A PARLARE ORA, DOPO 25 ANNI DAL SUO ARRESTO? - SI È STANCATO DI STARE IN CARCERE AD ASPETTARE QUALCHE BENEFICIO CHE NON ARRIVA? O È STATO “DESTABILIZZATO” DALLA ROTTURA DEL SODALIZIO FRA BERLUSCONI E DELL'UTRI? - GRAVIANO ASSICURA DI VOLER RISPONDERE ALLE DOMANDE DEI MAGISTRATI SUI SUOI FAMOSI COLLOQUI COL COMPAGNO DI CELLA ADINOLFI, “ SOLO DOPO AVER AVUTO LA POSSIBILITÀ DI ASCOLTARE LE REGISTRAZIONI”


     
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    Francesco La Licata per “la Stampa”

     

    GIUSEPPE GRAVIANO IN BERMUDA NEL CARCERE DI ASCOLI PICENO GIUSEPPE GRAVIANO IN BERMUDA NEL CARCERE DI ASCOLI PICENO

    Alla fine il timer sembra essersi fermato e la bomba deflagra. Giuseppe Graviano, mafioso di primo livello tanto da essere soprannominato «madre natura», rompe i freni inibitori che dovrebbero caratterizzare il suo essere «uomo d'onore che non parla mai» e, invece, parla a ruota libera in pieno processo. Tutti eravamo al corrente che i fratelli Graviano (è toccata a Giuseppe la responsabilità di una decisione non facile) costituissero una specie di bomba ad orologeria, pronta ad esplodere quando lo avessero scelto i detentori dell'esplosivo.

     

    GIUSEPPE GRAVIANO GIUSEPPE GRAVIANO

    L'incognita era rappresentata - e continua ad esserlo anche adesso, visto l'andamento e la «sapienza» delle «rivelazioni» - dal quando e perché avrebbero deciso di togliere la sicura all'ordigno. Certo, ce n'è voluto di tempo, visto che era rimasto inerte per più di un quarto di secolo, cioè da quando i fratelli palermitani furono arrestati (1994) a Milano in circostanze davvero strane, come oggi afferma lo stesso Graviano quando invita i magistrati a indagare sulle modalità di quella cattura.

     

    Ma ora che l'orologio è saltato non vuol dire che tutto sarà più semplice e decifrabile.

    Anzi, forse proprio adesso viene il difficile, almeno sino a quando non si troveranno pezze d'appoggio alle parole di Graviano che, senza riscontri, resteranno messaggi cifrati ad uso e consumo di «trattative private» fra il boss e i suoi interlocutori interni ed esterni alla mafia.

     

    MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI

    L'impressione, infatti, è che per un quarto di secolo i capi di Cosa nostra se ne stiano stati buoni e fermi in attesa del miracolo che, purtroppo per loro, non è arrivato, seppellendoli al 41 bis per un tempo che forse è divenuto non più sopportabile. Ma proprio per questo non potranno bastare le semplici affermazioni di «madre natura» che, durante il dibattimento, gli avvocati potrebbero relegare nell'ambito dell'indimostrato, per di più motivato dal rancore verso chi avrebbe dovuto aiutarli e non lo ha fatto.

     

    In questo senso potrebbe prendere forma concreta la suggestione che descrive i Graviano molto «destabilizzati» dal recente «evento» che sembra aver rotto il sodalizio fra Berlusconi e Dell'Utri, quest'ultimo amareggiato e deluso dal rifiuto opposto dal cavaliere alla richiesta di testimonianza (leggi aiuto) inviata a Berlusconi. Anche a bomba esplosa, dunque, la presa di posizione del boss di Brancaccio resta un enigma. Forse bisognerà attendere ancora un po' per capire perché Graviano parla e, soprattutto, a chi sta parlando.

     

    MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI

    Non sfugge il sapiente tentativo, utopistico, del boss di tirarsi fuori dal terreno giudiziario rigettando qualunque accusa di stragismo: «Noi non c'entriamo». Ma nello stesso tempo rivolge il dito accusatorio verso indefiniti «industriali di Milano» che non volevano le stragi si fermassero. E a proposito di fermare le stragi, con la consueta malizia di boss navigato invita i giudici a «indagare sul mio arresto».

     

    Giuseppe e Filippo Graviano furono catturati nel 1994, all' indomani del fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma (che avrebbe dovuto chiudere il cerchio del «ricatto stragista» di Cosa nostra allo Stato) e alla vigilia delle elezioni politiche che per la prima volta vedevano la partecipazione di Forza Italia.

     

    Ciò che non nega, Graviano, riguarda il legame della sua famiglia con Silvio Berlusconi che fa risalire alla fine degli Anni Settanta, quando suo nonno, Filippo Quartararo, «ricco commerciante di ortofrutta venne invitato a investire al Nord perché era in contatto con Silvio Berlusconi». Affari «legittimi» («il legame non era criminale ma economico») che, però, era necessario ufficializzare con carte scritte. Per questo i Graviano si incontrarono con Berlusconi.

    MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI

     

    «Ci siamo incontrati almeno tre volte, anche mentre ero latitante», aggiunge senza rinunciare alla collaudata malizia. E offre particolari: l'Hotel Quark indicato come sede di uno degli appuntamenti e il cugino Salvo testimone, che, come nelle migliori tradizioni dei processi di mafia, è morto e non potrà essere interrogato.

     

    Insomma, rimane il dubbio iniziale. Perché Graviano ha tolto la sicura alla bomba ad orologeria? La risposta più immediata è che si è stancato di stare in carcere ad aspettare qualche beneficio che continua a non arrivare, seppure in qualche modo promesso. Le leggi rigide hanno impedito (e non solo per lui ma per tutti i boss di Cosa nostra) qualsiasi attenuazione della pena, qualsiasi deroga all'isolamento (per avere un figlio ha dovuto fare ricorso a un vero e proprio gioco di prestigio che gli ha permesso di ingravidare la moglie dalle sbarre della cella).

     

    Ma adesso, con la recente sentenza della Corte europea sull'ergastolo ostativo, si potrebbero aprire spiragli. Un atteggiamento collaborativo del detenuto, anche se non di vera e propria collaborazione, potrebbe favorire provvedimenti premiali anche per i mafiosi.

     

    Sarà per questo che Graviano assicura di voler rispondere anche a domande dei magistrati sui suoi famosi colloqui col compagno di cella Adinolfi, «ma solo dopo aver avuto la possibilità di ascoltare le registrazioni». Cosa possibile soltanto se disponesse di un computer, ma chi sta al carcere duro non può avere un pc. Se glielo dessero sarebbe una prima, piccola deroga alle limitazione al regime del 41 bis. Forse, però, potrebbe ascoltare le sue registrazioni sotto il rigido controllo di un pubblico ministero, ma finora questa idea non è venuta a nessuno.

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