Elena Tebano per "www.corriere.it"
coronavirus terapia intensiva bergamo
Il 20 aprile, per la prima volta dall'inizio dell’epidemia di Covid-19 in Italia, il numero di persone attualmente positive al coronavirus è diminuito: sono risultate 20 in meno rispetto a domenica, e cioè 108.237 (i deceduti sono invece saliti a 24.144, 454 in più rispetto al dato complessivo del giorno prima).
La diminuzione dei malati (che sono stati sottoposti a tampone) è un dato che fa ben sperare, ma non deve sorprendere né spaventare se stasera o domani i positivi riprenderanno a crescere. Intanto perché oscillazioni giornaliere nei numeri dell’epidemia sono inevitabili, e quello che conta sono gli andamenti, cioè le tendenze. E poi perché quelle cifre fotografano solo una parte dell’epidemia, come abbiamo già spiegato qui, e sono dunque influenzate dalla raccolta dei dati.
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Anche per questo oggi inauguriamo un nuovo appuntamento: ogni settimana analizzeremo i numeri forniti dalla Protezione civile, per capire meglio cosa significano. Una volta a settimana e non tutti i giorni proprio per far sì che le tendenze siano più evidenti e quelle oscillazioni interferiscano meno.
dati morti in italia per coronavirus
Ad aiutarci c’è l’amministratore delegato del Centro medico Santagostino Luca Foresti, che oltre a essere un esperto di sanità, un fisico e un matematico, è colui che per primo ha mostrato come i decessi per Covid-19 in Lombardia siano stati più di quelli riconosciuti ufficialmente.
MEDICI E CORONAVIRUS
I positivi, è noto, non sono tutte le persone contagiate dal coronavirus in Italia, ma solo i contagiati tra coloro che sono stati sottoposti a tampone, l’esame che individua il codice genetico del virus nelle secrezioni da naso e gola (il numero effettivo degli infettati si potrà stimare solo con un esame epidemiologico su un campione statisticamente significativo della popolazione).
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Più sono i tamponi fatti, più risulteranno alti i contagiati: e visto che sono le Regioni a decidere come e quanti tamponi fare, le diverse politiche che adottano influenzano i numeri ufficiali dei positivi.
La diminuzione registrata il 20 aprile è comunque significativa. «Il 25 febbraio sono stati fatti quattromila tamponi in tutta Italia. Ieri 50 mila: significa che dall’inizio della crisi a ora il numero dei tamponi è più che decuplicato» spiega Foresti. E che quindi i contagiati reali all’inizio erano molto più sottostimati di adesso. «Il numero importante per capire l’andamento dei contagi è il rapporto tra tamponi fatti e casi — aggiunge —. Nei primi giorni si registrava un positivo ogni 5 tamponi fatti. Ora uno ogni 18 tamponi». Cioè, in proporzione, assai meno.
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L’effetto del blocco degli spostamenti e del distanziamento fisico si vede anche dalla diminuzione dei pazienti ricoverati in terapia intensiva (-239 rispetto a domenica), cioè dei casi più gravi, e dall’andamento dei decessi ufficiali per Covid-19, che ieri sono stati 454.
Senza lockdown i morti per coronavirus sarebbero raddoppiati ogni tre giorni, con una crescita esponenziale. Invece calano: nonostante le oscillazioni giornaliere (ieri sono aumentati dell’1,9% rispetto a domenica), la curva dei decessi nel complesso tende a diminuire dal 27 marzo, quando si è raggiunto il picco (con 969 morti in più in un solo giorno), come si può vedere dal grafico qui accluso.
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Solo che la decrescita è lenta: si assiste a quello che in termini tecnici si chiama «plateau», un andamento quasi orizzontale, a pianerottolo, in cui i numeri rimangono sostanzialmente costanti. Perché non scendono più velocemente? «Al momento —spiega ancora Foresti — non lo sappiamo con certezza: però abbiamo alcune ipotesi.
Una è che nonostante il blocco continuino a esserci contagi significativi: tra familiari, perché i positivi rimangono per lo più a casa; o negli ospedali, perché non si fanno abbastanza tamponi agli operatori sanitari asintomatici, che quindi se infetti possono contagiare i pazienti; o infine tra le persone che hanno interazioni sociali perché vanno a lavorare o escono a fare la spesa». Sono domande a cui però si potrebbe rispondere almeno in parte aumentando il numero di test.
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Anche per quanto riguarda i decessi, in ogni caso, i numeri ufficiali non fotografano appieno la situazione. Intanto perché le persone che muoiono oggi sono quelle contagiate in media 23 giorni fa, e quindi contagi che risalgono a quando gli effetti del lockdown erano ancora limitati.
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In parte perché ci sono dei ritardi nella raccolta dei dati, che sono tanto più forti quanto più il sistema sanitario di un territorio è messo in difficoltà dall'epidemia: i numeri della Protezione civile indicano i nuovi decessi segnalati nelle ultime 24 ore dalle Regioni, che però non arrivano in tempo reale ma aggregano quelli raccolti nei giorni precedenti da Comuni e dalle Agenzie di tutela della salute (le famose Ats che hanno sostituito le Asl).
un malato di coronavirus trasportato in ospedale
Infine c’è il fatto che le persone decedute a casa, negli ospizi e o nelle residenze sanitarie assistite quasi mai vengono sottoposte a tampone. Per questo è fondamentale organizzare meglio, velocizzare e uniformare la raccolta dati: senza la certezza in tempo reale di quello che sta succedendo sul territorio è impossibile programmare la ripartenza. E potremmo ritrovarci di nuovo con focolai che non vengono intercettati se non quando sono già esplosi.
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