Emanuele Buzzi per il “Corriere della Sera”
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«Vito Petrocelli? Lo sentirò a breve»: Giuseppe Conte spiega al Corriere che avrà un chiarimento con il senatore che in aula ha votato no alla risoluzione di governo pro-Ucraina. Petrocelli nei giorni scorsi aveva anticipato ai vertici le sue posizioni e l'intenzione di tenere il punto a Palazzo Madama.
La situazione nel partito è sulfurea: diversi esponenti - anche contiani - chiedono un passo indietro di Petrocelli dalla presidenza della Commissione esteri. La tenuta del gruppo a Palazzo Madama fa registrare fibrillazioni che hanno toccato anche Mariolina Castellone. La capogruppo M5S al Senato smentisce agitazioni e sostiene che non ci sarà alcuna richiesta di dimissioni di Petrocelli.
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L'eventuale passo indietro è oggetto di discussione nel gruppo parlamentare. Nel dibattito entra anche un viaggio in Russia dal 16 al 19 giugno 2019 del senatore stellato. Un viaggio che comprende anche l'incontro con il presidente della Commissione Affari Esteri del Consiglio della Federazione russa, Konstantin Kosachev e che termina con «documento di sintesi» italiano - rivela l'Adnkronos - apprezzato dai russi in particolare «nei punti dove viene evocata l'ipotesi di una possibile neutralità dell'Ucraina e dove si auspica la ripresa, al più presto, di un dialogo strategico tra l'Unione Europea e la Russia».
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«Cosa aspetta? Lo sostituiamo con uno dei nostri», dicono tra i 5 Stelle e sperano che l'incontro con Conte possa servire proprio per arrivare a questa soluzione. I big del partito temono che lasciare la presidenza della commissione sia solo una mossa a vantaggio delle altre forze politiche pronte a un blitz.
Conte sottolinea che il sì alla risoluzione «è stata una decisione sofferta, un sì che il Movimento limita al contesto che evidenzia il pieno diritto del popolo ucraino a esercitare la legittima difesa». Il presidente sottolinea come «tra Camera e Senato ci sia stato solo un voto contrario del Movimento. Cosa che, se guardiamo ai numeri dei parlamentari, conferma la maggiore compattezza in termini proporzionali del Movimento rispetto agli altri gruppi parlamentari».
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Conte ribadisce anche che «il M5S ha nel suo dna e nello statuto la pace quale fonte di ispirazione dell'azione politica e obiettivo da perseguire a ogni costo». Ma oltre al caso Petrocelli, tra gli stellati si discute anche delle questioni legali. Si preannuncia battaglia sul voto che ci sarà il 10-11 marzo.
«Se voteranno mentre il giudice non ha ancora deciso, ed è in vigore la sospensiva del 7 febbraio scorso, o dopo che la revoca da loro avanzata non è stata accolta, c'è un effetto a cascata, e quel voto è illegittimo già da ora. Se il giudice invece, prima del voto, accogliesse il loro ricorso, per noi non finisce. Anche quella decisione del giudice sarebbe reclamabile», dice all'Agi Steven Hutchinson.
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Anche in questo caso, però, i vertici tirano dritto. «La verità - sostengono fonti vicine ai vertici del Movimento - è che a Napoli i tre attivisti hanno impugnato una votazione effettuata con il vecchio statuto con una regola che esclude i neoiscritti, che è stata sempre negli anni pacificamente applicata e mai contestata. I tre ricorrenti hanno un intento politico perché contrastano il nuovo corso di Conte e vorrebbero un ritorno alla votazione su Rousseau. Ma questa strada, essa sì, è davvero impraticabile da un punto di vista giuridico e pratico».
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