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    PIANGE IL TELEFONO - LE CONVERSAZIONI DI UNA VOLTA OSCURATE DA SMS, TWEET E SELFIE - PER GLI AMERICANI TELEFONARE E’ SOLO LA SESTA ATTIVITA’ PRATICATA CON UNO SMARTPHONE - SUPERSTAR ALLA CORNETTA? LADY GAGA E BEYONCÉ NEL VIDEO DI “TELEPHONE”


     
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    Fabiana Giacomotti per “il Foglio”

     

    anna magnani una voce umana anna magnani una voce umana

    Proposte di articolo. Ti vanno bene A e B?”. “Debolucce”. “Te ne propongo un altro. Da una ricerca pare che tweet, sms e attività per così dire extracurriculari degli smartphone abbiano sostituito le telefonate via cellulare. Che cosa stiamo perdendo a non parlarci più a voce, solo testo? Quanti malintesi generiamo senza la nostra voce a calmierarne o enfatizzarne il contenuto? E che cosa sarebbe stato di quei quattro o cinque film strepitosi che vivono sul climax telefonico senza la scena della cornetta in mano?

     

    Te la vedi Grace Kelly che invece di liberarsi del filo del telefono con una mano e conficcare le forbici nella schiena di Anthony Dawson con l’altra muore strangolata perché sta digitando un messaggio al marito fedifrago su whatsapp?”. “Mi piace”.

     

    Questo articolo è stato scritto dopo lo scambio di sms che avete appena letto, zero appostamenti telefonici tramite linea fissa come sarebbe accaduto trent’anni fa (chiamata in segreteria:

     

    da telefono alla maratona da telefono alla maratona

    “C’è il direttore?”, “è in riunione, ti faccio richiamare appena si libera”, e via ore trepidanti d’attesa) o sul cellulare cinque anni fa (“ciao direttore, sei impegnato? Posso farti una proposta?”, “sentiamo, ma solo se è buona”, e dal tono incoraggiante o meno si sarebbe capito se proseguire) e per certi aspetti potrebbe anche chiudersi qui perché più o meno sapete già tutto.

     

    La sintesi del tema è completa. Manca però lo svolgimento, mancano gli esempi a sostegno e un paio di riflessioni, mie e di qualche eventuale commentatore, scelto sulla base dell’esperienza in materia o solo perché simpatico e che dunque aggiungerà interesse a questa, pur semplicissima, struttura narrativa. C’è il soggetto, ma non il dialogo: perciò anche questo, come tutti gli articoli, prosegue.

    rihanna video telephone 3 rihanna video telephone 3

     

    Perché, esattamente come una telefonata, un articolo rappresenta una conversazione col lettore e, nei casi migliori, gli suscita qualche emozione senza dover ricorrere all’uso dell’emoticon, l’iconcina che segnala allegria, tristezza, sconcerto e tutte quelle reazioni basilari che costellano la messaggistica e che finalmente le multinazionali dell’hi-tech hanno trasformato in volti semplificati, ma dai tratti veri e completi, rispetto all’astrusa sequenza di segni di interpunzione che sono state per anni e che non ho mai imparato a usare.

    rihanna telefono rihanna telefono

     

    Adesso, segnalare al mondo il mio sentire è semplice: scelgo la faccina che meglio rispecchia il mio stato d’animo e schiaccio “send”. Poi, ogni tanto, non mi infilo gli occhiali per cui, come ieri sera, invece di inviare l’icona che ride alle lacrime (angoli della bocca all’insu’, due lacrimucce oblique agli angoli degli occhi), ho selezionato e trasmesso quella che piange disperata (bocca aperta a “o”, lacrime verticali), ricevendo in risposta un micro-testo sdegnato:

    jfk al telefono jfk al telefono

     

    “Vedo che non ti faccio ridere”, per cui ho dovuto smettere di fare quel che stavo facendo (l’equivalente di liberarmi dal filo del telefono attorno al collo di “Delitto perfetto” per non finire strozzata, diciamo), e tranquillizzare l’interlocutore che non volevo offendere con una breve esegesi della sua vis comica, questa volta dopo aver inforcato gli occhiali ed essermi seduta.

     

    Tempo complessivo dell’operazione, cinque minuti, nessun’altra attività possibile nel frattempo. Con una telefonata, avrei potuto ridere educatamente alla battuta (non era un granché, ma la socialità impone l’esercizio dell’ipocrisia) e, usando un cellulare o un cordless che se ben ricordo sono in circolazione da trent’anni, avrei anche potuto svolgere altri compiti, per esempio e a seconda del momento della giornata sfogliare un quotidiano, controllare la posta, farmi un caffè o pulire le verdure, insomma una delle tante attività in contemporanea che riescono così bene a noi femmine multitasking, e solo a dirlo più che un complimento sembra una presa per i fondelli, chissà perché.

     

    rocco siffredi al telefono rocco siffredi al telefono

    Elvira Sellerio, per esempio, telefonava ai suoi autori mentre stirava le lenzuola: era un’attività che la rasserenava molto, diceva, per cui, quando nel tardo pomeriggio visualizzavi il suo numero, potevi essere certa che dall’altra parte del filo (che è un modo di dire, ma ricorda i bei momenti infantili dei bicchierini degli yogurt Yomo vuoti, dello spago e della meraviglia di scoprire i principi della trasmissione del suono) c’era lei davanti al tavolo rivestito di mollettone, con i panni ripiegati e il ferro bollente.

     

    La francesista Daria Galateria, che nutre la stessa passione per la chiacchierata operosa che altro non è se non l’evoluzione delle chansons de toile con cui le donne medievali si tenevano compagnia mentre tessevano, giusto in differita spaziale, mi raccontava di scintillanti conversazioni fra i vapori profumati di lavanda, Elvira a Palermo e lei a Roma, e ogni volta le visualizzavo in montaggio doppio come Rosalind Russell e Phyllis Provah in “Donne” di Cukor mentre si scambiano eccitate confidenze sulla inabilità sentimentale della povera Norma Shearer.

    MATTEO RENZI AL TELEFONO MATTEO RENZI AL TELEFONO

     

    Immaginarle sedute ciascuna nella propria stanza con la testa china sul display del cellulare a digitare sintesi e brandelli di conversazioni altrimenti sontuose non avrebbe avuto lo stesso fascino. Non vorrei però che prendeste questa lunga tirata per una difesa d’ufficio dei bei tempi della cornetta in bachelite, che peraltro non ho mai avuto essendo nata già negli anni della plastica.

     

    Quei tempi sono comunque andati e bisogna prenderne atto; le nostre mamme ci insegnavano che nelle case private non si doveva telefonare prima delle nove del mattino, mai fra l’una e le quattro del pomeriggio, per non disturbare la colazione e il riposino della famiglia, e che era assolutamente incivile (“da zulù”: si era in tempi politicamente scorrettissimi) farlo dopo le nove di sera.

    remo remotti al telefono remo remotti al telefono

     

    Volendo evitare madri invadenti e padri occhiuti, con i fidanzatini ci si dava dunque appuntamento telefonico a un’ora precisissima, generalmente lontana da quella di possibili fornitori e parenti in modo che l’altro non trovasse la linea occupata, si sincronizzavano gli orologi e si faceva la posta all’apparecchio come cerbero, latrando all’indirizzo di sorelle e tata all’occorrenza.

     

    galateo evitare di parlare ad alta voce al telefono galateo evitare di parlare ad alta voce al telefono

    Come logico, si veniva sgamati subito (“guarda che il telefono non suona prima se ci tieni gli occhi sopra”), ma la ritualità del “colpo di filo” atteso e sospirato dava sapore a storielle che altrimenti avrebbero rivelato in modo impietoso la propria inconsistenza, nella vita come al cinema.

     

    Prendete la sceneggiatura de “Il letto racconta”: come si evolverebbe la conoscenza fra Doris Day, arredatrice casta e noiosissima, e Rock Hudson, di professione musicista femminaro (siamo al cinema, appunto) se non fosse per quel duplex che lui tiene costantemente occupato per le sue storielle?

    PLASTICA TELEFONO GRILLO PLASTICA TELEFONO GRILLO

     

    La messaggistica ha reso la sola nozione del duplex lontana e ostica come i passi del minuetto, ma devo dire che, quando qualche tempo fa ho chiamato verso le tre del pomeriggio la mitica cronista televisiva Bianca Maria Piccinino e mi è stata chiesta la cortesia di richiamare un’ora dopo, mi sono sentita tornare indietro di colpo di trent’anni e mi è venuto da sorridere, esattamente come nel giorno in cui ho ritrovato la mia prima fotografia professionale, scattata, come usava allora, mentre parlavo al telefono, quasi fossi stata stati colta di sorpresa mentre dettavo il pezzo che avrebbe cambiato le sorti del giornalismo italiano e Dio solo sa quante pose fui costretta a fare per quello scatto che trovavo già allora ridicolo.

     

    telefono hotline telefono hotline

    Adesso, se abbiamo qualcosa da comunicare al mondo, c’è tweet, come dimostra Matteo Renzi che ci ha costruito sopra governo e consenso e una nutrita schiera di direttori che lo usa per esprimere costantemente la propria opinione fino a quando, travolto dagli haters come Enrico Mentana, decide che la telecamera fissa e muta è decisamente più amichevole.

     

    SMARTPHONE RAGAZZI RISTORANTE TEENAGER TELEFONO SMARTPHONE RAGAZZI RISTORANTE TEENAGER TELEFONO

    Per il resto dell’universo c’è Instagram, e per i modaioli scatenati Pinterest: clic clic clic. Il media è il messaggio, e quel messaggio è sempre più la foto, non certo “il telefono la tua voce”; ognuno deduca quel che vuole dall’immagine di bimbi che ridono, bocche a culo di gallina e piatti fumanti fotografati in memoria del boccone che seguirà, e d’altronde l’iconografia ecclesiastica non serviva a quello, a lanciare messaggi e suggerire interpretazioni a chi non sapeva leggere?

     

    Secondo una ricerca pubblicata da Vanity Fair, per gli americani telefonare è la sesta attività praticata con lo smartphone, e a guardare la campagna pubblicitaria del modello 6s di Samsung non si stenta a crederci: inquadra Rihanna che scatta foto, senza dire una parola.

    Sesso al telefono a Brighton jpeg Sesso al telefono a Brighton jpeg

     

    L’ultima volta che abbiamo visto una superstar alla cornetta è stato nel video di “Telephone”, starring lady Gaga e Beyoncé, e non avrebbe potuto essere diverso, visto che si rifaceva al classico della cinematografia femminile ”Thelma e Louise”, auto lanciata in fuga compresa; il telefono in questione era quello del carcere, il famoso apparecchio dell’unica chiamata concessa: nero, vecchio stile e fissato al muro come nei film italiani degli anni quaranta, dove figurava in posizione strategica in mezzo al corridoio, luogo ideale per piantare la telecamera a qualche metro di distanza, sfruttare la fuga prospettica e vedersi scorrere davanti in piano sequenza scenette amorose e litigi sulla “chiamata che è per me”.

     

    L’altra sera, in uno sketch di quella serie comica canadese che va in onda dopo il tg2, LOL :-), l’unica coppietta che in un ristorante si ostinava a parlare mentre le altre fissavano ostinate ciascuna il proprio cellulare veniva zittita dal cameriere. Non faceva tanto ridere, però, perché non è un’iperbole ma la semplice cronaca.

     

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    Basta entrare in qualunque ristorante la sera per vedere intere tavolate che fanno altrettanto: quando capita che qualcuno si animi, è per proporre agli altri un selfie, postarlo e aspettare la reazione della “community”, che non è quella che gli sta davanti, cioè il gruppo degli amici presumibilmente veri, ma la community in generale, l’idea platonica di una comunità sterminata: nulla a che vedere con i clamoros.

     

    Non so che cosa avesse in mente Antonio Meucci quando inventò il telettrofono, anzi in parte lo so perché ci sono decenni di dibattimenti legali contro quel furbacchione di Graham Bell depositati negli Stati Uniti e riportati sul web a raccontarlo: ne immaginava però uno sviluppo diverso, anche sul piano affettivo. Il telefono, con quei codici da messaggio nautico (bisogna pure che chi risponde avverta chi chiama di essere “pronto” a farlo, pena innescare il pathos da chiamata muta tipica dei thriller) avrebbe facilitato le comunicazioni in senso lato, gli affari sicuramente ma quelle personali in misura infinitamente maggiore.

     

    lady gaga telephone lady gaga telephone

    D’altronde, uno scambio commerciale può avvenire certamente in modo sicuro per iscritto e per lettera, anzi in modo più sicuro rispetto a uno scambio telefonico. Uno affettivo, meno, anche se ormai l’unica persona che si irriti se non la chiamo la mattina è mia madre. Drin. “Ah, giusto tu, mi domandavo che cosa fosse successo. Sono tre giorni che non chiami”. “Ma ti ho mandato un messaggio”. “Non è la stessa cosa”.

     

    Non è la stessa cosa no, in realtà anche negli scambi scritti. Non mi fido affatto di chi ritiene (le multinazionali tipo Apple e Samsung, naturalmente, non i linguisti) che le attività di texting via cellulare abbiano riportato in auge la scrittura e lo scambio epistolare. Il succo è non dissimile, ma ammetterete che c’è una certa differenza fra la lettera che Gustave Flaubert scrive nel 1846 alla giovane Louise Colet (“Un uomo che tu avessi sedotto e dominato non si godrebbe come me il tuo cuore in ogni suo recesso”) e “sei proprio str. Ma ti amo.bax”.

     

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    E’ anche una questione di musicalità, per iscritto come a voce. Ci sono relazioni a distanza che si abbeverano di suoni, che imparano a riconoscere le espressioni del volto dell’amato in un sospiro o anche in un silenzio, in uno iato che è comunque ben diverso dal silenzio angoscioso successivo a un sms o, peggio, un whatsapp, quando la doppia spunta blu indica la lettura avvenuta, ma anche la mancata risposta. Sono i momenti tragici (mi sarò spiegato bene?

     

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    Stai a vedere che ha capito male: riscrivo o lascio perdere?) a cui i giornali femminili, e da quando hanno aperto blog e rubriche del cuore anche i quotidiani, dedicano da anni il maggior numero di articoli: il galateo sentimentale di sms e whatsapp è diventata una questione capitale. Qualcuno ci ha scritto sopra un libro, giusto per evitare che tutto quello scrivere per abbreviazioni, sintesi e icone provochi danni irreparabili. Scripta manent, come dicevano a Roma, timorosi. E poi vatti a spiegare a voce.

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