GIULIANO MALATESTA per il Venerdì- la Repubblica
Aurelio Picca
“Nun me scrive che so' n'autore crime eh, io uso la criminalità come chiave per aprire la realtà e leggere l'esistenza, come sosteneva Moravia». L'esuberanza verbale di Aurelio Picca è pari solo a quella della sua scrittura: può partire dalla classicità ma trasformarsi fulmineamente in qualcosa di molto viscerale, carnale, fino a raggiungere le forme della provocazione più estrema.
«Questo libro mi ha devastato, è stato un corpo a corpo micidiale, se non lo finivo esplodevo, avevo l'insulina a 47. Mi sono ritrovato totalmente immerso nell'io narrante, neanche fossi all'Actors studio».
picca cover
L'io narrante si chiama Alfredo Braschi, vive in una pensioncina sul lago Albano, va in giro con una pistola di ottone enorme con cui un tempo si ammazzavano i tori e si è messo in testa di trovare chi ha violato sua figlia. Unico indizio una ninna nanna. E mentre vive asserragliato dentro questa ossessione, ricorda di quando, a 17 anni, divenne amico e complice di Laudovino De Sanctis, alias Lallo lo Zoppo.
Aurelio Picca
È questo l'escamotage narrativo scelto da Aurelio Picca, poeta e scrittore nativo dei castelli romani, un passato da insegnante e persino da gemmologo, per raccontare, nel suo nuovo romanzo (Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, Bompiani), le vicende di uno dei più spietati criminali della mala romana, autore di una serie incredibile di omicidi e sequestri di persona finiti nel sangue, uno su tutti quello del re del caffè, Giovanni Palombini, prima con il clan dei Marsigliesi (il famigerato clan delle 3 B) e poi con la cosiddetta banda della belve.
Chi era Laudovino De Sanctis?
«Il più grande criminale di Roma, il più feroce che sia mai esistito. Uno che non si serviva di sicari e di giochetti, ma caricava il ferro e partiva. Sempre un colpo solo, in fronte, mai alle spalle.
Laudovino De Sanctis - lallo lo zoppo
Diceva di essere comunista e gli piaceva vestirsi elegante, con la giacca con doppio taschino e doppi spacchi. La prima volta che ascoltai il suo nome fu quando riuscì a evadere dal carcere di Regina Coeli, nonostante fosse zoppo, per via di una tubercolosi ossea».
Si dice fosse un pilota fenomenale
«Il migliore. Per questo i marsigliesi lo volevamo sempre al volante. È scritto anche nei dispacci di polizia: un driver "abilissimo", si legge».
Laudovino De Sanctis - lallo lo zoppo
Eppure le sue gesta malavitose sono poco conosciute. A Roma il mito criminale sembra appaltato per diritto alla banda della Magliana
«Ma lì siamo già ad un'altra criminalità, con le sue molteplici perversioni, dove si assoldano i killer per commettere omicidi. Lallo non ha praticamente mai avuto a che fare con la droga. In questo senso era un criminale puro, selvaggio, primordiale. Con quel suo modo beffardo diceva che Franco Giuseppucci gli faceva da portaborse, al massimo gli spostava la macchina».
È vero che era amico di Schifano?
«Si conoscevano, c'era simpatia. Una volta gli comprò una palma di metallo grigia. Ma non gli hai mai venduto l'eroina» (ride).
lallo lo zoppo
Nel libro è descritto un mondo che non esiste più. Una certa Roma sparita, le canzoni di Califano, le vecchie trattorie dei castelli. Non c'è un rischio nostalgia?
«Ma quale nostalgia, io racconto la vitalità. Ho scritto un libro esistenzialista, sul dolore, sullo struggimento, sull'amore mancato. Come diceva Camus, solo il disprezzo cambia il destino. Considero questo romanzo il mio primo libro di addio alla giovinezza, anche se naturalmente io ne ho vissuta più di una».
Aurelio Picca
Nel suo precedente romanzo, Arsenale di una Roma distrutta, teorizzava il connubio criminale-artista. Vale anche in questo caso?
«I criminali di adesso non li conosco, non capisco la loro testa, pensano a fare i capitalisti, mentre quelli di un tempo erano dei ribelli puri, puntavano in qualche modo anche loro, per paradosso, all'assoluto, come fanno, o dovrebbero fare, gli artisti, termine oramai abusato.
Non accumulavano denaro, spendevano tutto, bruciavano tutto, compresa la loro stessa vita. L'accostamento va letto in questi termini, evitando di fare un'apologia del criminale. Oggi è diverso, la criminalità prolifera, è diventata finanziaria e i criminali sono i nuovi patriarchi del mondo globale».
I protagonisti dei suoi libri portano sempre la pistola addosso. Cos' è, una provocazione?
aurelio picca
«È una scelta altamente simbolica. Ho perso mio padre quando avevo 21 mesi, e quindi praticamente da prima che nascessi avevo già ereditato la sua pistola. Una 635, semi automatica. Ma allora, nei Cinquanta, non si comprava per sparare, la pistola si mostrava come un vezzo».
Ci andava in giro da ragazzo?
«Certo, all'insaputa da mia madre, ma sempre scarica. In quegli anni si poteva diventare un rapinatore a mano armata con grande facilità».
Mai una tentazione?
«Sarebbe potuto accadere, sono stato immesso nel mondo degli adulti fin troppo presto, e anche da ragazzo avevo molta libertà. Ma dico sempre che la scrittura è stata la sublimazione del non essere diventato un rapinatore a mano armata».
BANDA DELLA MAGLIANA
Un'altra presenza costante, nei suo romanzi, è legata alle macchine, alla velocità
«Ho iniziato a guidare a 14 anni, senza patente, facevo delle cose mostruose, come puntare i tir. Nei Settanta la macchina era la casa, la sessualità, il viaggio, la rabbia.
Guidare era come andare alla deriva e io ero uno che deragliava. Però le gare non le ho mai fatte, quella era roba ideologica, io correvo per il gusto di correre. Metà dei soldi che ho guadagnato li ho spesi per le macchine. Nel tempo credo di avere avuto tutte quelle più conosciute, tranne la Ferrari».
E l'altra metà?
abbatino maurizio carminati - banda della magliana
«In vestiti. Mio nonno da bambino mi portava a Napoli da Attolini. Ma non sono vanitoso, casomai curioso. Sono un capricorno, solitario, socievole ma non sociale. Per nulla mondano. Poi, certo, se mi dai il palcoscenico ovviamente mi serve il Colosseo. Ma quando scendo non me ne frega un cazzo, voglio solo andare a mangiare con gli amici».
PS. Giunti al termine della chiacchierata Aurelio Picca, tenendo fede al suo personaggio, dice, naturalmente scherzando: «Ahò, me raccomando l'intervista, so' ancora armato...». A quel punto il cronista, sospinto da un pizzico di confidenza in più, ci prova. È sicuro che quella benedetta pistola non l'ha mai usata? «Nun te lo posso di'».
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