Isabella Fantigrossi per il "Corriere della Sera"
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Lo hanno soprannominato il Justin Bieber della cucina. Ma della sregolatezza del cantante canadese Flynn McGarry, il baby chef prodigio osannato dai media americani, ha davvero poco. L' appuntamento per l' intervista è alle 17 su Zoom e qualche minuto prima dell' ora concordata il ventiduenne, che stasera sarà protagonista della puntata di MasterChef Italia , in onda come ogni giovedì alle 21.15 su Sky Uno e su NOW Tv, si collega. Puntuale, fisico sottile, lentiggini, capelli rossi.
«Sono sempre a casa, qui a New York siamo di nuovo semi chiusi, non c'è molto da fare», racconta. Il tono è sconsolato, come quello di qualunque altro ragazzo del mondo in questi mesi. Nonostante la sua storia sia, oggettivamente, fuori dagli schemi. Flynn McGarry comincia a cucinare a 10 anni. «I miei genitori stavano per divorziare - spiega -, nessuno preparava da mangiare così ho pensato che sarebbe stato divertente provare a farlo. Poi, un po' alla volta mi sono innamorato della cucina. Volevo saperne sempre di più. Ho letto tantissimi ricettari, ho imparato a usare i coltelli guardando video su YouTube. La pratica rende perfetti, no? Io avrò tagliato una cipolla diecimila volte».
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La mamma Meg lo incoraggia. Nella sua cameretta il papà gli costruisce un micro laboratorio di cucina dove Flynn sperimenta di tutto. L' armadio diventa dispensa. Mentre vicino al letto compaiono forno, fornello a induzione, tavolo da lavoro. Presto, prestissimo, comincia a fare sul serio. A 12 anni lancia «Eureka», una specie di home restaurant nella casa di famiglia a Los Angeles, dove propone menu degustazione a 160 dollari.
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A 13 anni va a lavorare all'«Eleven Madison Park» dallo chef Daniel Humm, che considera suo maestro (assieme a René Redzpi e Thomas Keller). Finite le superiori, apre un altro pop up restaurant a New York, dove la gente fa la fila per prenotare, e poi nel 2018, a 20 anni, il suo primo locale permanente, «Gem», nel Lower East Side. Nel docu-film Chef Flynn che gli è stato dedicato nel 2018 ha detto: «Ho avuto un' infanzia che è durata dieci anni ed è stata sufficiente».
Anche oggi la pensa così?
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«Diventare chef è sempre stata una mia idea. Certo, ci sono momenti in cui penso che avrei potuto rallentare. Ma questo è l' unico modo di crescere che conosco. Non so che cosa voglia dire un' altra infanzia. La mia è stata comunque piuttosto appagante, ma in più avevo una grande passione a cui volevo dedicarmi, invece di fluttuare nella vita come tutti gli altri bambini - continua McGarry -. Sì, la cucina è molto dura: pandemia a parte, ci sono giornate di lavoro che non finiscono mai. E quando, per esempio, è capitato che saltassi la scuola, sapevo di stare facendo dei sacrifici. Però ora finisco la mia giornata e sento un enorme senso di soddisfazione. Ho sempre pensato a questo obiettivo quando immaginavo la mia carriera».
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La sua cucina?
«Americana progressista», la definisce lui: esaltazione massima di pesce e verdure di stagione, poca carne. Uno dei suoi piatti simbolo è il Beet Wellington (lo si vedrà nella puntata di MasterChef ), un filetto in crosta con la carne sostituita da barbabietole che non sembrano affatto far rimpiangere il manzo della ricetta originale.
La più grande difficoltà?
«Mi è capitato di avere a fianco persone rispettose e desiderose di lavorare con un capo molto giovane, ma anche altre che non capivano che sono io a decidere. Oggi, però, ho imparato che le persone vanno e vengono e ad avere più pazienza sul tema».
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L' ambizione è enorme. Ma il virus l' ha fermato. «Il mio ristorante è chiuso da un anno. Purtroppo la pandemia ha rallentato anche la mia determinazione, solitamente infinita.
Ora vorrei solo tornare ad avere lo stesso slancio di prima». Alla fine, come qualunque altro ragazzo del mondo.
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