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    “L’ARCA PER I BAMBINI È UMANAMENTE IL PROGETTO PIÙ DIFFICILE CHE ABBIA REALIZZATO” – PIERLUIGI PANZA INTERVISTA RENZO PIANO CHE HA PROGETTATO UN HOSPICE VOLUTO DELLA FONDAZIONE SERÀGNOLI PER BAMBINI MALATI TERMINALI: “È IL BARONE RAMPANTE DI ITALO CALVINO L’ARCHETIPO DELL’ARCA SULL’ALBERO. L’EDIFICIO SI SVILUPPA SU QUATTRO PIANI E IN PIÙ SEZIONI CONNESSE DA PONTI AEREI. LE STANZE DEI BAMBINI SONO ALL’ALTEZZA DELLE FRONDE DEGLI ALBERI. SI È CERCATO DI MASCHERARE IL PIÙ POSSIBILE GLI ASPETTI SANITARI PER…”


     
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    Estratto dell’articolo di Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera”

     

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    Dopo aver abbandonato la cena di famiglia, Cosimo corse in giardino, si arrampicò su per l’elce e non ne scese più. Da allora, cominciò a guardare il mondo dall’albero. È il Barone rampante di Italo Calvino l’archetipo dell’Arca sull’albero, hospice pediatrico progettato da Renzo Piano a Bologna per la Fondazione Seràgnoli. La struttura rientra nella Rete regionale delle cure palliative: 14 posti letto per bambini e otto alloggi per le famiglie, più ambulatori. Accoglierà pazienti da zero a 18 anni con patologie inguaribili. I primi saranno ospitati dopo l’estate.

     

    […] «Un giorno — racconta l’architetto — venne in studio Isabella Seragnoli, imprenditrice e filantropa, e mi disse: “Voglio fare un hospice per i bambini”. Non ebbi esitazione, ma un po’ di ansia. Negli anni ho fatto cose tecnicamente complicate, ma umanamente questa è quella più difficile che abbia realizzato».

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    Prima di progettare qualunque opera, «un architetto deve cercare di immedesimarsi nelle persone che ne faranno uso.

     

    Ma come fai a metterti nei panni di un bambino malato o dei suoi genitori?», racconta Piano. «È impossibile entrare in quella sofferenza. Mettetevi nei miei panni: immaginare un hospice per bambini è quasi impossibile e uno spazio per il dolore dei genitori ancora di più. I genitori sono ragazzi di trent’anni! Anch’io ho figli, dai 25 ai 55 anni: sopravvivere ai figli è inspiegabile, ma sopravvivere ai bambini è impossibile. Uno pensa: prendete me».

     

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    Da questa condizione di indicibile dolore e non senso è nata l’idea dell’Arca sull’albero. «Il tempo della malattia è uno stato di sospensione — spiega Piano —. Allora mi sono detto: perché non fare un edificio sollevato da terra, in sospensione? Così dissi a Isabella Seragnoli: “Perché non facciamo un edificio sollevato, sospeso da terra?”. Mi guardò in silenzio per qualche minuto, poi rispose: “Bella idea”. […]».

     

    […] «La robinia è una semplice acacia, quella che fa i polloni con i quali abbiamo giocato da bambini. Mi sono detto: moltiplichiamole. Ne ho parlato con Paolo Pejrone e ne abbiamo piantate 400 per creare un bosco. Dalle fronde degli alberi filtra una luce frastagliata, viva, e le stanze dei bambini si trovano alla stessa altezza delle fronde delle robinie, così pare di vivere tra gli alberi come il Barone rampante, che è il sogno di ogni bambino».

     

    L’edificio si sviluppa su quattro piani e in più sezioni connesse da ponti aerei. Due «satelliti» sul lato ospitano otto alloggi per le famiglie; in mezzo le stanze dei bambini aperte sul bosco e al centro un giardino interno con luce zenitale che penetra da un quadrato lasciato libero dai pannelli solari. «Il ponte rappresenta la transizione, consente di camminare in mezzo al bosco.

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    […] E per i genitori cosa ha pensato? «Il loro dolore è un’apnea; da qui la scelta di porre l’edificio nella stessa condizione, con luce naturale che filtra come speranza». Poi c’è una Stanza del silenzio, «un luogo aconfessionale con una finestra e un raggio di luce zenitale dove i genitori possono iniziare il percorso di elaborazione del lutto in modo che l’essere si trasformi».

     

    Lei è un non credente: confrontarsi con questa destinazione d’uso allontana ancora di più dalla speranza? «Il Papa, una volta, mi ha detto: non esistono atei. L’ho spesso verificato parlando con scienziati: non ce n’è uno che, in privato, non ti confessi come talvolta sia sopraffatto dal mistero. Per molte cose abbiamo spiegazioni, sappiamo quando è avvenuto il Big Bang circa 14 miliardi di anni fa; ma prima? Resta un margine di mistero. Credo anch’io che l’ateo non esista: ho avuto un’educazione religiosa da bambino e credo che esista questo mistero».

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    Si coglie, nel progetto, il rapporto di Piano con le tesi di Reyner Banham (1922-1988), il teorico di architettura inglese che nel libro The Architecture of the Well-tempered Environment teorizzava l’idea che la tecnologia potesse contribuire al miglioramento della vita, aspetto che riscontriamo in molti progetti di Piano. «Le stanze dei bambini sono dotate di ampie vetrate e di un oblò sopra al letto, che si può azionare con un pulsante per permettere loro, anche a chi non può muoversi, di vedere il cielo di giorno e le stelle o la luna di notte».

     

    Le grafiche, così come il logo dell’Arca, sono state curate da Francesco Tullio Altan. Si è cercato di mascherare il più possibile gli aspetti sanitari per dare l’idea di casa, anche attraverso l’uso di un materiale caldo come il legno. La hall di ingresso è interamente circondata dall’acqua nella quale si rispecchia il bosco.

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    L’ufficio di Renzo Piano ha anche pareti dove lui è ritratto con amici di tanti anni fa: De André, l’avvocato Agnelli che gli cede il timone di una barca, l’americanista Fernanda Pivano… conosceva anche Calvino?

     

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    «Sì, era un uomo molto divertente. Vede — dice mostrando un quadernetto di fogli che tiene nel taschino — aveva sempre nel taschino fogli come questi ripiegati in otto. Ci prendeva appunti mentre andava in giro. Questo aspetto l’ho preso da lui».

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