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    IL REPUBBLICHINO CHE FU L'UNICO ITALIANO AMMESSO NEL PARTITO COMUNISTA CUBANO. CHE SI LANCIAVA NEL VUOTO CON IL PARACADUTE E NON DI RADO, ALLA GUIDA DI UNA MACCHINA, ANDAVA FUORI STRADA. DEL TORTUOSO SENTIERO PERCORSO DA PIERO VIVARELLI SI OCCUPA UN FILM PREZIOSO, AL FESTIVAL DI VENEZIA, ''LIFE AS A B MOVIE'', CHE ANDRA' POI IN ONDA SU SKY ARTE 


     
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    Malcom Pagani per www.vanitygair.it

     

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    Piero che non andava mai a dormire prima delle quattro di mattina. Piero che si sposò indossando il cappotto. Piero che da giovane era stato repubblichino e con la barba canuta, in età più che matura, era diventato membro, unico italiano ammesso a corte, del partito comunista cubano. Piero che si lanciava nel vuoto con il paracadute e non di rado, alla guida di una macchina, andava fuori strada. Del tortuoso sentiero percorso da Piero Vivarelli, senza mappe o bussole certe a orientarne la direzione, si occupa un film prezioso.

     

    Corsaro e anomalo, come sarebbe piaciuto a Vivarelli e capace di suonare note che avrebbero commosso e divertito anche l’autore di 24.000 baci, innamorato dell’amore e dell’avventura non meno che della seduzione.

     

    In selezione ufficiale al prossimo Festival di Venezia in Venezia Classic il 4 settembre, scritto e diretto da Fabrizio Laurenti e Nick Vivarelli, prodotto da Marcantonio Borghese, Taku Komaia, Tea time film, Wildside e da Istituto Luce Cinecittà che fornisce anche i preziosi materiali d’archivio, Life as a B-Movie, presto in onda su Sky Arte, è tante cose insieme.

     

    piero vivarelli piero vivarelli

    Il ritratto di un anticonformista che attraversò a vento in faccia la propria epoca. L’affresco di un anticipatore che guardava sempre avanti e combatteva, irridendola, ogni restaurazione mascherata da nostalgia. Il fotogramma di un pioniere, di un inventore, di un regista «orgogliosamente» di genere che seppe districarsi con notevole talento tra l’erotico-esotico dal titolo indimenticabile (Il dio serpente,con Nadia Cassini spiaggiata a Santo Domingo e le melodie di Augusto Martelli), i gialli fantascientifici (in Satanik c’è Pupi Avati nei panni del medico legale e Magda Konopka a stordire gli spettatori e il comune senso del pudore agitando le anche), la violenza senza redenzione di Django, le carezze vocali di Mina (con i primi avveniristici e inconsapevoli tentativi di Videoclip in Io bacio…tu baci) e i tanti altri musicarelli animati dalla chitarra di Celentano, le corse in giardino di Rita Pavone e le massime di Totò: «Ai postumi l’ardua sentenza».

     

    Dire chi sia stato davvero Vivarelli, in un’era industriale in cui il cinema aveva una propria centralità e in Italia si producevano 350 film l’anno (spesso, come spiega Franco Nero, i produttori accettavano di benedire il varo anche in assenza di sceneggiatura) è impresa complessa. Ma il quadro che si impegnano a disegnare i registi di Life as a B-movie non ha una sola tinta. Ci sono molti Vivarelli e tante tonalità, ma non c’è traccia- per fortuna- del sospetto del santino. 

     

     

    Brillano il coraggio dell’uomo contornato da altri uomini e donne, ma in fondo solo come nessuno, l’indifferenza al giudizio altrui, l’ironia, il desiderio di giocare con la vita affrontando l’esistenza come una partita a poker, ma non restano nell’ombra l’inadeguatezza, il disordine, il rapporto complesso con i figli, la fuga edonista e a tratti nichilista di chi ha con il proprio egoismo- che Vivarelli fonde e confonde con un insopprimibile desiderio di libertà- un fitto scambio di corrispondenza.

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    Non cambiano idea soltanto gli stupidi e Piero Vivarelli, amico di Oriana Fallaci, Goffredo Parise e di quelli che come Sergio Corbucci, nella Via Veneto della Dolce vita, sceglievano quasi in solitudine il marciapiedi di sinistra, non lo era. Ma l’intelligenza da cane sciolto lo rendeva a tutti gli effetti un randagio pronto ad azzannare la vita senza fare di conto. 

     

    Da bambino avrebbe voluto essere un ufficiale di Marina e poi, in qualche modo, senza vela, navigò davvero. Nei mari non sempre placidi del cinema, prima perché innamorato di Shirley Temple e poi innamorato e basta di una chimera, di una suggestione, di un “armiamoci e partiamo” erede di un situazionismo che nel caos, seppe comunque far crescere i suoi frutti. Da Via San Valentino, quartiere parioli, Roma, alla conquista del mondo, di altri mondi, sempre più lontani e immaginifici. Prima che diventassero soltanto uno slogan buono per ogni governo, l’anarchico in servizio permanente effettivo Vivarelli Piero seppe immaginare i giovani come consumatori, come un mercato, come un uditorio a cui rivolgersi davvero per intercettarne i gusti.

     

     

    piero vivarelli piero vivarelli

    E giovane rimase, al di là della metamorfosi che coglie ognuno di noi, come spirito. Del suo marchio di fabbrica, mettendone in evidenza il genio, In Life as a B-Movie ne parlano uomini come Emir Kusturica che in Ti ricordi di Dolly Bellomaggia Vivarelli con una versione tutta a Est di 24.000 baci, Franco Rossetti, Gabriele Salvatores, che con Alessandro, il figlio di Piero ed Enza scomparso tragicamente (troppo sensibile, bello, inquieto e gentile per potersi salvare) lavorò a lungo in film poi premiati con l’Oscar che sapevano di guerra, di mare e di sogno, Quentin Tarantino, Umberto Lenzi, Gianni Minà, Vincenzo Mollica, Marco Giusti, Adriano Aragozzini, Enrico Vanzina e Maria Pia Fusco, che sceneggiò uno dei tanti Emmanuelle che diedero la stura al celebre filone cinematografico. Una nazionale della diversità che ben rappresenta l’universo di riferimento di Vivarelli. Eterogeneo. Mai domo.

     

    Capace di mandare a fare in culo- come accadde davvero quando Piero ruppe con Junio Valerio Borghese trasmigrato nell’Msi- gli amici di ieri e di abbracciare i nuovi con lo stesso slancio epicureo di chi ama dividere con gli altri più che tenere per sé. Non era perfetto, Piero, come ricorda l’altro figlio Oliviero (che scoprì chi fosse la vera madre, per caso, all’età di 27 anni), ma era difficile non volergli bene. Le Figaroscrisse che in certi film di Vivarelli pulsavano tre volte le idee presenti in un qualsiasi 007. Non è chiaro se Piero l’abbia mai saputo, quel che è certo è che non gliene importasse granché.

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