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    PIF E PIFFERAI - IL REGISTA DALLE PAGINE DEL “CORRIERE” RISPONDE A CHI LO ACCUSA DI AVER MOLLATO RENZI ORA CHE IL PD E’ IN DISGRAZIA: “PERCHÉ LA MIA ASSENZA NEGLI ANNI PASSATI NON HA FATTO SCALPORE? PERCHÉ NON SONO STATO CRITICATO QUANDO CRITICAVO RENZI, DIVENTATO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E QUINDI ‘POTENTE’? ORMAI I FATTI SONO IRRILEVANTI E CONTANO SOLO I…”


     
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    Pif per il “Corriere della Sera”

     

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    Le prime tre volte in cui partecipai alla Leopolda, denunciai alcune cose che non mi piacevano del Pd, tra le quali la presenza di quelli che oggi vengono definiti «impresentabili». Finalmente si è trovata un'espressione utile per definire una persona senza essere querelati. Io infatti, non avendola utilizzata, fui querelato. L'ultima volta alla Leopolda, nel 2014, non ci andai per tenere un discorso, ma per dire a Renzi, ormai presidente del Consiglio, quello che pensavo sulle sue nuove alleanze politiche.

     

    Sintetizzai, a lui e ai giornalisti, il mio articolato pensiero politico così: «Quando ti vedo con Verdini, mi viene un brivido lungo la schiena!». Giorni fa, in una intervista mi fu chiesto come mai quest' anno non fossi andato alla Leopolda. Risposi con lo stesso ragionamento politico fatto già tre anni prima.

     

    Alcuni giornalisti, però, lo hanno tradotto così: «Quando Renzi è potente, Pif lo appoggia e fa carriera. Quando Renzi cade in disgrazia, Pif lo abbandona». Mi sono chiesto allora: perché la mia assenza negli anni passati non ha fatto scalpore? Perché non sono stato criticato quando criticavo Renzi, diventato presidente del Consiglio e quindi «potente»?

    pif alla leopolda con renzi pif alla leopolda con renzi

     

    Ma soprattutto, perché non entrano nel merito delle mie parole? La mia risposta: perché in questo periodo storico le dichiarazioni e i fatti sono irrilevanti, contano solo i pretesti e lo scatenamento dell'indignazione. È troppo «elaborato» contestare una scelta con un ragionamento, è molto più facile lo schizzo di fango (e scrivo fango giusto perché sono sul Corriere) e ottenere tanti like, anche immaginari. Molti, da editorialisti, sono diventati «twittisti», «facebookisti».

     

    Scrivono gli articoli di giornale con lo stesso spirito rancoroso con cui si scrive spesso un post su Facebook. Negli anni 70, l'argomento di discussione era la propria idea di società e, per fortuna adesso accade molto meno, ci si menava per difenderla. Commentare un pensiero, tramite giornale o un «video onanistico» su Facebook, affermando: «Quello è diventato famoso perché appoggiato politicamente» è elementare, rozzo e soprattutto pericoloso. Perché è l'equivalente maschile del «quella giornalista ha fatto carriera perché è bona e l'ha data a qualcuno!».

     

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    Nel caso dell' uomo ci sono meno giudizi morali, che sono quelli che fanno forse più male. Sono cresciuto a Palermo, una città dove la gente è stata per anni affacciata alla finestra per vedere come finiva la corrida. Io voglio prendere posizione prima che finisca la corrida, per poter dire negli ultimi trenta secondi della mia vita: «Ho fatto quello che potevo!». Ricordandomi sempre che nemmeno un milione di «like», veri o immaginari che siano, trasformano una spruzzata di fango in un'opinione rispettabile (e scrivo fango sempre perché sono ospite del Corriere).

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