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    ALEX ZANARDI, NO LIMITS - PILOTA, CICLISTA E ORA ANCHE TRIATLETA, IL CAMPIONE PARALIMPICO SI RACCONTA: “IL TRIATHLON RESTA UN MONDO MISTERIOSO: ULTIMAMENTE COL CRONOMETRO HO UN DISCRETO CULO” - “IO ECCEZIONALE? LA MIA VITA È ECCEZIONALE MA NON SONO NATO GENIO E NON LO DIVENTERO' MAI..."


     
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    Alberto Fumi per Gazzetta.it

     

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    Pilota, ciclista, triatleta. Un uomo di sport, un mito per tanti appassionati. Alex Zanardi non ha bisogno di presentazioni, basta restare ad ascoltarlo per capire lo spessore della persona e percepire la maturità acquisita durante una vita densa di soddisfazioni ma che ha attraversato anche un grande dolore.

     

    Ora però è l’idolo dei triatleti: per colui che fa del ciclismo la frazione preferita (quattro medaglie olimpiche e fresco campione del mondo), ha gareggiato due volte all’Ironman delle Hawaii e ha chiuso sotto le nove ore l’Ironman di Barcellona, il multisport è diventato una voce imprescindibile nella sua agenda. “Si, per la prossima stagione, il triathlon farà ancora parte dei miei obiettivi”.

     

    Zanardi, sembra che la sua evoluzione sia inarrestabile.

    “Senza dubbio, a 20 anni ero equipaggiato meglio a livello potenziale, ma ciò che mi ispirava era la passione per lo sport, l’idea di preparare qualche cosa che per me era importante. Oggi ho un’età diversa e capacità fisiche meno buone di un tempo, ma le ho sviluppate meglio perché ho capito ciò che conta: so dove voglio arrivare e mi diverto lungo il percorso”.

     

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    Ma il risultato conta o no?

    “Ovvio che il risultato conta, ma è un piacevole valore aggiunto. Una volta compreso il meccanismo che muove le cose, ossia la passione, si arriva all’obiettivo più agevolmente”.

     

    Ormai è un triatleta a tutto tondo.

    “A dire il vero, il triathlon rimane un mondo misterioso, devo sempre avere degli ausili, ma questo per un trafficone come me è una cosa divertentissima. È uno sport che mi entusiasma un sacco e cerco di approfittarne, l’orologio continua a fare tic tac”.

     

    Ha parlato del rapporto con i mezzi meccanici, ma tra triathlon e automobilismo ci sono analogie?

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    “Ci sono moltissimi punti di contatto. È come chiedersi che cosa c’entra la frutta con la carne: se si pesano i due elementi si usa lo stesso sistema, si compiono le medesime operazioni matematiche.

     

    L’auto da corsa e la handbike apparentemente appartengono a mondi lontani, ma il denominatore comune sta nel modo in cui affronto i problemi che mi si parano davanti e nell’obiettivo a cui tendi, la lotta contro il cronometro. Al risultato si arriva con strumenti e ingredienti diversi, ma il sistema è quello”.

     

    Come si affrontano le difficoltà?

    “Si crea una lista di priorità e si affronta un problema per volta, senza andare in confusione: si lavora su ciò che in un determinato momento è la priorità, il problema più gravoso, la debolezza più grande”.

     

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    Anche quando correva in auto anni era così sereno?

    “Di certo c’è stata un’evoluzione personale. L’anno scorso, prima di Rio 2016, fui invitato da Bmw Italia per l’ultima gara del campionato italiano GT al Mugello: andai lì per il piacere di esserci, di imparare qualcosa di nuovo, le caratteristiche della M6 erano esaltate dal tracciato e io ero spensierato, senza l’ansia di essere con i primi dopo un anno e mezzo lontano dal volante di un’auto da corsa. Risultato? Vinsi io!”

     

    Ora è più spensierato di un tempo?

    “C’è un modus operandi diverso da parte mia nell’affrontare le cose, deriva dall’esperienza che mi ha fatto capire che è la goccia che scava: il muro non va giù se gli dai una capocciata forte, devi sapere studiare il problema e cercare la giusta soluzione, ma soprattutto fai ciò che ti interessa davvero fare, perché nella vita non puoi fare tutto”.

     

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    Si sente eccezionale, fuori dal comune?

    “La mia vita è eccezionale non per le cose che ho fatto, ma per quante sono riuscito a farne. Non sono nato genio e non lo diventerò mai, bisognerebbe vivere mille vite per morire comunque ignoranti.

     

    Certo, il tipo di vita che ho fatto io è eccezionale, mi ha fatto crescere più in fretta se avessi seguito il percorso di amici coetanei con cui sono cresciuto: non sono migliori o peggiori di me, ma hanno indubbiamente vissuto un numero di esperienze inferiore rispetto al mio”.

     

    Che cosa c’entra una gara di automobilismo con l’Olimpiade o con un Ironman?

    “Mi è capitato di vedere compagni di avventura farsela sotto al Villaggio Olimpico, oppure al via di una gara importante, impegnativa: io ho dovuto tirare giù la visiera del casco dopo aver ascoltato l’inno nazionale americano, con il pubblico che era così rumoroso da coprire il rombo della tua auto, in pole position, con il dovere di vincere: però se ti sei allenato e preparato a vivere quelle situazioni trasformando l’emotività in positivo, capisci che sei lì soltanto per fare una gara, quindi lo vivi con carica ed entusiasmo”.

     

    Zanardi Zanardi

    Lei è stato anche il primo atleta paralimpico a scendere sotto le 9 ore in un Ironman.

    “Ultimamente col cronometro ho un discreto culo: a Londra ho vinto una crono per 2 secondi, il Mondiale di ciclismo in Sudafrica per 2.6 secondi e ho centrato il record all’Ironman di Barcellona, il mio sogno, per 1 minuto su 9 ore di gara.

     

    Record prontamente battuto da Jetze Plat. Sa che è stato uno dei primi a fargli i complimenti?

    “Lui è di un’altro pianeta: nuota come un atleta pro’ e ha risorse incredibili, è impressionate, nel triathlon è inarrivabile. A Rio ha vinto l’oro del triathlon, è campione del mondo, però l’anno scorso ai Mondiali di paraciclismo è arrivato dietro allo Zio! Gli ricordo sempre che quando siamo stati testa a testa, è arrivato dietro. Scherzi a parte, è un campione assoluto, ma mi spiace non essere andato a Kona a gareggiare contro di lui, anche se sicuramente le avrei prese, pur cercando di vendere cara la pelle”.

     

    Alex Zanardi Londra oro Alex Zanardi Londra oro

    Poteva ritoccare il suo record personale a Kona?

    “Ultimamente ho compiuto molti progressi contro il vento e a Kona è il vero nemico da battere”.

     

    Che cosa riesce meglio nel triathlon?

    “Non nuoto male, ma sono… plafonato! Non mi sono allenato molto, lo ammetto, ma ho rispolverato tutto ciò che ho imparato da piccolo grazie ai miei genitori che mi hanno subito fatto imparare a nuotare. Nella bici trovo il mio punto di forza e preferisco un percorso pianeggiante, filante, che permette di tenere medie elevate (all’Ironman Barcellona ha tenuto i 37 km/h di media per 180 km)”.

     

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    Dove emergono invece le difficoltà?

    “La carrozzina olimpica è ancora l’oggetto del mistero. È come se fosse un muro di gomma che sta per cadere, ci sono tanti dettagli tecnici da migliorare, il gesto è molto diverso dalla handbike, ma sto vedendo qualche progresso”.

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