Roberta Scorranese per il “Corriere della Sera” - Estratti
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Pippo Inzaghi, come sono i suoi cinquant’anni?
«Sereni. Ho fatto tante cose, ho vinto e ho perso. Se fino a pochi anni fa lei mi avesse chiesto che cosa viene prima nella mia vita io le avrei risposto senza dubbio “il pallone”. Oggi le dico “i miei due figli”».
Edoardo, due anni, e Emilia, nata nel marzo scorso. Porteranno loro le fedi all’altare il prossimo 24 giugno, quando lei e Angela Robusti vi sposerete?
«Se tutto va bene, sì».
In che senso?
«Dovevamo sposarci due anni fa, poi Angela (compagna di Inzaghi dal 2017, ndr ) è rimasta incinta. Col tempo ho imparato a programmare di meno e a godermi i giorni».
La sua autobiografia si intitola «Il momento giusto». È un incrocio di casualità e determinazione?
pippo inzaghi bobo vieri
«Da quando ero un ragazzino che giocava nel campetto di cemento di San Nicolò di Piacenza, ho lavorato per diventare un bravo calciatore. Anzi, un grande calciatore: un giorno mi apparve “il fantasma” di Gerd Müller, lo storico attaccante del Bayern Monaco e della Germania Ovest, che aveva segnato 69 reti nelle coppe europee. Ero un ragazzo, rimasi folgorato. Il giorno che ho superato il record di Müller è stato tra i più belli della mia vita».
Più bello della finale di Champions di Atene del 2007 con la maglia del Milan?
«Non esageriamo. La doppietta contro il Liverpool è stata il mio momento più giusto. Due a uno e i tifosi impazziti. Ma lo sa che Berlusconi me lo aveva predetto alla vigilia?»
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Davvero?
«La mia presenza in campo è stata in dubbio fino a poche ore prima. Non ero al massimo e si stava già scaldando Gilardino, poi Ancelotti si impuntò. E Berlusconi mi telefonò. “Sono sicuro”, mi disse, “che lei domani farà due gol”. E così fu. Naturalmente, alla fine della partita, il presidente mi chiamò per complimentarsi ma anche per dirmi “Glielo avevo detto io”».
Le manca Berlusconi?
«Molto. Ma di quel Milan mi mancano tante persone. Carlo Ancelotti, per dire. È un uomo intelligente, umano, presente. Una volta per il mio compleanno, che cade il 9 agosto, lasciò libera tutta la squadra per farci festeggiare. Compivo trent’anni: nessuno ci pensa mai, ma la tensione per un calciatore aumenta con l’età».
Le pressioni, gli acciacchi fisici.
«Io ho smesso a 39 anni, oggi un’età ancora molto giovane, ma per noi non è così. Ricordo quando rimasi in Belgio un mese perché mi ero fatto male a una gamba. Il compleanno peggiore di sempre. Ma Ancelotti mi mandò un sms: “Tornerai grande”, diceva. Chissà, pensavo io. Non si è mai sicuri di niente quando si gioca a quei livelli».
GALLIANI SIMONE INZAGHI PRESENTAZIONE LIBRO DI PIPPO INZAGHI
È difficile andare avanti, per gli problemi fisici e altro, ma è anche difficile smettere.
«Ricordo benissimo i miei ultimi quattro minuti in campo. Era il 13 maggio 2012, ore 16.45. In verità, per me quelli dovevano essere gli ultimi minuti con il Milan, poi si sono trasformati nei definitivi ultimi. La cosa buffa è che pensavo al ritiro da tempo, come ogni uomo coscienzioso: farò altro, ho vinto tanto, mi dicevo. La verità amara è che la tristezza non la puoi controllare e così, dopo, sono stato malissimo. Per fortuna che c’era la mia famiglia: mamma, papà, il Mone (Simone Inzaghi, il fratello, ndr )».
Se lei dovesse disegnare quella paura, come la rappresenterebbe?
pippo inzaghi ai funerali di silvio berlusconi
«Non so disegnare, ma era una nera paura del futuro, dei giorni che dovevano arrivare. Vede, a differenza di altri lavoratori che fino a venti o trent’anni studiano o perfezionano studi e professione perché sanno che andranno in pensione tardi, un calciatore entro i quaranta deve chiudere tutto e reinventarsi. Il problema è che per tutta la vita ha seguito uno schema rigoroso, praticamente immutabile: allenamenti, trasferte, ferie a giugno, weekend mai a casa».
E poi arriva, improvviso, lo stop. Tutto cambia.
«Esatto, ma come? Io da calciatore ho sempre odiato la panchina, ma poi ne ho fatto un lavoro, come allenatore, perché io lontano dal campo non ci so stare. Non è debolezza, è umanità. E così si spiega anche perché, da allenatore, sono passato dal Milan al Venezia, cioè Lega Pro: “Tu sei pazzo”, mi dicevano, perché avrei potuto aspettare e trovare di meglio. Ma come avrei fatto per mesi interi senza l’erba del campo?»
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A Venezia, poi, ha conosciuto Angela.
«Un caso. Quando ero lì non uscivo mai e, se uscivo, indossavo la tuta. Quella sera non so come andai a una festa. La notai non solo perché è bellissima, ma anche perché era l’unica, insieme a me, ad avere in mano un bicchiere d’acqua. Dopo qualche settimana, venne a stare da me. Dopo due figli e una convivenza ormai rodata, ci sposeremo».
Altre storie importanti, prima di lei?
«Quella con Alessia Ventura, durata tre anni. Oggi lei ha una sua famiglia, abbiamo un bellissimo rapporto di amicizia».
Il sogno erotico da ragazzo?
«Monica Bellucci».
Troppo facile, Pippo.
«Che dire, mi sono sempre piaciute le more e poi mi sono innamorato di una bionda che sto per sposare: ci sarà qualcosa di freudiano».
Lei è superstizioso?
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«No, ma avevo una canzone-talismano, che cantavo sempre durante il tragitto fino allo stadio, prima di una partita».
Qual è?
«“Certe notti”, di Ligabue».
Ma Luciano tifa Inter!
«Lo so, ma mi ha sempre portato fortuna».
E Laura Pausini, milanista fedele, lo sa?
«Come no, Laura è una grande amica. Quando, nel 2003, festeggiammo la vittoria della Supercoppa Europea ci ritrovammo tutti intorno a un pianoforte, con lei che suonava e io, Galliani, Ambrosini e gli altri che cantavamo le sue canzoni. Molte delle mie vittorie sono state accompagnate da messaggini affettuosi di Laura».
Se le dico «Galliani» qual è la prima parola che le viene in mente?
« Corteggiamento ».
L’ha corteggiata a lungo?
«Quando ero a Torino, certo. Ma Galliani è una persona speciale, sa essere intelligente e lungimirante. Fu lui a offrirmi subito la panchina di allenatore Allievi Nazionali rossoneri dopo l’addio al campo da giocatore».
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È vero che per passare dalla Juve al Milan lei rinunciò a un sacco di soldi?
«Galliani mi telefonò: “Pippo, ballano cinque miliardi di lire e non riusciamo a trovare una soluzione”. D’istinto, risposi: “Non si preoccupi, ce li metto io”. Avrei firmato un contratto di cinque anni e rinunciato a un miliardo di stipendio per ciascuna stagione».
Mamma e papà come reagirono?
«Applaudirono. Perché loro ci hanno sempre insegnato a inseguire il cuore e non il portafoglio. Oggi li ringrazio anche per questo».
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E se le dico «Barbara Berlusconi»?
«Gentilezza».
Che gelo.
«Ma no, lei mi ha aiutato. In generale, tutta la famiglia Berlusconi mi ha aiutato, la mia maglia ce l’ha Luigi, che ho incontrato in vacanza».
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