Matteo PInci per la Repubblica
Arriva col trolley, gli occhiali scuri, la testa bassa. Tutto intorno, mille voci spagnole gli urlano: "Non vogliamo che tu te ne vada, vogliamo che ti caccino". Gerard Piqué riassume in sé causa e effetto del voto che ha spaccato la Spagna. L' uomo che tagliava la bandiera dai bordi dalle divise della Nazionale, che domenica davanti alle telecamere piangeva maledicendo il governo Rajoy, ieri indossava la maglia della Spagna.
PIQUE'
Che sarà pure una squadra di calcio, ma mai come oggi è pure lo specchio di un Paese: due partite per andare ai Mondiali e non farsi raggiungere dall' Italia. Ma il vero avversario, più di Albania e Israele che attendono sul campo la "Roja", è quel mondo spaccato a metà tra catalani e tutti gli altri, che ha diviso parenti e vicini di casa, figurarsi chi si ritrova solo per indossare i colori della Nazionale.
Anche nella Barcellona del futbol la domenica dei veleni è ancora un caso.
Chi avrebbe voluto disertare il campo anche a costo di rimetterci 6 punti, tra sconfitta a tavolino e penalizzazione, si è dimesso come il vice presidente Villarubì e il dirigente Mones, che avrebbero voluto sostenere l' impegno politico di una squadra-partito come sono geneticamente i blaugrana. E chi s' è accontentato di giocare a porte chiuse. Come il presidente Bartomeu, che ieri sosteneva contro ogni evidenza che «il messaggio è arrivato forte e chiaro».
PIQUE'
Ma nelle stanze del Camp Nou deserto, ha dovuto spiegare la scelta a Messi e compagni, che di giocare non volevano saperne: «Se perdiamo il campionato per questi 6 punti, nessuno si ricorderà della protesta, diranno solo che non siamo stati capaci di vincere». Dal 14 ottobre il Barça inizierà un altro campionato: curiosamente proprio da Madrid, nel nuovissimo stadio Metropolitano, contro l' Atletico. Che accoglienza l' aspetta da qui a fine stagione sui campi del Paese che ha ricusato, lo scoprirà prestissimo.
Ieri se ne è fatto un' idea Piqué, il più vivo interprete del sentimento indipendentista. Smessi i panni di simbolo del Barça, ha rimesso quelli di difensore della Spagna nella Ciutad de Football di Las Rozas, una trentina di chilometri da Madrid: c' erano mille spagnoli a attenderlo. Una guerra annunciata: mentre entrava in campo con la scorta del debuttante Rodrigo e di Thiago Alcantara, la folla impazziva: gli urlavano "Cabròn", mostravano striscioni espliciti, "Sei un vomito", "Piqué Fuori". Serviva l' intervento della Guardia Civil per calmare quelli che poi, come un monito, gli intonavano nelle orecchie la Marcha Real.
CAMP NOU BARCELLONA
Mentre il "provocatore" Piqué dallo spogliatoio twittava ancora messaggi contro la vicepresidente del governo spagnolo, Sàenz de Santamaria. Nel "vestuario" della Nazionale però il vero problema era la sua frase: «Se sono un problema lascio la nazionale». Raccontano che Sergio Ramos, da leader, abbia voluto dirgli che l' unico a dover prendere una decisione deve essere lui, senza demandare la responsabilità a altri. L' ultimo atto di una battaglia cominciata su twitter: «Tutto ciò può provocare una frattura nella squadra», scrisse. Ha proseguito ignorandolo sul campo d' allenamento: il ritratto di una Spagna già divisa.
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