Gabriele Gambini per “la Verità”
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Gli antichi greci la sapevano lunga. Loro, il tempo, lo classificavano in diversi modi.
C' era Chronos, il tempo cronologico, Kairos, il momento giusto, Aion, il tempo eterno, Eniautos, l' alternanza delle stagioni.
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Cristiano Ronaldo, come la manciata di eroi sacri alla dea del pallone (i suoi pari oggi in attività sono soltanto Messi e Ibrahimovic), sperimenta di persona quelle distinzioni: nel tempo cronologico di 90 minuti sa cogliere l' attimo fuggente del gol, eternando il suo nome sugli albi d' oro, a dispetto dell' alternanza delle annate. Tuttavia c' è un problema: sta aumentando il numero delle partite in cui non coglie più il momento rapinoso.
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E non per deperimento atletico, anzi, il nerbo del divo portoghese è forgiato con l'adamantio, il metallo di Wolverine. È che - il match pareggiato dalla Juventus a Benevento nell'ultima giornata di campionato ne è un esempio - quando decide di risparmiarsi per sfide di maggior rilevanza, a volte non si accomoda nemmeno in panchina.
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Contro i campani allenati da Pippo Inzaghi, il calciatore più pagato dei bianconeri nonché d'Italia è rimasto a Torino. Il cielo (e probabilmente pure l'allenatore Andrea Pirlo) solo sa quanto sarebbe stato utile alla causa, magari disputando un piccolo scampolo di gara, propiziando la rete della vittoria con quel guizzo che i vari Dybala, Morata e Chiesa non hanno sfoderato.
Come accaduto del resto sul campo dello Spezia: sabaudi da principio balbettanti contro un avversario modesto ma mai domo, si scalda CR7, entra nel secondo tempo e archivia la pratica suggestionando il vigore dei compagni e l' estro dei tifosi. Mai come quest'anno, cifre alla mano, la squadra detentrice dello scudetto si rivela dipendente in tutto e per tutto dalle prodezze del suo fuoriclasse.
Acquistato tre anni fa per rappresentare la ciliegina gustosa su una torta sontuosa, da un paio di stagioni, per la precisione dall'avvento di Maurizio Sarri in poi, Ronaldo si è trasformato in un sol colpo nella torta e nel pasticcere capace di confezionarla. Senza di lui la Juve non vince. Basti pensare alla sfida contro il neopromosso Crotone, pareggiata dai bianconeri mentre CR7 stava smaltendo la positività al tampone del Covid-19.
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Ecco perché risuonano come un mantra convincente solo a metà le parole di mister Pirlo alla vigilia dell'incontro con i beneventani: «Tratto Cristiano Ronaldo come Frabotta o Portanova, sono fatto così», ha assicurato.
Sarà vero, benché alcuni supporter si siano affrettati a ricordare come difficilmente a Frabotta e Portanova verrebbe risparmiata una trasferta. Non è la prima volta che capita. L'anno scorso, sotto la guida tecnica di Sarri, quando si decideva di risparmiare al campione una disfida di caratura ridotta, le conseguenze portavano in dote qualche delusione.
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Un esempio lampante: stagione 2019-2020, mese di ottobre, Lecce-Juventus 1-1. Giusto lasciare Ronaldo a casa perché era stanco, si affrettò a puntualizzare mister Sarri, ma l'affermazione somigliava a una foglia di fico, non a uno scudo infrangibile. Esistono dei controesempi altrettanto emblematici. Stagione 2018-2019, l'ultima nella gestione di Massimiliano Allegri, mese di dicembre. La Juventus deve affrontare in trasferta l'Atalanta, baldanzosa brigata che si rivelerà una gradita sorpresa a fine anno. CR7 siede in panchina, forse controvoglia, forse no.
«Per la prima volta siederà a fianco a me al calcio d'inizio», disse Allegri, «ho preso questa decisione perché lo voglio nella miglior condizione possibile in vista degli impegni primaverili».
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Il tono era da allenatore navigato che tratta i fenomeni guardandoli senza soggezione. Partita rognosa, con un'Atalanta spumeggiante. La Juve va in svantaggio e rischia, fino a quando Allegri non manda in campo il numero 7 portoghese che la raddrizza nel momento decisivo, garantendo il 2-2 finale.
Paradigma necessario a dimostrare quanto averlo a disposizione in questo momento faccia la differenza, non solo negli incontri di cartello. Qualcuno azzarda il raffronto con il Milan capitanato, nella tempra e nel morale, da Ibrahimovic. Zlatan è decisivo per i rossoneri quanto CR7 per la Signora, le differenze a oggi però sono due: lo svedese, se in buona salute, verrebbe schierato pure contro la Cavese, e il Milan, disponendo di una rosa meno ampia ed esperta di quella juventina, sta dimostrando di poter vincere anche quando il suo condottiero è infortunato.
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Si alimenta dunque il dibattito social su come conciliare le esigenze di visibilità e di progettualità nell'infrangere i record di Cristiano Ronaldo, e la necessità della società Juventus di vincere per mantenersi competitiva in campionato e raggiungere la vetta.
D'altra parte, tirare in ballo la società non è peregrino. La dirigenza juventina, fin dagli albori del calcio nostrano, è da sempre sinonimo di efficacia gestionale. Ma c'è chi osserva che, complice l'addio di Giuseppe Marotta, approdato da plenipotenziario nei ranghi dell'Inter, gli ultimi due anni si siano rivelati meno sfavillanti del solito nella pianificazione degli orizzonti bianconeri.
Il centrocampo è probabilmente il più fragile dell'ultimo decennio, soprattutto se confrontato con il sacro quartetto dei tempi che furono: Vidal, Marchisio, Pogba e Pirlo. Gli innesti sulle fasce non carburano ancora come ci si aspetterebbe, e davanti, come detto fino a ora, Cristiano Ronaldo somiglia a un Ulisse che guida la sua nave durante la tempesta. In questo caso la posta in gioco non è tornare a Itaca, ma andando avanti così si rischia di trasformare il campionato in un'Odissea.
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