1. LA BERETTA E LE ALTRE ARMI: QUEI TROPPI MISTERI DELLA BATTAGLIA FRA ULTRÀ
Massimo Lugli per ‘La Repubblica - Roma'
«Ma chi sono questi, la polizia?». «No sono romanisti...romanisti di m...». Dalle finestre del pullman, il cellulare riprende un gruppo di teppisti, quasi tutti col viso coperto, che impugnano spranghe e bastoni. Pochi istanti carichi di tensione, poi gli spari e la scia rosa scuro di un petardo che vola a mezz'altezza lasciandosi dietro una voluta di fumo bianco. Voci sempre più allarmate: «Ah fatt'è bbuona a' Ciro». «A' polizia non vene» «Nun ven'a polizia». «Chiudete sta c..e' pporta».
Un video che smentisce in modo plateale la versione della questura sulla ricostruzione, ancora piena di lacune e di punti oscuri, di un sabato di sangue, violenza e paura. I tifosi del Napoli erano a bordo di un pullman proprio alle 18,10, nel momento in cui quattro pallottole calibro 7,65 hanno trasformato la finale di coppa Italia in un incubo. Le domande senza risposta, i dubbi, le perplessità sono ancora tantissime e pesano come macigni.
Quello di "Gastone" è stato veramente il gesto isolato di un folle? Daniele De Santis è andato da solo all'assalto di un'intera tifoseria con una pistola in tasca e una voglia disperata di ammazzare e farsi ammazzare? E dopo i tafferugli agli autogrill, a ponte Duca d'Aosta e a ponte della Musica nessuno ha pensato di presidiare un ritrovo come il "Ciack", frequentato estremisti di destra, spesso legati alle frange più dure del tifo capitolino? Nel silenzio tombale della polizia (che dopo una sbrigativa conferenza stampa di domenica mattina ha abbassato una saracinesca di silenzio) non resta che ricostruirla fin dall'inizio, questa giornata di violenza, esaminando una a una le incongruenze che ancora la punteggiano.
DANIELE DE SANTIS GASTONEI primi disordini risalgono alle 10,30 del mattino, durante le soste dei tifosi biancoazzurri agli autogrill di Ponzano e di Poggiano, in provincia di Rieti. Sono brevi focolai, subito domati, qualche petardo, qualche danneggiamento e poi tutti in pullman, ma rendono l'idea di un clima che si sta velocemente arroventando. Nel primo pomeriggio, le due tifoserie sono tutte a Roma e i tafferugli continuano, concentrandosi, come al solito, nelle zone vicine allo stadio.
Alle 17,50, un gruppo di supporter napoletani risale il lungotevere, attraversa ponte Duca d'Aosta ed entra in contatto con un piccolo plotone di fiorentini. Le due fazioni si affrontano con l'arma tradizionale degli ultrà: la cinghia. Staffilate da entrambe le parti, calci, pugni, qualche sciarpa strappata come trofeo di guerra poi sopraggiungono le divise ed è il fuggi fuggi. Stessa scena, anche se più rapida, al ponte della Musica, dove i teppisti arrivano da piazza Bainsizza. Per una volta, niente coltelli, sono mani nude e bastoni.
tifosi bloccano derby foto mezzelani gmtNel frattempo, la maggior parte dei tifosi sta arrivando all'Olimpico, mentre il traffico, in tutta la zona nord, va in tilt. Una colonna di pullman e una fila interminabile di macchine fluisce, a passo d'uomo, lungo viale di Tor di Quinto, a quasi un chilometro dallo stadio, l'unico punto dove si può ancora sperare di trovare un parcheggio.
Sono passate da poco le 18 e siamo a pochi minuti dalla sparatoria. Panoramica sulla scena: la stradina dove si apre il cancello del "Ciak", dei campi sportivi dove i bambini imparano a giocare a calcetto e del chiosco gestito da "Gastone" sbocca sul vialone alberato a poche decine di metri dal poligono di tiro e lambisce la recinzione del reggimento Carabinieri a cavallo.
Il "Ciak", almeno in passato, era un ritrovo di neonazi, chiuso e riaperto di recente per un problema di abusivismo. Daniele De Santis è quello che in verbalese si definisce "persona nota", vecchio cliente di polizia e carabinieri, una sfilza di precedenti per violenze da stadio. L'uomo vive lì, in una sorta di baracca, assieme ai tre cani. Possibile che a nessuno sia venuto in mente di presidiare la zona o quantomeno di "avvertirlo" amichevolmente? Eppure una provocazione degli ultrà giallorossi contro gli odiati nemici napoletani era più che prevedibile: la Procura sta ragionando attorno all'ipotesi di un "gruppetto" di supporter romanisti. Non ci vogliono i servizi segreti per intuire che quel chiosco, in quel momento, era una polveriera.
totti e l'ultra' "gastone"L'inferno inizia alle 18,05. E a questo punto le varie versioni non combaciano. Ecco la ricostruzione che esce da ambienti ultrà della Roma: un gruppo di tifosi napoletani conosce De Santis e sa dove vive. I teppisti, armati di bastoni e petardi, assaltano l'ingresso, sfondano il cancello e si avventano sul quarantottenne. Il pestaggio è brutale: l'uomo viene sbattuto a terra, sprangato selvaggiamente, pestato con un montacarichi.
Per difendersi, le gambe già spezzate, l'osso della tibia che esce dalla carne, "Gastone" impugna la pistola e fa fuoco. Gli assalitori scappano e qualcuno trasporta De Santis dentro il Ciak ma pochi minuti dopo il gruppo torna, abbatte la porta, si scaglia contro "Gastone", lo trascina fuori e continua a picchiarlo mentre l'uomo urla alternativamente. «Mi ammazzano», «Vi ammazzo » e «Chiamate la polizia».
Una ricostruzione di parte, ovviamente, ma che contrasta con quella di San Vitale. Ricordiamola: De Santis esce da solo dal chiosco, attraversa la strada e si avvicina a un gruppo di napoletani appena scesi dalla macchina. Urla insulti, scaglia petardi, minaccia gli avversari che reagiscono e si lanciano all'inseguimento. "Gastone" gira sui tacchi e fugge ma, arrivato alla stradina, scivola e cade. È un attimo, i napoletani gli sono addosso e l'uomo impugna la Beretta e fa fuoco. Tutto da solo, quindi, l'azione folle di un kamikaze pronto a lasciarci la pelle. Nessun piano preordinato, nessun complice. E chi sono i due personaggi col casco in testa che compaiono in un video in mano alla polizia e, guarda caso, mai reso pubblico? «Nelle immagini si vedono due persone, ma non risulta che abbiano avuto un ruolo negli scontri» dice il questore Massimo Maria Mazza. E i teppisti ripresi dal pullman? Tutti napoletani? E perché quella voce spaventata che chiede all'autista di chiudere la porta? «Sono romanisti di m...».
Sul fatto che a fare fuoco sia stato proprio De Santis non sembrano esserci dubbi anche se l'uomo, fin dall'inizio, ha negato. Ma forse la Beretta non era l'unica arma. Una testimone, di cui scriviamo oggi su queste pagine, assicura di aver visto uno dei napoletani sparare in pieno viso a De Santis, steso a terra, con una lanciarazzi. Un'arma che nessun ultrà porterebbe allo stadio, troppo pericoloso.
CIRO ESPOSITOSta di fatto che i risultati dello stub su Daniele De Santis non sono stati ancora resi noti anche il test per rilevare tracce di polvere da sparo sulla pelle o sui vestiti è quasi istantaneo. La spiegazione della questura («Ci vuole tempo per avere i riscontri») aggiunge dubbi a dubbi e rientra nella strategia di chiusura verso i media e blindatura delle notizie già vista in passato. Difficile pensare che qualcun altro abbia fatto fuoco ma, tra notizie smentite e informazioni contraddittorie, niente si può escludere. E quella pistola con la matricola punzonata da dove veniva? Un pregiudicato, di solito, non tiene mai un'arma clandestina in casa perché teme di essere controllato (cosa che dovrebbe accadere spesso) e di finire dritto in galera. La pistola viene affidata a una "retta", un incensurato e tirata fuori solo quando serve. Negli scontri tra ultrà, finora, non era
mai comparsa un'arma da fuoco che tra l'altro i teppisti da stadio disprezzano, nel loro delirante culto del "coraggio" e della rissa.
Ma torniamo a viale Tor di Quinto perché la giornata è ancora lontana dalla conclusione. A terra ci sono quattro feriti: "Gastone", Ciro Esposito e gli altri due ragazzi napoletani colpiti agli arti e meno gravi. I romanisti (se c'erano) si sono dileguati, i napoletani sono sul posto in forze e sempre più imbestialiti. L'ambulanza, imbrigliata nel traffico, ritarda (qualcuno parla di un'ora), molti chiedono aiuto, bestemmiano, imprecano e, alla fine, si scagliano contro la polizia. Una funzionaria, Agnese Cedrone, se la vede brutta. Un suo collega, Massimo Improta, accorre a difenderla spalleggiato da pochi uomini, sferrando manganellate a raffica per disperdere gli aggressori. Gli ultrà lo aggrediscono a sprangate, il funzionario di difende coraggiosamente e sono per miracolo se la caverà con un dito steccato. Per quell'episodio, nessun fermo. Dov'erano i rinforzi?
CIRO ESPOSITOIl seguito è al centro delle polemiche più aspre. Dentro lo stadio, tensione al diapason, rimbombare di petardi, cori da guerra. Il calcio d'inizio ritarda ma la partita, è già deciso, si giocherà comunque anche perché annullare il match avrebbe conseguenze catastrofiche. Inizia il capitolo più discusso: la trattativa con gli ultrà napoletani rappresentati da un personaggio inquietante come "Genny a' carogna" che sembra l'immagine stessa di tutto quello che il tifo non dovrebbe essere. Il day after è fatto di buone intenzioni: mano dura con gli ultrà, Daspo a vita, nessun cedimento, tolleranza zero. E intanto la Supercoppa del 24 agosto sembra destinata a emigrare verso lidi più sicuri. Perché è fin troppo facile immaginare il futuro: alla prima occasione, altri scontri, altri tafferugli, altre polemiche. Resta solo da sperare che almeno qualcuno non tiri fuori la pistola.
2. PARLA LA SUPERTESTIMONE: ‘QUEL POVERETTO A TERRA, LO VOLEVANO AMMAZZARE - E' STATA UN'ESECUZIONE
Franca Angeli e Marco Mensurati per ‘La Repubblica- Roma'
Una donna di ottant'anni che affronta, sperduta e sola, sessanta hooligan, cercando di difendersi dalla loro aggressione usando l'acqua di una pompa per annaffiare il giardino. Eccola qui, un'altra immagine tratta dal teatro dell'assurdo di sabato scorso. Una fotografia da consegnare a quanti in questi anni hanno gestito la questione "violenza negli stadi". Lei, statura da peso piuma, e tempra da combattente, non vuole comparire per nessun motivo. E però la sua storia la racconta ugualmente, così come l'ha raccontata agli inquirenti fino alle due del mattino di domenica. «E' stata un'esecuzione, anzi, no: un massacro. Quel poveretto lo volevano ammazzare, ci hanno provato due volte». "Quel poveretto" è Daniele De Santis, Gastone.
Quando è cominciato tutto?
«Saranno state le 18. Io stavo per entrare con altre persone nel circolo».
Com'è iniziata la rissa?
«Quell'uomo, che - mi hanno detto dopo - lavora al circolo sportivo Boreale dove fa il barista o qualcosa del genere, teneva in mano dei fumogeni, dei petardi e urlava: "pezzi di m... vi ammazzo a tutti, vi ammazzo". Era ubriaco e stava camminando per la stradina che collega al viale di Tor di Quinto e al parcheggio. Era solo e andava incontro ad almeno una ventina di ragazzi. Poi abbiamo sentito dei botti, tanti, e l'abbiamo visto tornare indietro inseguito da un gruppo di persone».
Erano spari?
«Non possiamo dirlo, c'era un tale frastuono...».
Lei ha notato se De Santis aveva una pistola e ha aperto il fuoco?
«Ho solo sentito, le ripeto, dei botti, ma con tutto il frastuono di bombe carta non ho saputo distinguere se fossero colpi di arma da fuoco o altro».
L'avete visto tornare, inseguito da un gruppo di persone...
«Sì. I ragazzi sono riusciti a raggiungerlo, lo hanno buttato a terra e hanno iniziato a picchiarlo. Selvaggiamente. Inveivano e infierivano su di lui con una rabbia e una violenza incredibili. La sensazione che ho avuto è che lo volessero uccidere. Anzi ne sono proprio certa. Se ne sono andati solo quando l'hanno visto esanime a terra».
Il gruppo dunque se ne va. De Santis è a terra privo di sensi. Come arriva all'interno del Ciak?
«L'hanno soccorso le persone che erano con me, e l'abbiamo portato nel cortiletto del Ciak. Ma qualche minuto dopo i tifosi del Napoli sono tornati. Stavolta erano ancora di più. In cinquanta sessanta persone hanno affollato il cortile e lì è successo l'inferno. Mi creda, mi sono trovata davanti a un'esecuzione. Lo hanno riempito di bastonate, di calci, di pugni. Uno di loro ha preso un montacarichi giallo, gliel'ha sbattuto in testa con molta forza, più di una volta. E con la stessa violenza altri gli hanno spaccato proprio sul viso delle cassette della frutta».
E voi eravate lì?
«Sì, ma non ci hanno toccato. Era come se non ci fossimo. Quei ragazzi hanno continuato a picchiarlo come se noi non ci fossimo. Ce l'avevano con lui. Erano come indemoniati».
Quanto è durato il pestaggio?
«Non so dirle. Quello che ricordo è che lui alla fine era praticamente nudo, gli avevano di fatto strappato, a forza di botte, i vestiti. Non si capiva più dove stavano le braccia e dove le gambe. Si vedeva un osso che gli usciva dalla gamba, all'altezza della caviglia. Una scena davvero incredibile».
Quindi si sono allontanati credendolo morto?
«Sì, ma prima di andarsene, uno di loro ha preso un lanciarazzi, di quelli che si usano sulle barche da diporto per le segnalazioni d'emergenza, e gli ha sparato un razzo in faccia. Poi sono venuti verso di noi e hanno detto al mio amico, l'uomo che, poco prima aveva soccorso De Santis: "se mio fratello muore, io torno qui e ammazzo anche te"».
Lei ha pensato che Gastone fosse morto?
«Io ero sotto shock. Avevo in mano un tubo per annaffiare le piante e solo allora mi sono accorta che l'avevamo usato per difenderci da quella gente, e per spegnere i fumogeni. Quando i napoletani sono andati via, lui si è mosso. E quando sono arrivati i medici del 118 ha iniziato a inveire anche contro di loro».
La pistola è stata ritrovata in un cestino all'interno del circolo, è così?
«La pistola so che l'hanno ritrovata, ma io non l'ho mai vista. Quello che so è che per me doveva essere un normale sabato e invece sono finita in questura fino alle 2 del mattino a testimoniare su un tentato omicidio».