1 – I PARTITI TUTTI ALLINEATI LA VERA RESA DEI CONTI DOPO LA FINANZIARIA
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
GIUSEPPE CONTE MEME
Nessuno nelle forze di maggioranza ha mai temuto davvero il passaggio parlamentare sul Mes. Non è questo il tema che occupa da settimane le conversazioni tra alleati. E il processo di drammatizzazione del voto di domani - riflesso delle solite contorsioni grilline con solito esito finale - è stato interpretato come un modo per distrarre l'attenzione da quello che un autorevole ministro del Pd definisce «il problema politico».
NICOLA ZINGARETTI E MATTEO RENZI
Tutto ruota attorno al futuro del gabinetto Conte, che nessuno fa coincidere con il destino della legislatura, se è vero che nei suoi conversari Zingaretti ha spiegato come - nel caso di una crisi - «un equilibrio comunque si troverebbe. Non si vota». Si capisce allora perché dai dem non si sia mai levata una critica verso il leader di Iv, da quando ha formalmente aperto il contenzioso con il presidente del Consiglio.
zingaretti conte
E ieri un rappresentante della segreteria dem, mai tenero verso l'ex segretario, è arrivato a definire Renzi «il nostro centravanti di sfondamento». Il contenzioso non riguarda (solo) le questioni di potere. La preoccupazione che accomuna tutti gli alleati è proiettata verso l'anno prossimo, quando si imporrà un governo all'altezza di una situazione drammatica per il Paese. La scorsa settimana Conte aveva tentato di liquidare la questione derubricandola al tema del rimpasto «che è una pratica del passato».
enrico borghi
Ma per capire come il clima sia cambiato, ieri il pd Borghi - uno degli uomini più vicini al ministro della Difesa Guerini - ha voluto ricordargli che «il passato da cui il premier prende le distanze è quello che ha raccolto i voti in Parlamento per garantirgli la fiducia. E dato che D'Alema fornisce a volte consigli su richiesta, se Conte dovesse chiedergli un suggerimento potrebbe avvisarlo di fare attenzione. Certe sortite possono essere fatali».
LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE
L'appuntamento è già fissato: il voto finale al Senato della Finanziaria sarà il turning point per l'esecutivo. È vero che Renzi finora ha riempito di penultimatum le sue manovre, «ma stavolta - ha spiegato - non posso tornare indietro, non posso perdere la faccia con chi pensa di sostituire le strutture dello Stato con altre strutture. E non sono solo io nella maggioranza a pensarla così». L'accusa rivolta a Palazzo Chigi sull'assenza di risultati, si estende all'accentramento delle funzioni e alla mancanza di condivisione.
GIUSEPPE CONTE DPCM MODE BY CARLI
Ed è una critica in effetti condivisa dai dem e persino dai grillini, si ritrova nella gestione della bozza del decreto sul Recovery fund, rimasta sconosciuta fino all'altra notte anche ai ministri: le poche copie del testo - come rivela un esponente del gabinetto - avevano un codice e dunque sarebbe stato facile identificare l'eventuale talpa. Un vecchio trucco dei governi del «passato». Insomma, il rimpasto è un velo che cade.
zingaretti renzi
Cosa accadrà da gennaio dipenderà dagli equilibri che troveranno nella coalizione: Conte potrebbe ancora succedere a sé stesso. Ma il fatto che non venga escluso nessuno scenario e che non ci siano preclusioni, lo si può verificare anche dalle chat degli «schiaccia-bottoni», come si autodefiniscono certi peones grillini: «Non abbiamo mai inciso su nulla con Conte. Perciò votare un governo o un altro non cambia nulla».
L'unica stella polare, tramontati gli ideali, resta la durata della legislatura. Ma c'è una riflessione più profonda e non banale dentro M5S, che giorni fa ha portato un suo ministro (non ostile a Conte) a interrogarsi sull'inesperienza del Movimento, chiamato a governare in una fase difficile: parlandone ha finito per rivalutare politicamente un acerrimo nemico come Renzi, fino addirittura ad ammettere che - se si potesse tornare indietro - andrebbe rivalutata la fretta con la quale venne varato il taglio dei parlamentari.
matteo renzi come forrest gump
Se domani il Parlamento approverà il Mes, a cui Conte dovrà dare il via libera in Europa, toccherà poi a Di Maio firmarlo da titolare degli Esteri. E sarà nemesi. Perché il principio di realtà e le regole della politica non possono essere compressi.
2 – RECOVERY, RENZI MINACCIA: “MI SGANCIO”. CONTE PRONTO A CEDERE SUI POTERI DEI MANAGER
Tommaso Ciriaco per “la Repubblica"
RENZI ZINGARETTI
Ridurre l'autonomia dei sei manager che governeranno il Recovery. Cancellare almeno la loro facoltà di agire in deroga e con poteri sostitutivi. Giuseppe Conte prova in tutti i modi a sminare il campo della maggioranza. Ha paura di sommare tensione a tensione, guerriglia a guerriglia. Nella notte, accetta che i tecnici del preconsiglio lavorino per accontentare il Pd e Italia Viva su questo nodo della governance, giudicato anche di dubbia costituzionalità.
renzi di maio
Un modo per blindare il rapporto con il Nazareno, innanzitutto, che appare sempre più logoro. Ma anche per cercare di recuperare Matteo Renzi. Il quale, però, non sembra intenzionato a fermarsi. "Il problema - va dicendo - non è solo la governance del Recovery, è tutto il piano. Se pensano che io stia scherzando, mi conoscono poco. Se non cambia, io mi sgancio".
Una premessa: Conte è sempre più convinto che il merito valga poco, a questo punto. Teme che ormai la maggioranza sia entrata nel terreno scivoloso dei pretesti. Quello che sembra volerlo spingere a frenare il Recovery per esporlo a una figuraccia europea. Quello buono a cuocerlo a fuoco lento sul Mes, alla vigilia del Consiglio Ue di giovedì. Un percorso, insomma, che lo espone al rischio di una crisi entro gennaio.
teresa bellanova matteo renzi
Per questo, accetta di concedere qualcosa. E rinuncia ad alcuni dei superpoteri ai sei manager, che secondo l'impianto contiano avrebbero risposto al presidente del Consiglio, come un governo parallelo inquadrato nell'unità di missione sotto Palazzo Chigi. Di più: l'avvocato era anche pronto a valutare nel consiglio dei ministri di stamane l'allargamento del triumvirato chiamato a gestire il Recovery.
giuseppe conte e luigi di maio
I renziani avrebbero infatti voluto includere anche Teresa Bellanova. L'opzione, però, oltre a essere complicata dal fatto che l'Agricoltura non è un ministero di spesa - come sono invece l'Economia e lo Sviluppo economico - è congelata anche a causa delle resistenze del Partito democratico, convinto che non si possa accettare il gioco dei veti del leader di Rignano. "Già abbiamo Orban che frena - si arrabbia nel frattempo il ministro Peppe Provenzano - dividerci anche tra noi per ragioni di visibilità sarebbe molto grave".
GIUSEPPE CONTE MEME
Prima ancora di capire se la partita del Recovery segnerà un nuovo capitolo nel processo di destrutturazione della maggioranza, però, Conte deve gestire un altro dossier potenzialmente esplosivo: il Mes. Il premier è preoccupato - anzi "preoccupatissimo" - da quello che potrà accadere domani in Parlamento sul Salva Stati.
Marca stretto il Movimento, tanto da aver mandato domenica sera a una riunione dei grillini anche il suo capo di gabinetto Alessandro Goracci. E tutto questo perché ha compreso che il rischio è che si crei un imbuto in cui potrebbe restare incastrato l'esecutivo.
L'ha capito nelle ultime quarantotto ore. Italia Viva che promette e non mantiene. Che gode nel vederlo appeso a qualche dissidente grillino, o al buon cuore di qualche berlusconiano che vuole difendere la legislatura. Di Matteo Renzi si è detto, promette strappi dopo la manovra, per andare dove ancora non si sa.
LUIGI DI MAIO MATTEO RENZI
Credere o non credere alle minacce del leader di Italia Viva, allora? Fossero solo quelle, l'avvocato si mostrerebbe più sereno. E invece c'è quell'aria strana che spira dal Pd. Il silenzio di Zingaretti, la sensazione che nessuno difenda l'avvocato davvero fino in fondo.
Che qualcosa non giri per il verso giusto Conte l'ha capito anche ripensando alle telefonate avute negli ultimi due giorni con le Cancellerie europee. Un giro di contatti previsto, in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì a Bruxelles. Ma stavolta tutti, dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen fino ad Angela Merkel, sembrano voler ricevere da Roma rassicurazioni. Sul Recovery. E sul Mes, visto che la riforma interessa ai Paesi membri e nessuno è più intenzionato ad attendere i tormenti grillini.
GIUSEPPE CONTE E IL REGALO DI NATALE
Proprio la partita del Salva Stati continua ad angosciare Palazzo Chigi. Tutti dicono che i problemi con i cinquestelle sono risolvibili e che il Mes passerà, nonostante le defezioni grilline a Palazzo Madama (tra sei e otto, è l'ultimo calcolo). Ma di Renzi ci si può fidare? "L'incidente non verrà dal Pd - dice Andrea Orlando - chiediamo ai nostri alleati la massima attenzione". Parla ai 5S, ma il segnale è rivolto anche a qualche senatore renziano che - questa è la voce che circola - potrebbe essere tentato dallo sgambetto.