Estratto dell’articolo di Giuseppe Colombo per repubblica.it
giorgia meloni e raffaele fitto
A Palazzo Chigi la chiamano già la task force di Raffaele Fitto. Un super ministero con poteri speciali più che una Struttura di missione, la definizione tecnica scelta dal governo che però non restituisce appieno il peso della nuova cabina di comando del Pnrr. Lo fa, invece, il decreto del presidente del Consiglio che dettaglia e rende operativa la nuova governance.
Ministeri sotto sorveglianza
È l'atto che traduce la scelta politica di superare lo schema di Mario Draghi, quello che prevedeva un bilanciamento tra le funzioni assegnate a Chigi e al ministero dell'Economia. I poteri in capo alla task force, prima di ogni altro elemento: non solo supporterà Fitto nell'esercizio delle funzioni di "indirizzo e coordinamento" per l'attuazione del Piano, ma vigilerà anche sui ministeri, che sono soggetti attuatori. Ancora dirà a Giorgia Meloni cosa deve fare per tirare fuori i progetti dal pantano dei ritardi. E poi avrà in mano la comunicazione.
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raffaele fitto giorgia meloni
Il Dpcm dà un'indicazione chiara: è Fitto che decide. E qui si apre un problema dentro al governo perché anche il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha in mente di rivedere il Piano, riallocando le risorse legate ai progetti finanziati con i prestiti del Recovery se il nuovo Patto di stabilità non escluderà le spese legate al Pnrr dal calcolo del deficit. "Chiediamo di considerare le spese di investimento, in particolare quelle eleggibili ai fini del Pnnr, e le spese per la difesa, ad esempio quelle relative all'Ucraina, in modo diverso rispetto alle altre", ha ribadito oggi Giorgetti all'omologo tedesco Christian Lindner. Se la proposta dell'Italia non dovesse essere accolta, la strategia prevede appunto di spostare una fetta dei prestiti Ue (in tutto sono 122,5 miliardi) dai progetti che non impattano sulla crescita a quelli più "produttivi", che spingono il Pil.
La partita, però, non si gioca solo sul piano contabile. È anche politica. Una fonte di governo lo spiega bene: "Siamo stati tutti d'accordo a rinunciare agli stadi di Firenze e Venezia, che tra l'altro erano di Draghi, ma la selezione dei progetti da rivedere impatta sulle questioni locali". Insomma non è neutra la scelta di sacrificare una strada invece che una tratta ferroviaria rispetto ai posizionamenti della maggioranza sul territorio.
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