POLANSKI
Valerio Cappelli per il Corriere della Sera
Roman Polanski sembra un topolino tanto è minuto. Quasi scompare sulla sedia, ha la giacca bianca e i jeans, si scambia un cenno d' intesa con sua moglie, Emmanuelle Seigner, che fisicamente lo sovrasta ma come attrice deve tutto al suo talento di cineasta.
«È andata bene, no?», si sente in una sorta di fuori onda alla fine dell' incontro. Nessuna riflessione sulla vicenda giudiziaria che lo insegue da quarant' anni, lo stupro di una minorenne a Los Angeles che non gli consente di mettere piede negli Stati Uniti, dove rischia di finire dietro le sbarre, o di tornarci visto che questa fu l' accoglienza che gli fu riservata per due mesi a Zurigo, mentre si stava recando a ricevere un premio alla carriera.
EVA GREEN EMMANUELLE SEIGNER
Non è questa la tribuna per discutere se l' arte cancella la colpa, Polanski a Cannes parla del suo film fuori concorso, gioca in casa, si sente protetto dalla tribù cinefila: ha vinto l' Oscar, la Palma d' oro, l' Orso alla Berlinale, è un re del cinema e deve avere un' accoglienza regale. Però il suo film, D' après une histoire vraie , ha avuto un applauso di cortesia.
Una donna vuole impossessarsi della vita di un' altra donna. Un noir in cui Polanski torna alle origini. «A me ricorda Rosemary' s Baby », dice la moglie Emmanuelle, cui il tempo ha consegnato sul volto lineamenti molto marcati, duri. Il marito invece cita un altro suo vecchio film, L' inquilino del terzo piano . «Questa è una commedia dark che a un certo punto diventa thriller. E il thriller è il mio terreno preferito». A breve compie 84 anni, ogni tanto inciampa sulle parole, Cannes è un tritacarne, è comprensibile un po' di stanchezza. Ha un guizzo: «Lavorare con la propria moglie non è semplice, quando torniamo a casa io vorrei dimenticarmi tutto, lei vorrebbe parlarmi del suo giorno sul set».
emanuelle seigner c
Dalla moglie ha saputo del romanzo di Delphine de Vigan, che lui e Olivier Assayas hanno adattato per lo schermo. «Volevo rispettare il libro, non penso alle mie storie quando devo raccontare un personaggio».
Una scrittrice di successo (Emmanuelle Seigner, quinto film col marito) conosce una donna che lavora come ghostwriter di biografie (Eva Green). È una sua ammiratrice, la scrittrice (si chiama Delphine come l' autrice del romanzo) si fida di quella giovane donna seduttiva, manipolatrice, predatoria; diventano amiche, vanno a vivere insieme, ma poi il sipario si strappa... La ghostwriter scrive per gli altri, va su Facebook e manda messaggi al posto della scrittrice, per isolarla. La ghostwriter, abituata a indossare le vite degli altri, le dice: «Ormai siamo intercambiabili».
«È la prima volta che giro una storia sul confronto fra due donne», dice Polanski, e tutti a chiedersi perché non abbia menzionato anche Eva contro Eva .
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«Certo l' ambiguità è uno dei temi, insieme con realtà e finzione - dice Polanski - siamo tutti ossessionati dalla realtà, dall' esplosione di informazioni. Con un gesto puoi cambiare il destino di una nazione e amplificarlo per milioni di persone. C' è un appetito di verità, di notizie che magari il giorno dopo scopri essere false».
Cannes non può finire senza il suo tormentone: Netflix al Festival e i film che non escono nelle sale. «Non c' è una minaccia per il cinema, vedere un film come Borat assieme ad altre persone che ridono in una sala è sempre meglio che vederselo da soli davanti al televisore».
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2 - POLANSKI: "È MOLTO PIÙ DIFFICILE FARE IL MARITO CHE IL REGISTA"
Alberto Mattioli per “la Stampa”
Il cinema vince ai supplementari. All' ultimo giorno di festival, il gol lo segna Roman Polanski, 83 anni, Grande Vecchio fuori concorso con D' après une histoire vraie , «Tratto da una storia vera», in effetti da un romanzo di Delphine de Vigan. È uno di quei film che piacciono a noi borghesucci: ben girato, ben recitato, con copione solido ma non solito (sceneggiatura di Olivier Assayas), molta suspense e, accessoriamente, qualche motivo non banale di riflessione.
emanuelle seigner
La trama ruota intorno a Delphine (Emmanuelle Seigner in Polanski), una scrittrice di successo in crisi di affetti e di creatività. Un' altra scrittrice, ma di quelle che scrivono i libri poi firmati dalle solite celebrità analfabete (l' arcisplendidissima Eva Green), si inserisce nella sua vita e riesce a vampirizzarla. Finale mozzafiato con ribaltamento dei ruoli, tentato omicidio, tensione a mille, autocitazioni per cinefili e tanti interrogativi sul rapporto fra realtà e fiction: è stato vero o Delphine si è immaginato tutto?
Le dive e il bacio In conferenza stampa, le due dive si scambiano complimenti e, davanti ai fotografi, anche un bacio sulla bocca. Dal canto suo, Polanski è divertito e divertente, forse perché nessuno si è azzardato a rievocare la sua verissima storia giudiziaria, talvolta ficcante:
POLANSKI
«Non capisco come una persona intelligente possa fare una domanda così stupida», sbotta a un certo punto (beh, caro collega, aveva ragione lui). Iniziamo dalle frivolezze: «Com' è dirigere la propria moglie? Niente di particolare. È più difficile fare il marito che il regista, specie quando finisce la giornata di lavoro. Perché una volta tornati a casa, io voglio parlare d' altro, Emmanuelle di quel che abbiamo fatto sul set. Dal primo film fatto insieme ( Frantic nell' 88, ndr) sono cambiate molte cose. Allora lei era una debuttante, non comprendeva certe esigenze del cinema. Adesso ha imparato, è diventata brava».
È stata madame Polanski a segnalargli il libro della Vigan, «perché mi ricordava i suoi primi film». Lui se n' è innamorato subito: «Perché c' è un lato thriller che mi intrigava molto.
E poi è la prima volta che faccio un film con due donne protagoniste. Mi piaceva anche che una fosse una ghostwriter, una che racconta le storie degli altri. In fin dei conti, anche il lavoro del regista. Infine, è stata una fortuna che Olivier ci abbia aiutato con la sceneggiatura. Da ragazzo, ero regolarmente deluso dagli adattamenti cinematografici o teatrali dei libri che amavo. Non volevo allontanarmi troppo dall' opera».
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Come ogni prodotto riuscito, anche questo film ha più di un livello di lettura. Come thriller sta in piedi benissimo. Però non rinuncia a chiedersi come l' arte riesca a risultare più vera della vita «vera».
Basta non farsi dominare dalla ricerca del «reale», dall' ossessione dilagante per una realtà virtuale che diventa virale. Spiega Polanski: «Siamo bombardati dall' elettronica, sommersi dalle immagini cui ci affidiamo in cerca di verità. Ma oggi non ci si può più fidare delle immagini come documento, perché è facilissimo falsificarle.
La realtà si può manipolare. Basta un piccolo gesto che viene replicato milioni di volte e diffuso in tutto il mondo». Corollario: «Non sono mai stato su Facebook e spero di esserne preservato».
E il cinema, allora? Perirà sotto l' assalto di Internet e del suo braccio armato Netflix?
sharon tate e roman polanski
«Non credo che il cinema sia in pericolo. La gente continuerà ad andarci, come continua a venire ai festival. Si va al cinema non perché in sala il film si vede meglio, ma perché è un' esperienza collettiva, come il teatro greco o il circo romano. Quando è stato inventato il walkman tutti hanno detto che più nessuno sarebbe andato ai concerti: non mi sembra che sia successo. Le persone vogliono vedere i film insieme ad altre persone, ridere insieme, che so?
, davanti a Borat. Si chiama condivisione». Anche l' ottimismo, a Cannes, arriva alla fine.
POLANSKI roman polanski in tribunale roman polanski samantha geimer nel 2013
roman polanski