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Ugo Magri per “la Stampa”
raffaele fitto silvio berlusconi
A mani completamente vuote Berlusconi non potrebbe ripresentarsi dai suoi. Per cui una delle due: o Renzi nell’incontro che avranno oggi concederà al Cav qualcosa di tangibile sulla legge elettorale o su altro (qui alla fantasia è concesso di sbizzarrirsi); oppure, ecco la seconda ipotesi, il patto cosiddetto del Nazareno finirà in archivio, come del resto era già capitato agli analoghi tentativi condotti da D’Alema e da Veltroni. E questo perché, contrariamente alle attese, Silvio sembra deciso a contrastare gli ultimatum del premier. Perfino tra i suoi più intimi, in pochi ci avrebbero scommesso. Già lo vedevano al cospetto di Renzi come uno scolaretto convocato dal preside...
Invece ecco il Berlusconi che meno ti aspetti, «con la schiena dritta» come esulta Fitto, il capo degli oppositori interni o ex tale. Berlusconi l’ha invitato a pranzo, ci ha fatto pace, insieme hanno delineato scenari di rinnovamento del partito, anzi di rivoluzione democratica dal basso, e addirittura l’ex Cavaliere si è concesso battute davanti a tutti gli altri dirigenti convocati a Palazzo Grazioli per l’ufficio di Presidenza: «Con Raffaele abbiamo avuto una discussione molto forte... Ci siamo presi a cazzotti, ma siccome lui è più alto di me io sono scappato, lui mi ha inseguito e alla fine abbiamo appianato tutte le divergenze».
Per inciso, Fitto è colui che teorizza una linea di opposizione durissima a Renzi, dunque viene da chiedersi dove possa sfociare questa loro identità di vedute.
Può darsi che sia tutta una tattica, che Berlusconi avesse bisogno di dare un contentino a Fitto in modo da presentarsi oggi «chez» Renzi con un partito unito alle spalle e dirgli «li ho messi in riga».
Allo stesso modo è possibile che ieri il Cav volesse semplicemente scrollarsi di dosso l’ansia dei colonnelli, da Toti a Romani alla Gelmini, preoccupatissimi che il Capo possa recarsi oggi a siglare una resa senza condizioni. Il magico mondo berlusconiano, si sa, è un grande gioco di specchi, ogni cosa è vera così come il suo contrario. Però certi segnali stavolta fanno ritenere che l’irrigidimento non sia solo una finta.
Il documento conclusivo della riunione, anzitutto. Con quello stentoreo «no ai diktat» che sottintende: una cosa è discutere, altra cosa sarebbe prendere ordini. Con la richiesta, rivolta a Renzi quasi come pre-condizione del colloquio odierno, di smentire le intese sottoscritte l’altra sera dalla maggioranza, in particolare le soglie di sbarramento al 3 per cento che per Alfano sarebbero la terra promessa e per Forza Italia la diaspora finale.
E ancora: torna in auge Capezzone con le sue proposte di lotta dura e senza paura contro la legge di stabilità, messe nero su bianco nel comunicato finale. Non solo Brunetta non è stato smentito per gli attacchi rivolti ieri mattina a Renzi, dei quali il premier pare si sia molto adontato, ma Berlusconi se l’è tenuto alla sua destra durante l’ufficio di presidenza, un chiaro avviso ai naviganti. Insomma, l’ex premier ieri ha fatto di tutto per non apparire in disarmo, pronto a inghiottire qualunque rospo pur di salvare le proprie aziende. Probabile che nemmeno lui si fidi di Renzi fino in fondo, il tempo degli amori sembra alle spalle.
Ciò significa che si andrà dritti sparati alla rottura? «Non esageriamo», mette le mani avanti il navigato Gasparri, «la nostra linea è: né rompere né subire». Sul subire si è detto. Quanto al rompere, Berlusconi disperatamente lo eviterebbe, ma oltre a un certo punto nemmeno può spingersi.
Forza Italia potrebbe dare via libera sul premio di lista, come pretende Renzi, a patto di non tornare subito al voto e di stroncare i partiti minori con una soglia di sbarramento che venga elevata al 5 per cento come minimo. Il sentiero è stretto, ma gli ambasciatori berlusconiani (Verdini e Letta, entrambi presenti al pranzo con Fitto e con l’avvocato Ghedini) a tarda ora erano in azione, convinti che «un margine ancora c’è». Se è vero, in giornata lo scopriremo.
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